Dopo la rivoluzione di luglio il banchiere liberale Laffitte, accompagnando il suo compare, il duca di Orléans, in trionfo all'Hôtel de Ville [1], lasciava cadere queste parole: "D'ora innanzi regneranno i banchieri". Laffitte aveva tradito il segreto della rivoluzione.
Sotto Luigi Filippo non regnava la borghesia francese, ma una frazione di essa, i banchieri, i re della Borsa, i re delle ferrovie, i proprietari delle miniere di carbone e di ferro e delle foreste, e una parte della proprietà fondiaria venuta con essi a un accordo: la cosiddetta aristocrazia finanziaria. Essa sedeva sul trono, essa dettava leggi nelle Camere, essa distribuiva gli impieghi dello Stato, dal ministero allo spaccio dei tabacchi.
La borghesia industriale propriamente detta formava una parte dell'opposizione ufficiale, era cioè rappresentata nelle Camere solo come minoranza. La sua opposizione si presentava in modo tanto più deciso, quanto più nettamente si sviluppava il dominio esclusivo dell'aristocrazia finanziaria e quanto più essa stessa, soffocate nel sangue le sommosse del 1832, 1834 e 1839 [2], si immaginava fosse assicurato il suo dominio sopra la classe operaia. Grandin, industriale di Rouen, il più fanatico portavoce della reazione borghese tanto nell'Assemblea nazionale costituente come nella legislativa, era nella Camera dei deputati il più violento avversario di Guizot. Léon Faucher, noto più tardi per i suoi sforzi impotenti di elevarsi alla funzione di Guizot della controrivoluzione francese, negli ultimi tempi di Luigi Filippo condusse una guerra a colpi di penna per l'industria, contro la speculazione e il suo tirapiedi, il governo. Bastiat, in nome di Bordeaux e di tutta la Francia vinicola, faceva dell'agitazione contro il sistema dominante.
La piccola borghesia in tutte le sue gradazioni, ed egualmente la classe dei contadini, erano del tutto escluse dal potere politico. Si trovavano infine nell'opposizione ufficiale, oppure erano esclusi del tutto dal pays légal [3] i rappresentanti ideologici e i portavoce delle classi accennate, i loro scienziati, avvocati, medici, ecc.: in una parola, le loro cosiddette capacità.
Il disagio finanziario rese fin dall'inizio la monarchia di luglio dipendente dalla grande borghesia, e la sua dipendenza dalla grande borghesia fu la sorgente inesauribile di un crescente disagio finanziario. Impossibile subordinare l'amministrazione dello Stato all'interesse della produzione nazionale senza stabilire l'equilibrio nel bilancio, l'equilibrio tra le uscite e le entrate dello Stato. E come stabilire questo equilibrio senza limitare le spese dello Stato, cioè senza vulnerare interessi che erano altrettanti sostegni del sistema dominante, e senza riordinare la ripartizione delle imposte, cioè senza rigettare una parte notevole del peso delle imposte sulle spalle della grande borghesia stessa?
EM> L'indebitamento dello Stato era, al contrario, l'interesse diretto della frazione della borghesia che governava e legiferava per mezzo delle Camere. Il disavanzo dello Stato era infatti il vero e proprio oggetto della sua speculazione e la fonte principale del suo arricchimento. Ogni anno un nuovo disavanzo. Dopo quattro o cinque anni un nuovo prestito offriva all'aristocrazia finanziaria una nuova occasione di truffare lo Stato che, mantenuto artificiosamente sull'orlo della bancarotta, era costretto a contrattare coi banchieri alle condizioni più sfavorevoli. Ogni nuovo prestito era una nuova occasione di svaligiare il pubblico, che investe i suoi capitali in rendita dello Stato, mediante operazioni di Borsa al cui segreto erano iniziati il governo e la maggioranza della Camera. In generale la situazione instabile del credito pubblico e il possesso dei segreti di Stato offrivano ai banchieri e ai loro affiliati nelle Camere e sul trono la possibilità di provocare delle oscillazioni straordinarie improvvise, nel corso dei titoli di Stato; e il risultato costante di queste oscillazioni non poteva essere altro che la rovina di una massa di capitalisti più piccoli e l'arricchimento favolosamente rapido dei giocatori in grande. Perché il disavanzo dello Stato era nell'interesse diretto della frazione borghese dominante, si spiega come le spese straordinarie dello Stato negli ultimi anni del governo di Luigi Filippo superassero di molto il doppio delle spese straordinarie dello Stato sotto Napoleone [4] e toccassero quasi la somma annua di 400 milioni di franchi, mentre l'esportazione media complessiva della Francia raggiungeva di rado la somma di 750 milioni di franchi. Le enormi somme che in tal modo passavano per le mani dello Stato davano inoltre l'occasione a contratti di appalto fraudolenti, a corruzioni, a malversazioni, a bricconate d'ogni specie. Lo svaligiamento dello Stato, che si faceva in grande coi prestiti, si ripeteva al minuto nel lavori pubblici. I rapporti tra la Camera e il governo si moltiplicavano sotto forma di rapporti tra amministrazioni singole e singoli imprenditori.
Al pari delle spese pubbliche in generale e dei prestiti dello Stato, la classe dominante sfruttava le costruzioni ferroviarie. Le Camere addossavano allo Stato i carichi principali e assicuravano la manna dorata all'aristocrazia finanziaria speculatrice. Sono nella memoria di tutti gli scandali che scoppiarono alla Camera dei deputati quando il caso fece venire a galla che tutti quanti i membri della maggioranza, compresa una parte dei ministri, partecipavano come azionisti a quelle medesime costruzioni ferroviarie che essi facevano poi, come legislatori, eseguire a spese dello Stato.
La più piccola riforma finanziaria, invece, naufragava davanti alla influenza dei banchieri. Così, ad esempio, la riforma postale. Rothschild protestò contro di essa. Poteva lo Stato ridurre delle sorgenti di reddito da cui egli ricavava le somme per gli interessi del suo debito sempre crescente?
La monarchia di luglio non era altro che una società per azioni per lo sfruttamento della ricchezza nazionale francese, società i cui dividendi si ripartivano fra i ministri, i banchieri, 240 mila elettori e il loro seguito. Luigi Filippo era il direttore di questa società: Robert Macaire sul trono. Commercio, industria, agricoltura, navigazione, gli interessi della borghesia industriale dovevano sotto questo sistema essere continuamente minacciati e compromessi. Governo a buon mercato, gouvernement à bon marché, aveva scritto la borghesia industriale nelle giornate di luglio sulla propria bandiera.
Mentre l'aristocrazia finanziaria faceva le leggi, dirigeva l'amministrazione dello Stato, disponeva di tutti i pubblici poteri organizzati, dominava l'opinione pubblica coi fatti e con la stampa, in tutti gli ambienti, dalla corte sino al Café Borgne [5], si spandeva l'identica prostituzione, l'identica frode svergognata, l'identica smania di arricchirsi non con la produzione, ma rubando le ricchezze altrui già esistenti. Alla sommità stessa della società borghese trionfava il soddisfacimento sfrenato, in urto ad ogni istante con le stesse leggi borghesi, degli appetiti malsani e sregolati in cui logicamente cerca la sua soddisfazione la ricchezza scaturita dal gioco, in cui il godimento diventa gozzoviglia, e il denaro, il fango e il sangue scorrono insieme. L'aristocrazia finanziaria, nelle sue forme di guadagno come nel suoi piaceri, non è altro che la riproduzione del sottoproletariato[6] alla sommità della società borghese.
E le frazioni della borghesia francese che non erano al potere gridavano alla corruzione! Quando nel 1847 sulle scene più elevate della società borghese vennero pubblicamente rappresentati gli stessi spettacoli che regolarmente conducono il sottoproletariato nel bordelli, nel ricoveri di mendicità e nel manicomi, davanti al giudice, in carcere e alla ghigliottina, il popolo gridava: abbasso i grandi ladri! abbasso gli assassini! La borghesia industriale vedeva compromessi i propri interessi, la piccola borghesia era moralmente sdegnata, la fantasia popolare si ribellava. Parigi era inondata di libelli - "la dinastia Rothschild", "gli ebrei re dell'epoca" ecc. - in cui il dominio dell'aristocrazia finanziaria veniva denunciato e bollato con maggiore o minore spirito.
Rien pour la gloire! La gloria non rende niente! La pace sempre e dappertutto!La guerra fa cadere il corso della rendita al 3 e al 4 per cento. Così aveva scritto sulle sue bandiere la Francia degli strozzini di Borsa. La sua politica estera si perdette perciò in una serie di umiliazioni del sentimento nazionale francese, il quale reagì in modo particolarmente vivace quando con l'annessione di Cracovia all'Austria venne condotto a termine l'assassinio della Polonia, e quando Guizot, nella guerra svizzera del Sonderbund, prese parte attiva a favore della Santa Alleanza. La vittoria dei liberali svizzeri in questo simulacro di guerra risollevò gli spiriti dell'opposizione borghese in Francia; la sanguinosa insurrezione del popolo di Palermo agì come una scossa elettrica sulla massa popolare paralizzata, ne risvegliò i grandi ricordi e le passioni rivoluzionarle [7].
Lo scoppio del malcontento generale, il passaggio dal disagio alla rivolta venne infine accelerato da due avvenimenti economi mondiali.
La malattia delle patate e i cattivi raccolti del 1845 e del 1846 accrebbero l'effervescenza generale del popolo. Il rincaro della vita nel 1847 provocò in Francia, come nel resto del continente, conflitti sanguinosi. Di fronte alle orge svergognate dell'aristocrazia finanziaria, la lotta del popolo per i mezzi di sussistenza indispensabili! A Buzançais l'esecuzione dei rivoltosi per fame [8], a Parigi i truffatori satolli strappati ai tribunali dalla famiglia reale.
Il secondo grande avvenimento economico che affrettò lo scoppio della rivoluzione fu una crisi generale del commercio e dell'industria in Inghilterra. Annunciata già nell'autunno 1845 dalla rovina in massa degli speculatori sulle azioni ferroviarie, contenuta durante il 1846 da una serie di circostanze occasionali come l'imminente abolizione dei dazi sul grano [9], essa scoppiò finalmente nell'autunno del 1847 con la bancarotta dei grandi mercanti di coloniali di Londra, seguita immediatamente dai fallimenti delle banche agricole e dalla chiusura delle fabbriche nei distretti industriali inglesi. Non erano ancora cessate le ripercussioni di questa crisi sul continente, quando scoppiò la rivoluzione di febbraio.
Le devastazioni prodotte nel commercio e nell'industria dall'epidemia economica resero ancora più insopportabile il dominio esclusivo dell'aristocrazia finanziaria. La borghesia di opposizione iniziò in tutta la Francia l'agitazione dei banchetti per una riforma elettorale che avrebbe dovuto permetterle di conquistare la maggioranza nelle Camere e di rovesciare il ministero della Borsa [10]. A Parigi in particolare la crisi industriale ebbe anche la conseguenza di respingere verso il commercio interno una massa di industriali e di grossisti, che nelle condizioni del momento non potevano più fare affari sul mercato estero. Essi impiantarono grandi stabilimenti la cui concorrenza causò la rovina di una massa di droghieri e di bottegai. Quindi una quantità innumerevole di fallimenti in questo settore della borghesia di Parigi, quindi la sua azione rivoluzionaria nel mese di febbraio. E noto come Guizot e le Camere risposero alle proposte di riforma con una sfida aperta; come Luigi Filippo si decise troppo tardi per un ministero Barrot; come il popolo e l'esercito vennero alle mani; come l'esercito fu disarmato grazie al contegno passivo della guardia nazionale; come la monarchia di luglio dovette cedere il posto a un governo provvisorio.
Il governo provvisorio, sorto dalle barricate di febbraio, rispecchiava necessariamente nella sua composizione i diversi partiti che si erano divisa la vittoria. Esso non poteva esser altro che un compromesso tra le diverse classi che insieme avevano abbattuto il trono di luglio [11]; ma i cui interessi erano opposti ed ostili. La sua grande maggioranza era composta di rappresentanti della borghesia. La piccola borghesia repubblicana era rappresentata da Ledru-Rollin e da Flocon, la borghesia repubblicana dagli uomini del "National" [12], l'opposizione dinastica da Crémieux, Dupont de L'Eure, ecc. La classe operaia aveva due soli rappresentanti, Louis Blanc e Albert. Lamartine, infine, dapprincipio non rappresentava nel governo provvisorio nessun interesse reale, nessuna classe determinata; egli era la rivoluzione di febbraio stessa, l'insurrezione di tutti, con le sue illusioni, la sua poesia, il suo contenuto, chimerico e le sue frasi. Del resto questo rappresentante della rivoluzione di febbraio, tanto per la sua posizione che per le sue idee, apparteneva alla borghesia.
Se Parigi, grazie all'accentramento politico, domina la Francia, nei momenti di convulsioni rivoluzionarle gli operai dominano Parigi. Primo atto di vita del governo provvisorio fu il tentativo di sottrarsi a questo influsso preponderante facendo appello alla sobria Francia contro l'ebbra Parigi. Lamartine contestò ai Combattenti delle barricate il diritto di proclamare la repubblica, affermando che solo la maggioranza dei francesi aveva facoltà di farlo, che si doveva attendere ch'essa esprimesse il suo voto, che il proletariato di Parigi non doveva macchiare la sua vittoria con una usurpazione [13]. La borghesia consente al proletariato soltanto una usurpazione: quella della lotta.
Il 25 febbraio, verso mezzogiorno, la repubblica non era ancora proclamata, mentre tutti i ministeri erano già ripartiti tra gli elementi borghesi del governo provvisorio e tra i generali, i banchieri e gli avvocati del "National". Ma gli operai questa volta erano decisi a non tollerare una mistificazione come quella del luglio 1830. Essi erano pronti a riprendere la lotta e a imporre la repubblica con la forza delle armi. Questo fu il messaggio col quale Raspail si recò all'Hôtel de Ville. In nome del proletariato parigino egli intimò al governo provvisorio di proclamare la repubblica; se questa intimazione del popolo non fosse stata eseguita entro due ore, egli sarebbe ritornato alla testa di duecentomila uomini. I cadaveri dei caduti non erano ancora freddi, le barricate non erano ancora state rimosse, gli operai non erano ancora disarmati, e l'unica forza che si potesse opporre loro era la guardia nazionale. In tali circostanze svanivano immediatamente le savie considerazioni politiche e gli scrupoli di coscienza giuridici del governo provvisorio. Non era trascorso il termine di due ore, e già su tutti i muri di Parigi splendevano le storiche grandiose parole:
Rèpublique française! Libertè, Egalité, Fraternité! [14].
Con la proclamazione della repubblica sulla base del suffragio universale si spense persino il ricordo degli scopi e degli obiettivi limitati che avevano spinto la borghesia alla rivoluzione di febbraio. Invece di alcune poche frazioni della borghesia, tutte le classi della società francese furono gettate di colpo nella cerchia del potere politico, costrette ad abbandonare i palchi, la platea, la galleria, e a recitare in persona sulla scena della rivoluzione! Con la monarchia costituzionale venne meno anche l'apparenza di un potere statale che si opponesse di proprio arbitrio alla società borghese, e scomparvero tutte le lotte di carattere subordinato, provocate da quella sembianza di potere!
Il proletariato, imponendo la repubblica al governo provvisorio e, attraverso il governo provvisorio, a tutta la Francia, occupava d'un colpo il centro della scena come partito indipendente, ma in pari tempo gettava una sfida a tutta la Francia borghese. Ciò che esso aveva conquistato era il terreno della lotta per la propria emancipazione rivoluzionaria, ma non era certamente questa emancipazione.
Era necessario, invece, che la repubblica di febbraio innanzitutto portasse a compimento il dominio della borghesia, facendo entrare, accanto all'aristocrazia finanziaria, tutte le classi possidenti nella cerchia dei potere politico. La maggioranza dei grandi proprietari fondiari, i legittimisti, vennero fatti uscire dal nulla politico a cui li aveva condannati la monarchia di luglio. Non invano la "Gazette de France" [15] aveva condotto l'agitazione insieme con l'opposizione; non invano La Rochejacquelein, nella seduta della Camera dei deputati del 24 febbraio, aveva abbracciato il partito della rivoluzione. Mediante il suffragio universale i proprietari nominali che costituiscono la grande maggioranza dei francesi, i contadini, vennero fatti arbitri dei destini della Francia. La repubblica di febbraio fece finalmente apparire senza veli il dominio della borghesia, poiché abbatté la corona, dietro alla quale si era nascosto il capitale.
Come gli operai nelle giornate di luglio avevano conquistato la monarchia borghese, così nelle giornate di febbraio conquistarono la repubblica borghese. Come la monarchia di luglio era stata costretta a proclamarsi monarchia circondata da istituzioni repubblicane, così la repubblica di febbraio fu costretta a proclamarsi repubblica circondata da istituzioni sociali. Il proletariato parigino strappò anche questa concessione.
Marche, un operaio, dettò il decreto con cui il governo provvisorio appena costituito si obbligava ad assicurare mediante il lavoro l'esistenza dei lavoratori, a provvedere lavoro a tutti i cittadini, ecc. E allorquando, pochi giorni più tardi, il governo dimenticò le sue promesse e sembrò aver perduto di vista il proletariato,una massa di 20 mila operai marciò sull'Hôtel de Ville al grido di Organizzazione del lavoro! Costituzione di uno speciale ministero del lavoro! Riluttante e dopo lunghe discussioni, il governo provvisorio nominò una commissione speciale permanente incaricata di trovare i mezzi per il miglioramento delle classi lavoratrici! Questa commissione venne composta di delegati delle corporazioni di mestiere di Parigi e presieduta da Louis Blanc e Albert. Come sala per le riunioni venne assegnato il Lussemburgo. Così i rappresentanti della classe operaia venivano banditi dalla sede del governo provvisorio; la parte borghese di esso tenne nelle sue mani in modo esclusivo il potere effettivo dello Stato e le redini dell'amministrazione, e accanto ai ministeri delle finanze, del commercio, dei lavori pubblici, accanto alla banca e alla Borsa, sorse una sinagoga socialista, i cui sommi sacerdoti, Louis Blanc e Albert, avevano la missione di scoprire la terra promessa, di annunciare il nuovo vangelo e di intrattenere il proletariato parigino. A differenza di ogni profano potere statale, non era a loro disposizione nessun bilancio, nessun potere esecutivo. Con la loro testa essi dovevano abbattere i pilastri fondamentali della società borghese. Mentre il Lussemburgo cercava la pietra filosofale, nell'Hôtel de Ville si batteva la moneta a corso legale.
Però, le aspirazioni del proletariato di Parigi, in quanto andavano più in là della repubblica borghese, non potevano concretarsi altrimenti che nella nebulosa del Lussemburgo.
Gli operai avevano fatto insieme con la borghesia la rivoluzione di febbraio; accanto alla borghesia essi cercavano di far valere i loro interessi, allo stesso modo che nel governo provvisorio stesso avevano istallato un operaio accanto alla maggioranza borghese. Organizzazione del lavoro! Ma il lavoro salariato è l'attuale organizzazione borghese del lavoro. Senza di esso non vi è né capitale, né borghesia, né società borghese. Un proprio ministero del lavoro! Ma i ministeri delle finanze, del commercio, dei lavori pubblici, non sono forse i ministeri borghesi del lavoro? Accanto ad essi un ministero proletario del lavoro non poteva non essere che un ministero dell'impotenza, un ministero dei pii desideri, una commissione del Lussemburgo. Come gli operai credevano di emanciparsi accanto alla borghesia, così pensavano di potere compiere, accanto alle altre nazioni borghesi, una rivoluzione proletaria entro le pareti nazionali della Francia. Ma i rapporti di produzione francesi sono condizionati dal commercio estero della Francia, dalla sua posizione sul mercato mondiale e dalle leggi di questo. Come avrebbe potuto la Francia spezzare queste leggi senza una guerra rivoluzionaria sul continente europeo che si ripercuotesse sul despota del mercato mondiale, sull'Inghilterra?
Una classe nella quale si concentrano gli interessi rivoluzionari della società, non appena si è sollevata trova immediatamente nella sua stessa situazione il contenuto e il materiale della propria attività rivoluzionaria: abbattere i nemici, prendere misure imposte dalle necessità stesse della lotta. Le conseguenze delle sue proprie azioni la spingono avanti. Essa non inizia indagini teoriche sui suoi compiti. La classe operaia francese non si trovava a questa altezza: essa era ancora incapace di fare la sua propria rivoluzione.
Lo sviluppo del proletariato industriale è condizionato, in generale, dallo sviluppo della borghesia industriale. È soltanto sotto il dominio della borghesia industriale che il proletariato industriale acquista quella larga esistenza nazionale, la quale rende nazionale la sua rivoluzione, crea i moderni mezzi di produzione, i quali diventano in pari tempo i mezzi della sua emancipazione rivoluzionaria. Solo il dominio della borghesia industriale strappa le radici materiali della società feudale e spiana il terreno, sul quale solamente è possibile una rivoluzione proletaria. L'industria francese è più evoluta e la borghesia francese più rivoluzionaria che quella del resto del continente. Ma la rivoluzione di febbraio non era diretta immediatamente contro l'aristocrazia finanziaria? Questo fatto provava che non era la borghesia industriale che dominava in Francia. La borghesia industriale può dominare soltanto là dove l'industria moderna foggia a propria immagine tutti i rapporti di proprietà, e l'industria può raggiungere questo potere solo quando ha conquistato il mercato mondiale, perché i confini nazionali non bastano al suo sviluppo. Ma l'industria francese in gran parte si assicura lo stesso mercato nazionale solo mediante un sistema produttivo più o meno modificato [16]. Se il proletariato francese, per conseguenza, possiede a Parigi, nel momento di una rivoluzione, un potere di fatto e una influenza che lo spingono ad andare al di là dei suoi propri mezzi, nel resto della Francia è raccolto in singoli centri industriali isolati, e quasi sempre scompare in mezzo a una massa preponderante di contadini e piccoli borghesi. La lotta contro il capitale nella sua forma moderna, sviluppata, nella sua fase culminante, la lotta del salariato industriale contro il borghese industriale, è in Francia un fatto parziale, che dopo le giornate di febbraio tanto meno poteva fornire il contenuto nazionale della rivoluzione, in quanto la lotta contro i metodi secondari di sfruttamento capitalistico, dei contadini contro l'usura ipotecaria, del piccolo borghese contro il grande commerciante, il banchiere e l'industriale, in una parola, contro la bancarotta, era ancora confusa nel sollevamento generale contro l'aristocrazia finanziaria in generale. Nulla di più spiegabile, dunque, che il tentativo da parte del proletariato parigino di difendere il suo interesse accanto a quello borghese, invece di farlo valere come interesse rivoluzionario della società stessa. Nulla di più spiegabile del fatto che il proletariato lasciasse cadere la bandiera rossa davanti a quella tricolore [17]. Gli operai francesi non potevano né muovere un passo avanti, né torcere un capello all'ordine borghese prima che il corso della rivoluzione non avesse sollevato la massa della nazione che sta tra il proletariato e la borghesia, cioè i contadini e la piccola borghesia, contro questo ordine borghese, contro il dominio del capitale, non li avesse costretti ad unirsi ai proletari come a loro avanguardia. Solo attraverso la terribile disfatta di giugno gli operai potevano guadagnarsi questa vittoria.
Alla commissione del Lussemburgo, a questa creatura degli operai parigini, spetta il merito di aver svelato dall'alto di una tribuna europea il segreto della rivoluzione del secolo decimonono: l'emancipazione del proletariato. Il "Moniteur" [18] era furibondo di dover propagare ufficialmente le "sfrenate stravaganze" che sino allora erano rimaste sepolte negli scritti apocrifi dei socialisti, e solo di quando in quando avevano percosso l'orecchio della borghesia, come leggende lontane, metà paurose, metà ridicole. L'Europa fu destata di soprassalto dalla sua sonnolenza borghese. Nell'idea dei proletari, dunque, i quali scambiavano l'aristocrazia finanziaria con la borghesia in generale; nell'immaginazione dei valentuomini repubblicani, i quali negavano l'esistenza stessa delle classi o tutt'al più l'ammettevano come conseguenza della monarchia costituzionale; nelle frasi ipocrite delle frazioni borghesi fino allora escluse dal potere, il dominio della borghesia era stato soppresso con la proclamazione della repubblica. Tutti i monarchici si trasformarono in repubblicani e tutti i milionari di Parigi in operai. La frase che corrisponde a questa pretesa eliminazione dei rapporti di classe fu la fraternité l'affratellamento e la fratellanza universali. Questa idillica astrazione dai contrasti di classe, questo livellamento sentimentale degli interessi di classe contraddittori, questo immaginario elevarsi al di sopra della lotta di classe - la fraternité, ecco quale fu la vera parola d'ordine della rivoluzione di febbraio. Ciò che divideva le classi era un semplice malinteso, e Lamartine il 24 febbraio battezzò il governo provvisorio: "Un governo che sospende questo terribile malinteso che esiste... tra le diverse classi". Il proletariato parigino si sdilinquiva in questa magnanima ebbrezza di fraternità.
Il governo provvisorio, dal canto suo, una volta costretto a proclamare la repubblica, fece di tutto per renderla accetta alla borghesia e alle province. I sanguinosi orrori della prima repubblica francese [19] vennero rinnegati abolendo la pena di morte per i delitti politici; si dette libertà di stampa a tutte le opinioni; l'esercito, i tribunali, l'amministrazione rimasero, salvo poche eccezioni, nelle mani dei loro vecchi funzionari; nessuno dei grandi colpevoli della monarchia di luglio fu chiamato a render conto. I repubblicani del "National" si divertirono a cambiare nomi e costumi monarchici con vecchi costumi repubblicani. La repubblica non era per loro altro che un nuovo costume da ballo per la vecchia società borghese. Il suo merito principale la nuova repubblica lo cercò nel non incutere terrore, anzi nell'essere piuttosto essa stessa continuamente sotto l'incubo del terrore, e nel conquistarsi l'esistenza e disarmare la resistenza con la molle cedevolezza e col non resistere affatto. Alle classi privilegiate all'interno, alle potenze dispotiche all'estero, venne annunciato solamente che la repubblica era di natura pacifica. Vivere e lasciar vivere era la sua insegna. Si aggiunse che poco dopo la rivoluzione di febbraio, tedeschi , polacchi, austriaci, ungheresi, italiani, ciascun popolo a seconda della sua situazione immediata, si rivoltarono. La Russia e l'Inghilterra, questa agitata essa stessa, e la prima intimidita, erano impreparate. La repubblica non trovò dunque di fronte a sé nessun nemico nazionale, e nessuna complicazione internazionale rilevante, che potesse ravvivare le energie, accelerare il processo rivoluzionario, spingere avanti il governo provvisorio o gettarlo a mare. Il proletariato parigino, che riconosceva nella repubblica la propria creatura, applaudiva naturalmente ogni atto del governo provvisorio che permettesse a questo di migliorare la sua posizione nella società borghese. Esso si lasciò volontariamente adoperare da Caussidière in servizi di polizia per difendere la proprietà a Parigi, così come lasciò arbitrare da Louis Blanc i conflitti salariali tra operai e padroni. Il suo punto d'onore consisteva nel mantenere intatto agli occhi dell'Europa l'onore borghese della repubblica.
La repubblica non trovò nessuna resistenza, né all'estero né all'interno. Con ciò essa fu disarmata. Il suo compito non consistette più nella trasformazione rivoluzionarla del mondo, ma soltanto nell'adattarsi alle condizioni della società borghese. Non vi è testimonianza più eloquente del fanatismo con cui il governo provvisorio si accinse a questo compito, dei suoi provvedimenti finanziari.
Il credito pubblico e il credito privato erano, naturalmente, scossi. Il credito pubblico riposa sulla fiducia che lo Stato si lasci sfruttare dagli strozzini della finanza. Ma il vecchio Stato era scomparso e la rivoluzione era anzitutto diretta contro l'aristocrazia finanziaria. Le convulsioni dell'ultima crisi commerciale europea non erano ancora cessate. Le bancarotte succedevano ancora alle bancarotte.
Il credito privato era dunque paralizzato, la circolazione impedita, la produzione arenata, già prima che la rivoluzione di febbraio scoppiasse. La crisi rivoluzionaria rese piùacuta quella commerciale. E poiché il credito privato riposa sulla fiducia che la produzione borghese in tutto l'ambito dei suoi rapporti, cioè l'ordine borghese, sia intatta e intangibile, quali potevano essere le conseguenze di una rivoluzione che poneva in discussione la base della produzione borghese, la servitù economica del proletariato, che drizzava di fronte alla Borsa la sfinge del Lussemburgo? L'avvento del proletariato è la distruzione del credito borghese; perché è la distruzione della produzione borghese e del suo ordinamento. Il credito pubblico e il credito privato sono il termometro economico col quale si può misurare l'intensità di una rivoluzione. Nella stessa misura in cui essi precipitano, salgono l'ardore e la forza creatrice della rivoluzione.
Il governo provvisorio voleva spogliare la repubblica dell'apparenza antiborghese. Perciò doveva innanzitutto cercare di assicurare il valore di scambio di questa nuova forma dello Stato, il suo corso in Borsa. Col salire della quotazione della repubblica in Borsa, doveva necessariamente rialzarsi il credito privato.
Per allontanare anche il sospetto che non volesse o non potesse adempiere agli obblighi ereditati dalla monarchia, per dar credito alla morale e alla solvibilità borghesi della repubblica, il governo fece ricorso a una millanteria altrettanto priva di dignità quanto puerile. Prima del termine legale di pagamento sborsò al creditori dello Stato gli interessi del 5 per cento, del 4 e mezzo e del 4 per cento. La prosopopea borghese e la sicurezza di sé dei capitalisti si ridestarono d'un tratto, quando videro la precipitazione timorosa con cui si cercava di comperare la loro fiducia.
Naturalmente le difficoltà pecuniarie del governo provvisorio non furono per nulla diminuite da un colpo di scena che gli sottraeva il denaro contante disponibile. Il disagio finanziario non poté più a lungo essere dissimulato, e piccoli borghesi, domestici, operai, dovettero pagare la gradita sorpresa offerta ai creditori dello Stato.
Fu dichiarato che i libretti delle casse di risparmio non potevano più cambiarsi in denaro al di sopra dell'importo di 100 franchi. Le somme depositate nelle casse di risparmio vennero confiscate e convertite con decreto in un debito di Stato non redimibile. Era il modo di mettere contro la repubblica il piccolo borghese, già in cattive acque anche senza di ciò. Ricevendo in luogo dei suoi libretti di risparmio titoli del debito pubblico, egli fu costretto ad andare a venderli in Borsa, e così a mettersi direttamente nelle mani degli strozzini della Borsa, contro i quali aveva fatto la rivoluzione di febbraio.
L'aristocrazia finanziaria, che aveva dominato sotto la monarchia di luglio, aveva la sua cattedrale nella banca. Come la Borsa regola il credito di Stato, così la banca regola il credito commerciale.
Minacciata direttamente dalla rivoluzione di febbraio non solo nel suo dominio, ma nella sua stessa esistenza, la banca cercò sin dal primo momento di screditare la repubblica, rendendo generale la mancanza di credito. D'un tratto essa sospese il credito ai banchieri, agli industriali, ai commercianti. Questa manovra, non avendo provocato immediatamente una controrivoluzione, si ripercosse inevitabilmente sulla banca stessa. I capitalisti ritirarono il denaro che avevano depositato nei sotterranei della banca. I possessori di biglietti di banca si precipitarono alla cassa per cambiarli in oro ed argento.
Il governo provvisorio avrebbe potuto costringere la banca al fallimento, senza alcun intervento violento, in modo legale. Bastava che rimanesse passivo e abbandonasse la banca al suo destino. La bancarotta della banca era il diluvio che avrebbe, in un batter d'occhio, spazzato dal suolo della Francia l'aristocrazia finanziaria, la nemica più potente e più pericolosa della repubblica, il piedistallo d'oro della monarchia di luglio. E una volta fallita la banca, la borghesia stessa sarebbe stata costretta a considerare come ultimo disperato tentativo di salvezza la creazione da parte del governo di una banca nazionale e la sottomissione del credito nazionale al controllo della nazione.
Il governo provvisorio, invece, stabilì il corso forzoso dei biglietti di banca. Esso fece di più: convertì tutte le banche di provincia in succursali della Banque de France e lasciò che questa gettasse la sua rete su tutta la Francia. Più tardi le dette le foreste demaniali, come garanzia per un prestito che contrasse con essa. Così la rivoluzione di febbraio consolidava ed estendeva in modo diretto la bancocrazia che avrebbe dovuto abbattere.
Frattanto il governo provvisorio si piegava sotto l'incubo di un crescente disavanzo. Invano andava mendicando sacrifici patriottici. Solo gli operai gli gettavano la loro elemosina. Si dovette ricorrere ad un mezzo eroico, all'introduzione di una nuova imposta. Ma su chi farla cadere? Sui lupi della Borsa, sui re della banca, sui creditori dello Stato, su chi viveva di rendita, sugli industriali? Non era il mezzo di cattivare alla repubblica la borghesia. Da una parte era un mettere a repentaglio il credito dello Stato e il credito commerciale, mentre dall'altra parte si cercava di mantenerlo con così grandi sacrifici e umiliazioni. Ma qualcuno doveva sborsare. Chi venne sacrificato al credito borghese? Jacques le bonhomme [20], il contadino.
Il governo provvisorio aggiunse una percentuale addizionale di 45 centesimi per franco alle quattro imposte dirette. Al proletariato parigino la stampa governativa fece credere che questa imposta cadeva essenzialmente sulla grande proprietà fondiaria sui possessori dei miliardi concessi dalla restaurazione [21]. In realtà però essa colpiva anzitutto la classe dei contadini, cioè la grande maggioranza del popolo francese. Essi dovettero pagare le spese della rivoluzione di febbraio e da essi la controrivoluzione trasse le sue forze principali. L'imposta dei 45 centesimi era una questione di vita o di morte per il contadino francese; egli ne fece una questione di vita o di morte per la repubblica. Da questo momento la repubblica fu per il contadino francese l'imposta dei 45 centesimi, e nel proletariato parigino egli vide lo scialacquatore che se la spassava a sue spese.
Mentre la rivoluzione del 1789 aveva esordito liberando i contadini dal gravami feudali, la rivoluzione del 1848, per non recar danno al capitale e tenere in carreggiata la sua macchina dello Stato, si annunciava alla popolazione rurale con una nuova imposta.
Con un mezzo solo il governo provvisorio avrebbe potuto eliminare tutti questi inconvenienti e trarre lo Stato dal suo vecchio binario: dichiarando la bancarotta dello Stato. È nella memoria di tutti come Ledru-Rollin, più tardi, recitava all'Assemblea nazionale la commedia della virtuosa indignazione, respingendo un suggerimento di questo genere dello strozzino di Borsa Fould, attuale ministro delle finanze. Quello che Fould gli offriva era il frutto dell'albero della sapienza.
Riconoscendo la cambiale presentata allo Stato dalla vecchia società borghese, il governo provvisorio era caduto sotto il dominio di questa. Era diventato un debitore moroso della società borghese, invece di opporsi ad essa come un creditore minaccioso, che aveva da incassare titoli di credito rivoluzionari di parecchi anni. Esso si trovava costretto a consolidare i vacillanti rapporti borghesi, per adempiere obbligazioni che sono da adempiersi soltanto entro questi rapporti. Il credito diventò condizione vitale della sua esistenza, e le concessioni al proletariato, e le promesse fattegli, diventarono altrettante catene che dovevano essere spezzate. L'emancipazione degli operai - anche solo come frase - divenne per la nuova repubblica un pericolo insopportabile perché era una protesta permanente contro la restaurazione del credito, la quale poggia sul riconoscimento indisturbato e incontestato dei rapporti economici di classe esistenti. Si doveva dunque farla finita con gli operai.
La rivoluzione di febbraio aveva cacciato l'esercito da Parigi. La guardia nazionale, cioè la borghesia nelle sue diverse gradazioni, era l'unica forza armata. Essa non si sentiva però abbastanza forte per misurarsi da sola col proletariato. Inoltre era stata costretta, benché dopo la più tenace resistenza e opponendo cento ostacoli diversi, ad aprire a poco a poco e in parte le sue file, e a lasciarvi entrare dei proletari armati. Non rimaneva dunque che una via d'uscita: opporre una parte dei proletari all'altra.
A questo scopo il governo provvisorio formò 24 battaglioni di guardie mobili, ciascuno di 1.000 uomini dai 15 ai 20 anni. Essi appartenevano per la maggior parte al sottoproletariato, che in tutte le grandi città forma una massa nettamente distinta dal proletariato industriale, nella quale si reclutano ladri e delinquenti di ogni genere, che vivono dei rifiuti della società; gente senza un mestiere definito, vagabondi, gens sans feu et sans aveu [22], diversi secondo il grado di civiltà della nazione cui appartengono, ma che non perdono mai il carattere dei lazzaroni. Facilmente influenzabili per l'età giovanile in cui il governo provvisorio li reclutava, questi elementi erano perfettamente capaci tanto delle più grandi azioni eroiche e della più esaltata abnegazione, quanto dei più volgari atti di banditismo e della più sordida venalità. Il governo provvisorio pagava loro un franco e 50 centesimi al giorno, cioè li comperava. Dette loro una uniforme speciale, cioè li distinse esteriormente dalla blusa dell'operaio. Come comandanti, in parte vennero dati loro ufficiali dell'esercito regolare; in parte si scelsero essi stessi dei giovani figli di borghesi, le cui spacconate di morte per la patria e di sacrificio per la repubblica li attiravano.
In questo modo il proletariato di Parigi trovò davanti a sé un esercito, tratto dal suo seno, di 24.000 giovani forti, audaci, e prepotenti. Quando la guardia mobile sfilò per Parigi, l'accolse con degli evviva. In essa riconosceva i suoi combattenti d'avanguardia sulle barricate, e la considerava come la guardia proletaria in opposizione alla guardia nazionale borghese. Il suo errore era perdonabile.
Accanto alla guardia mobile il governo decise di raccogliere attorno a sé anche un esercito di operai industriali. Il ministro Marie arruolò nel cosiddetti laboratori nazionali [23] centomila operai gettati sul lastrico dalla crisi e dalla rivoluzione. Sotto questo nome pomposo non si celava altro che l'impiego degli operai a lavori di sterro noiosi, monotoni, improduttivi, per un salario di 23 soldi. Workhouses [24] inglesi all'aria aperta: altro non erano questi laboratori nazionali. In essi il governo provvisorio credette di aver trovato un secondo esercito proletario contro gli operai stessi. Questa volta la borghesia si ingannava circa i laboratori nazionali, come gli operai si ingannavano circa la guardia mobile. Essa aveva creato un esercito per la sommossa.
Ma uno scopo venne raggiunto.
Laboratori nazionali - era il nome dei laboratori popolari che Louis Blanc predicava nel Lussemburgo. I laboratori di Marie, progettati in diretta opposizione al Lussemburgo, causarono, grazie all'appellativo comune, una selva di equivoci, degni della commedia spagnola dei servitori. Lo stesso governo provvisorio diffondeva sottomano la voce che questi laboratori nazionali fossero la trovata di Louis Blanc, e la cosa sembrava tanto più attendibile in quanto Louis Blanc, il profeta dei laboratori nazionali, era membro del governo provvisorio. E nella confusione, in parte ingenua, in parte intenzionale, della borghesia parigina, nell'opinione, mantenuta ad arte, della Francia e dell'Europa, quelle workhouses furono la prima realizzazione del socialismo, che insieme con esse veniva messo alla gogna.
Non per il loro contenuto, ma per il loro nome, i laboratori nazionali erano l'incarnazione della protesta del proletariato contro l'industria borghese, il credito borghese e la repubblica borghese. Su di essi si riversò quindi tutto l'odio della borghesia. In essi la borghesia aveva in pari tempo trovato il punto contro cui poteva dirigere l'attacco non appena fosse stata abbastanza forte per romperla apertamente con le illusioni di febbraio. Tutto il malessere, tutto il malcontento dei piccoli borghesi si diresse esso pure contro questi laboratori nazionali, che divennero il bersaglio comune. Con vera rabbia essi facevano il conto delle somme inghiottite dai parassiti proletari, mentre la loro situazione diventava di giorno in giorno più insopportabile. Una pensione di Stato per una larva di lavoro, questo è il socialismo! - brontolavano tra di sé. I laboratori nazionali, le declamazioni del Lussemburgo, i cortei degli operai per Parigi: in questo essi cercavano l'origine della loro miseria. E nessuno si scagliava contro le pretese macchinazioni dei comunisti più del piccolo borghese, che si agitava disperatamente sull'abisso della bancarotta.
Così nel conflitto imminente tra la borghesia e il proletariato tutti i vantaggi, tutti i posti decisivi, tutti gli strati intermedi della società erano in mano alla borghesia, mentre le ondate della rivoluzione di febbraio si levavano su tutto il continente e ogni nuovo corriere portava un nuovo bollettino di rivoluzione, ora dall'Italia, ora dalla Germania, ora dall'estremo sud-est dell'Europa, alimentando l'ebbrezza generale del popolo, recandogli continue testimonianze di una vittoria di cui già gli sfuggivano i frutti.
Il 17 marzo e il 16 aprile furono le prime scaramucce della grande lotta di classe che la repubblica borghese nascondeva sotto le sue ali.
Il 17 marzo rivelò la situazione equivoca del proletariato che non permetteva nessuna azione decisiva. Lo scopo originano della sua manifestazione era di risospingere il governo provvisorio sulla via della rivoluzione, di ottenere, secondo le circostanze, l'esclusione dei suoi membri borghesi e di strappare la proroga delle elezioni per l'Assemblea nazionale e per la guardia nazionale. Ma il 16 marzo la borghesia rappresentata nella guardia nazionale aveva fatto una dimostrazione ostile al governo provvisorio. Al grido di "Abbasso Ledru -Rollin!", essa si era mossa verso l'Hôtel de Ville. E il popolo si trovò costretto, il 17 marzo, a gridare: "Viva Ledru -Rollin! Viva il governo provvisorio". Fu costretto a prendere, contro la borghesia, la difesa della repubblica borghese che gli sembrava in pericolo. Consolidò il governo provvisorio, invece di sottometterselo. Il 17 marzo si risolse in una scena da melodramma, e se in quel giorno il proletariato parigino mise ancora una volta in mostra il suo corpo di gigante, tanto piùaumentò nella borghesia, dentro e fuori del governo provvisorio, la decisione di abbatterlo.
Il 16 aprile fu un malinteso, creato dal governo provvisorio insieme alla borghesia. Gli operai si erano radunati in gran numero al Campo di Marte e nell'ippodromo, per preparare le loro elezioni dello stato maggiore della guardia nazionale. D'un tratto si diffuse come un lampo in tutta Parigi, da un capo all'altro, la voce che gli operai si erano radunati in armi al Campo di Marte, sotto la direzione di Louis Blanc, Blanqui, Cabet e Raspail, per marciare di là sull'Hôtel de Ville, rovesciare il governo provvisorio e proclamare un governo comunista. Si suona a raccolta: Ledru Rollin, Marrast e Lamartine si contesero più tardi l'onore dell'iniziativa: in un'ora centomila uomini sono sotto le armi, l'Hôtel de Ville è in ogni suo punto occupato da guardie nazionali, per tutta Parigi risuona il grido: "Abbasso i comunisti! Abbasso Louis Blanc, Blanqui, Raspail, Cabet!", e una massa di deputazioni, tutte pronte a salvare la patria e la società, rendono omaggio al governo provvisorio. Quando gli operai alla fine arrivano davanti all'Hôtel de Ville, per rimettere al governo provvisorio il ricavo di una colletta patriottica, fatta da loro al Campo di Marte, vengono a sapere, stupiti, che Parigi borghese, in una finta battaglia impostata con estremo accorgimento, ha battuto la loro ombra. Il terribile attentato del 16 aprile offrì il pretesto al richiamo dell'esercito a Parigi - il vero scopo della commedia goffamente messa in scena - e alle manifestazioni reazionarie federaliste delle province.
Il 4 maggio si riunì l'Assemblea nazionale uscita dal suffragio universale diretto. Il suffragio universale non possedeva la forza magica che gli avevano attribuito i repubblicani di vecchio stampo. In tutta la Francia, o per lo meno nella maggioranza dei francesi, essi vedevano dei citoyens con gli stessi interessi, le identiche vedute, ecc. Questo era il loro culto del popolo. Invece del loro popolo immaginario, le elezioni trassero alla luce del giorno il popolo vero, cioè i rappresentanti delle diverse classi in cui esso si divide. Abbiamo veduto le ragioni per cui i contadini e i piccoli borghesi dovevano votare sotto la direzione della borghesia impaziente di combattere e dei grandi proprietari fondiari anelanti alla restaurazione. Ma se il suffragio universale non era la miracolosa bacchetta magica che pensavano i valentuomini repubblicani, possedeva però il merito incomparabilmente più grande di scatenare la lotta di classe, di costringere i differenti strati medi della società borghese a superare rapidamente le loro illusioni e le loro delusioni, di spingere di un colpo tutte le frazioni delle classi sfruttatrici alla sommità dello Stato e così strappar loro la maschera dell'ipocrisia, mentre la monarchia col suo sistema censitario comprometteva soltanto determinate frazioni della borghesia e lasciava le altre nascoste dietro le quinte, circondandole dell'aureola di una opposizione collettiva.
Nell'Assemblea nazionale costituente, che si riunì il 4 maggio, i repubblicani borghesi, i repubblicani del "National" avevano il sopravvento. I legittimisti e gli orleanisti stessi sulle prime osavano mostrarsi soltanto sotto la maschera del repubblicanesimo borghese. Soltanto in nome della repubblica poteva essere intrapresa la lotta contro il proletariato.
Dal 4 maggio, non dal 25 febbraio, data la repubblica, vale a dire la repubblica riconosciuta dal popolo francese; non era più la repubblica che il proletariato parigino aveva imposto al governo provvisorio, non era più la repubblica accompagnata da istituzioni sociali; non era più l'immagine di sogno balenata davanti agli occhi dei combattenti delle barricate. La repubblica proclamata dall'Assemblea nazionale, la sola legittima, non era un'arma rivoluzionarla contro l'ordine borghese, ma piuttosto la ricostruzione politica di questo, la restaurazione politica della società borghese, in una parola, era la repubblica borghese. Questa è l'affermazione che risuonò dalla tribuna dell'Assemblea nazionale, e trovò eco in tutta la stampa borghese repubblicana e antirepubblicana.
E noi abbiamo veduto come la repubblica di febbraio in realtà non fosse e non potesse esser altro che una repubblica borghese; ma come il governo provvisorio, sotto la pressione diretta del proletariato, fosse stato costretto ad annunciarla come una repubblica accompagnata da istituzioni sociali; come il proletariato fosse ancora incapace di superare la repubblica borghese altrimenti che nell'idea, nell'immaginazione, come agisse realmente in pro di essa dappertutto dove si veniva realmente all'azione; come le promesse fattegli diventassero per la nuova repubblica un pericolo insopportabile; come tutto il processo della vita del governo provvisorio si riassumesse in una lotta continua contro le rivendicazioni del proletariato.
Nell'Assemblea nazionale, tutta la Francia sedette a giudice del proletariato parigino. L'Assemblea ruppe subito con le illusioni sociali della rivoluzione di febbraio; essa proclamò chiaro e tondo la repubblica borghese, niente altro che la repubblica borghese, escluse immediatamente dalla commissione esecutiva da lei nominata i rappresentanti del proletariato, Louis Blanc e Albert; respinse la proposta di uno speciale ministero del lavoro, accolse con applausi rumorosi la dichiarazione del ministro Trélat: "Ormai si tratta soltanto di ricondurre il lavoro alle sue condizioni di prima".
Ma tutto ciò non bastava. La rivoluzione di febbraio era stata conquistata dagli operai con l'aiuto passivo della borghesia. I proletari si consideravano a ragione come i vincitori di febbraio, e avanzavano le pretese orgogliose del vincitore. Si doveva batterli nella strada; si doveva mostrar loro che erano sconfitti, non appena si battevano non con la borghesia, ma contro la borghesia. Come per la repubblica di febbraio con le sue concessioni socialiste era stata necessaria una battaglia del proletariato alleato alla borghesia contro la monarchia, così era necessaria una seconda battaglia per staccare la repubblica dalle concessioni socialiste, per fare ufficialmente della repubblica borghese l'elemento dominante. La borghesia doveva respingere le rivendicazioni del proletariato con le armi alla mano. E la vera culla della repubblica borghese non è la vittoria di febbraio ma la disfatta di giugno.
Il proletariato accelerò la soluzione allorché, il 15 maggio, penetrò nell'Assemblea nazionale, cercò invano di riconquistare la propria influenza rivoluzionaria, e riuscì soltanto a far cadere in mano dei carcerieri della borghesia i suoi energici capi. Il faut en finir! Bisogna farla finita! Con questo grido l'Assemblea nazionale dette sfogo alla sua decisione di costringere il proletariato alla lotta decisiva. La commissione esecutiva [25] emanò una serie di decreti provocatori, come la proibizione degli assembramenti popolari, ecc. Dall'alto della tribuna dell'Assemblea nazionale costituente gli operai furono direttamente provocati, insultati, scherniti. Ma il vero centro dell'attacco furono, come abbiamo visto, i laboratori nazionali. Su di essi l'Assemblea costituente richiamò in modo imperativo l'attenzione della commissione esecutiva, che aspettava soltanto di sentire il suo proprio piano diventare una imposizione dell'Assemblea nazionale.
La commissione esecutiva incominciò col rendere più difficile l'ingresso nei laboratori nazionali, col trasformare il salario a giornata in salario a cottimo, col mandare in esilio nella Sologne gli operai non nativi di Parigi col pretesto di lavori di sterro. Questi lavori di sterro non erano che una formula retorica per coprire la loro cacciata, come fecero sapere ai loro compagni gli operai che tornarono indietro delusi. Finalmente il 21 giugno apparve sul "Moniteur" un decreto che ordinava l'espulsione dai laboratori nazionali di tutti gli operai non sposati, o il loro arruolamento nell'esercito.
Agli operai non rimase altra alternativa, o morir di fame o scendere in campo. Essi risposero il 22 giugno con la terribile insurrezione in cui venne combattuta la prima grande battaglia tra le due classi in cui è divisa la società moderna. Fu una lotta per la conservazione o per la distruzione dell'ordine borghese. Il velo che avvolgeva la repubblica fu lacerato.
È noto con che valore e genialità senza esempio gli operai, senza capi, senza un piano comune, senza mezzi, per la maggior parte senza armi, tennero in scacco per cinque giorni l'esercito, la guardia mobile, la guardia nazionale di Parigi e la guardia nazionale accorsa dalle province. È noto come la borghesia si rifacesse con brutalità inaudita del pericolo corso, massacrando più di tremila prigionieri.
I rappresentanti ufficiali della democrazia francese erano prigionieri dell'ideologia repubblicana a tal punto che solo alcune settimane dopo incominciarono a intuire il senso della lotta di giugno. Essi erano come storditi dal fumo della polvere in cui andava dileguando la loro repubblica fantastica.
L'impressione immediata che fece su di noi la notizia della sconfitta di giugno, ci permetta il lettore di riferirla con le parole della "Neue Rheinische Zeitung":
"L'ultimo residuo ufficiale della rivoluzione di febbraio, la commissione esecutiva, è svanito davanti alla gravità degli avvenimenti come un fantasma di nebbia. I fuochi artificiali di Lamartine si sono trasformati nelle bombe incendiarie di Cavaignac. La fraternité, la fratellanza delle classi opposte, di cui l'una sfrutta l'altra, questa fraternité, proclamata in febbraio, scritta a grosse lettere sulla fronte di Parigi, su ogni carcere, su ogni caserma, ha la sua espressione vera, genuina, prosaica, nella guerra civile: nella guerra civile nel suo aspetto più terribile, nella guerra tra il lavoro e il capitale. Questa fratellanza fiammeggiava da tutte le finestre di Parigi la sera del 25 giugno, quando la Parigi della borghesia si illuminava, mentre la Parigi del proletariato era in fiamme, grondava sangue e gemeva. La fratellanza era durata precisamente fino a tanto che l'interesse della borghesia era affratellato all'interesse del proletariato. Pedanti della vecchia tradizione rivoluzionaria del 1793; dottrinari socialisti che chiedevano alla borghesia l'elemosina per il popolo e a cui era stato permesso di tenere lunghe prediche e di compromettersi fino a tanto che era stato necessario venisse addormentato il leone proletario; repubblicani che volevano tutto il vecchio ordine borghese, ad eccezione della sola testa del re; oppositori dinastici ai quali il caso aveva messo tra i piedi la caduta di una dinastia invece di un cambiamento di ministero; legittimisti che non intendevano gettare la livrea, ma modificarne il taglio: questi erano gli alleati coi quali il popolo aveva fatto il suo febbraio... La rivoluzione di febbraio era stata la bella rivoluzione, la rivoluzione della simpatia generale, perché gli antagonismi che erano scoppiati in essa contro la monarchia, sonnecchiavano tranquilli l'uno accanto all'altro, non ancora sviluppati; perché la lotta sociale che formava il loro sostrato aveva soltanto raggiunto una esistenza vaporosa, l'esistenza della frase, della parola. La rivoluzione di giugno è la rivoluzione brutta, la rivoluzione repugnante, perché al posto della frase è subentrata la cosa, perché la repubblica stessa ha svelato la testa del mostro, abbattendo la corona che la proteggeva e la copriva. Ordine! - era stato il grido di battaglia di Guizot. Ordine! - aveva gridato Sébastiani, il Guizot in sedicesimo, quando Varsavia era diventata russa. Ordine! - gridava Cavaignac, eco brutale dell'Assemblea nazionale francese e della borghesia repubblicana. Ordine! - tuonavano le sue granate, mentre laceravano il corpo del proletariato. Nessuna delle numerose rivoluzioni della borghesia francese a partire dal 1789 era stata un attentato contro l'ordine, perché tutte avevano lasciato sussistere il dominio della classe, la schiavitù degli operai, l'ordine borghese, benché spesso fosse cambiata la forma politica di questo dominio e di questa schiavitù. Giugno ha intaccato questo ordine. Maledetto sia giugno!" ("Neue Rheinische Zeitung", 29 giugno 1848) [26].
Maledetto sia giugno! ripete l'eco europea.
Il proletariato parigino era stato costretto all'insurrezione di giugno dalla borghesia. In ciò era già contenuta la sua condanna. Né un consapevole bisogno immediato lo spingeva a combattere per rovesciare con la violenza la borghesia; né esso era pari a questo compito. Il "Moniteur" dovette spiegargli ufficialmente che era passato il tempo in cui la repubblica considerava opportuno rendere gli onori alle sue illusioni; e solo la sua sconfitta lo convinse della verità che il più insignificante miglioramento della sua situazione è un'utopia dentro la repubblica borghese, un'utopia che diventa delitto non appena vuole attuarsi. Al posto delle sue rivendicazioni, esagerate nella forma, nel contenuto meschine e persino ancora borghesi, e che esso voleva strappare come concessioni alla repubblica di febbraio, subentrò l'ardita parola di lotta rivoluzionaria:
Abbattimento della borghesia! Dittatura della classe operaia!
Mentre il proletariato faceva della sua bara la culla della repubblica borghese, costringeva questa a presentarsi nella sua forma genuina, come lo Stato il cui scopo riconosciuto è di perpetuare il dominio del capitale, la schiavitù del lavoro. Avendo continuamente davanti ai propri occhi il suo nemico coperto di cicatrici, irreconciliabile, invincibile - invincibile perché la sua esistenza è condizione dell'esistenza stessa della borghesia - il dominio della borghesia, sciolto da ogni catena, doveva trasformarsi ben presto nel terrorismo della borghesia. Eliminato provvisoriamente dalla scena il proletariato, riconosciuta ufficialmente la dittatura della borghesia, gli strati medi della società borghese - piccola borghesia e classe dei contadini - nella misura in cui la loro situazione si faceva più insopportabile e più acuto il loro contrasto con la borghesia, dovevano sempre di più unirsi al proletariato. Come prima l'avevano trovata nella sua ascesa, così ora dovevano trovare la ragione della loro miseria nella sua disfatta.
Se l'insurrezione di giugno rafforzò dappertutto sul continente la coscienza di sé della borghesia, e la spinse ad una alleanza aperta con la monarchia feudale contro il popolo, chi fu la prima vittima di questa alleanza? La stessa borghesia del continente. La disfatta di giugno le impedì di consolidare il suo dominio, e di mantenere il popolo, mezzo soddisfatto e mezzo illuso, sull'ultimo scalino della rivoluzione borghese.
Infine la disfatta di giugno rivelò alle potenze dispotiche d'Europa il segreto che la Francia era costretta ad ogni costo a mantenere la pace all'esterno, per poter condurre la guerra civile all'interno. In questo modo i popoli che avevano iniziato la lotta per la loro indipendenza nazionale vennero dati in balìa alla prepotenza della Russia, dell'Austria e della Prussia, ma in pari tempo la sorte di queste rivoluzioni nazionali venne subordinata alla sorte della rivoluzione proletaria; esse vennero spogliate della loro apparente autonomia, della loro apparente indipendenza dal grande rivolgimento sociale. Né l'ungherese, né il polacco, né l'italiano possono essere liberi fino a che rimane schiavo l'operaio!
Infine, in seguito alle vittorie della Santa Alleanza, l'Europa ha preso un aspetto tale che ogni nuovo sollevamento proletario in Francia dovrà coincidere in modo diretto con una guerra mondiale. La nuova rivoluzione francese sarà costretta ad abbandonare immediatamente il terreno nazionale e a conquistare il terreno europeo, sul quale soltanto la rivoluzione sociale del XIX secolo può attuarsi.
Solo con la disfatta di giugno dunque sono state create le condizioni entro le quali la Francia può prendere l'iniziativa della rivoluzione europea. Solo immergendosi nel sangue degli insorti di giugno il tricolore è diventato la bandiera della rivoluzione europea: la bandiera rossa!
E il nostro grido è: La rivoluzione è morta! Viva la rivoluzione! [27]
1. Si allude qui alla visita di Luigi Filippo al municipio di Parigi (Hótel de Ville), centro del movimento repubblicano, compiuta il 31 luglio 1830. Durante tale visita Luigi Filippo s'impegnò a rispettare i diritti costituzionali e, col tricolore in mano, si affacciò alla finestra insieme al veterano della Rivoluzione francese Lafayette, che lo abbracciò presentandolo al popolo come "re cittadino" e definendo il suo regno la migliore delle repubbliche.
2. Marx allude all'insurrezione democratico-repubblicana di Parigi del 5-6 giugno 1832, all'insurrezione operaia di Lione del 9-11 aprile 1834 e all'insurrezione tentata a Parigi il 12 maggio 1839 dai seguaci della Società delle stagioni diretta da Auguste Blanqui e Armand Barbès.
3. Paese legale. Così era chiamata all'epoca della monarchia di luglio la minoranza dei proprietari aventi diritto al voto, in contrapposizione al paese reale.
4. Ovviamente Marx intende Napoleone I che impose alla Francia enormi spese finanziarie per sostenere le sue guerre.
5. Denominazione dei caffè e delle bettole malfamate a Parigi.
6. Per sottoproletariato Marx ed Engels intendono "la putrefazione passiva degli strati più bassi della società" (Manifesto del partito comunista): vagabondi, delinquenti, prostitute ecc.
7. Annessione di Cracovia da parte dell'Austria d'accordo con la Russia e la Prussia, 11 novembre 1846. Guerra del Sonderbund nella Svizzera, dal 4 al 28 novembre 1847. Insurrezione di Palermo, 12 gennaio 1848; alla fine di gennaio, bombardamento della città per opera dei napoletani, durato nove giorni (nota di Engels all'edizione del 1895).
8. L'esecuzione di molti di essi a Buzançais avvenne in seguito all'uccisione di due proprietari. Il re si rifiutò di commutare la pena per dare un esempio.
9. Il dazio sull'importazione del grano, imposto in Inghilterra nel 1815, tendeva a mantenere i prezzi del grano a un livello superiore a quello che si sarebbe verificato con la libera importazione, allo scopo di conservare ai proprietari fondiari inglesi le alte rendite di cui avevano beneficiato durante le guerre napoleoniche.
10. I banchetti erano riunioni in cui i presenti, alla fine del pasto, ascoltavano i brindisi o i discorsi politici di uno o più oratori ufficiali. Questo sistema, di origine inglese, talvolta impiegato dallo stesso Guizot per mantenere il contatto con i propri elettori, fu impiegato dall'opposizione per sviluppare un'agitazione nel paese. Iniziato a Parigi nel luglio 1847 ad opera dei deputati "riformisti", si estese in tutta la Francia sorpassando le modeste rivendicazioni dell'opposizione parlamentare.
11. Cioè la monarchia di Luigi Filippo d'Orleáns.
12. Le National: giornale letterario e politico, fondato da Thiers, Mignet e Carrel nel 1830, e soppresso dopo il colpo di Stato del 2 dicembre 1851. Inizialmente di orientamento monarchico-costituzionale, divenne successivamente il portavoce della "opposizione repubblicana ufficiale" al regime di Luigi Filippo.
13. Mentre alcuni membri del governo provvisorio volevano la proclamazione immediata della repubblica, altri intendevano investire di tale problema un'assemblea nazionale eletta a suffragio universale. Lamartine sosteneva una soluzione intermedia che si espresse nella formula accettata dal governo la sera del 24 febbraio, ma giudicata equivoca dagli operai in armi: "Il governo provvisorio vuole la Repubblica, salvo la critica del popolo che sarà immediatamente consultato".
14. Repubblica francese! Libertà, uguaglianza, fraternità!
15. Gazette de France: antico giornale, la cui fondazione risale al 1613, portavoce dell'opposizione legittimista.
16. Le proibizioni nei riguardi delle importazioni, specialmente per quanto riguardava i manufatti inglesi, proibizioni che avevano raggiunto sotto il regime napoleonico la massima estensione, furono sostanzialmente mantenute nei regimi successivi (compresa la monarchia di Luigi Filippo) e furono notevolmente attenuate da Napoleone III solo nel 1860, malgrado la forte opposizione della borghesia industriale, che temeva la concorrenza britannica sul mercato interno.
17. Marx allude qui alle manifestazioni operaie che ebbero luogo a Parigi il 25 febbraio per chiedere la sostituzione del tricolore con la bandiera rossa. Il proletariato si lasciò persuadere, dal Lamartine in particolare, a desistere dalla sua richiesta.
18. Le Moniteur Universal: organo ufficiale del governo, pubblicato a Parigi dal 1789 fino alla fine del 1868.
19. Allusione al periodo del Terrore (1793-1794).
20. Giacomo il brav'uomo: tale era il nome con cui era chiamato per sfregio il contadino francese fin dal Medioevo.
21. La somma assegnata sotto la restaurazione, come indennità, agli aristocratici le cui proprietà fondiarie erano state confiscate e vendute durante la Rivoluzione francese. S'intende con restaurazione il periodo 1815-1830, contraddistinto in Francia dal ritorno sul trono della dinastia dei Borboni, deposta durante la Rivoluzione francese.
22. Gente senz'arte né parte.
23. Si tratta degli ateliers nationaux: istituiti il 26 febbraio come rimedio contro la disoccupazione, entro i quali gli operai erano organizzati quasi militarmente in squadre, brigate e compagnie.
24. Case di lavoro. Furono istituite in Inghilterra nel 1834 per rinchiudervi i poveri: ebbero triste fama per il trattamento inumano che questi vi subivano.
25. Dopo aver proclamato la repubblica e approvato l'operato del governo provvisorio, l'Assemblea costituente, con l'opposizione di Barrot e dei deputati conservatori, decise di eleggere, anziché il ministero, una "commissione esecutiva" che avrebbe a sua volta nominato i ministri. Essa fu composta da Arago, Marie, Garnier Pagès, Lamartine e Ledru-Rollin (quest'ultimo eletto con pochi voti), tutti già membri del governo provvisorio. Tanto nella commissione quanto nel ministero prevalgono i repubblicani del National (cfr. sopra nota 12).
26. Cfr. Marx-Engels, Opere, v. VII, Roma, Editori Riuniti, 1974, pp. 143-147.
27. Per caratterizzare la dialettica rivoluzionaria della disfatta di giugno, Marx usa qui la stessa formula con cui la monarchia feudale esprimeva la sua pretesa perennità: "Le roi est mort! Vive le roi!" (Il re è morto! Viva il re!).
Indice de Le lotte di classe in Francia dal 1848 al 1850
Ultima modifica 1.5.2001