Diamo infine ancora uno sguardo alla "Storia critica dell'economia politica", a "questa impresa" di Dühring che, come egli dice, "assolutamente non ha precedenti". Forse qui finalmente incontreremo quei procedimenti scientifici definitivi e rigorosissimi che tante volte ci sono stati promessi.
Dühring dà molta importanza alla scoperta che la "dottrina dell'economia" è un "fenomeno straordinariamente moderno" (p. 12).
In effetti Marx nel "Capitale" ci dice: "L'economia politica (...) solo nel periodo manifatturiero prende piede come scienza speciale" [119], e in "Per la critica dell'economia politica" leggiamo a p. 29 che "l'economia classica (...) ha inizio in Inghilterra con William Petty e in Francia con Boisguillebert e ha termine in Inghilterra con Ricardo e in Francia con Sismondi" [120]. Dühring segue questo cammino che gli è stato tracciato, solo che per lui l'economia superiore comincia solo con i miserabili aborti che la scienza borghese ha messo al mondo dopo la fase del suo periodo classico. Per contro, a conclusione della sua introduzione ha tutto il diritto di proclamare trionfante:
"Ma se questa impresa già nelle sue particolarità esteriormente percepibili e nella parte più recente del suo contenuto non ha assolutamente predecessori, è ancora molto più specificamente mia per i suoi interiori punti di vista critici e per la sua posizione generale" (p. 9).
Nei fatti egli avrebbe potuto annunziare, sia nell'aspetto interno che nell'aspetto esterno, la sua "impresa" (l'espressione industriale non è mal scelta) col titolo: L'unico e la sua proprietà [45].
Poiché l'economia politica, quale si è presentata nella storia, in realtà non è altro che la conoscenza scientifica dell'economia del periodo di produzione capitalistico, principi e teoremi che ad essa si riferiscono si possono trovare per es. negli scrittori della società greca antica solo nella misura in cui certi fenomeni, come produzione di merci, commercio, denaro, capitale fruttante interessi ecc., sono comuni alle due società. Nella misura in cui i greci fanno incursioni occasionali in questo campo, mostrano la stessa genialità e originalità che mostrano negli altri campi. Le loro intuizioni costituiscono perciò storicamente i punti di partenza teorici della scienza moderna. Ascoltiamo ora Dühring, storiografo universale:
"Conseguentemente non avremmo da riferire nulla di positivo riguardo specificamente (!) alla teoria scientifica dell'economia dell'antichità, e il medioevo, completamente privo di ogni scienza, ci offre per questo" (per questo, cioè per non riferire nulla!) "appigli ancora molto minori. Ma poiché la maniera di trattare le cose che vanamente fa mostra di una parvenza di erudizione (...) ha sfigurato il carattere puro della scienza moderna, a titolo di informazione si dovranno almeno portare alcuni esempi".
E Dühring porta allora esempi di una critica che in realtà è immune anche dalla "parvenza di erudizione".
Il principio di Aristotele che
"duplice è l'uso di ogni bene, l'uno è proprio alla cosa in quanto tale e l'altro no, così un sandalo può servire per essere calzato o per essere scambiato; entrambi sono modi di uso del sandalo, infatti anche colui che scambia il sandalo con qualche cosa di cui è privo, denaro o nutrimento, utilizza il sandalo come sandalo, ma non nel suo modo di uso naturale, poiché esso non esiste in vista dello scambio" [121],
questo principio, secondo Dühring, "non solo è espresso in una maniera veramente triviale e pedantesca", ma coloro che trovano qui "una distinzione tra valore d'uso e valore di scambio", cadono inoltre anche nel "ridicolo" di dimenticare che "nell'epoca più recente" e "nel quadro del sistema più avanzato" -naturalmente quello di Dühring- valore d'uso e valore di scambio hanno fatto tutti il loro tempo.
"Negli scritti di Platone sullo Stato si è (...) voluto trovare anche il capitolo moderno della divisione del lavoro nell'economia."
questo probabilmente si riferisce al passo del "Capitale", cap. XII, 5, p. 369 della seconda edizione [122], in cui invece si dimostra, al contrario, che la concezione dell'antichità della divisione del lavoro è "rigorosamente antitetica" a quella moderna. Un gesto di riprovazione e nient'altro merita per Dühring la presentazione di Platone, geniale per il suo tempo, della divisione del lavoro [123] come fondamento naturale della città (che per i greci si identificava con lo Stato), e ciò precisamente perché egli non fa menzione (ma la fa il greco Senofonte [124], sig. Dühring!) del
"limite che l'ambito del mercato, volta per volta, pone all'ulteriore differenziazione professionale e alla divisione tecnica delle operazioni specifiche: l'idea di questo limite è quella conoscenza che sola permette che questa idea, che altrimenti a stento può chiamarsi scientifica, si trasformi in una verità di grande rilievo economico".
Il "professor" Roscher, tanto disdegnato da Dühring, ha in effetti tracciato questo "limite", soltanto col quale l'idea della divisione del lavoro può diventare un'idea "scientifica" e perciò ha fatto espressamente di Adam Smith lo scopritore della legge della divisione del lavoro [125]. In una società in cui la produzione delle merci è il modo di produzione dominante, il "mercato", per parlare una volta anche noi alla maniera di Dühring, è un "limite" molto noto tra gli "uomini d'affari". Ma occorre molto di più che "il sapere e l'istinto della routine" per vedere che non è stato il mercato a creare la divisione capitalistica del lavoro, ma che invece la dissoluzione di nessi sociali precedentemente esistenti e la divisione del lavoro che ne consegue hanno creato il mercato (cfr. "Capitale", I, cap. XXIV, 5: Creazione del mercato interno per il capitale industriale) [126].
"La funzione del denaro è stata in ogni epoca il primo e principale stimolo delle idee economiche (!). Ma che cosa sapeva un Aristotele di questa funzione? Evidentemente niente di più di ciò che è contenuto nell'idea che lo scambio in denaro ha tenuto dietro allo scambio naturale primitivo."
Ma se "un" Aristotele si permette di scoprire le due differenti forme di circolazione del denaro: una in cui questo agisce come semplice mezzo di circolazione, l'altra in cui agisce come capitale monetario [127], in questo modo, secondo Dühring, egli esprime "solo un'antipatia morale". Se "un" Aristotele ardisce addirittura di voler analizzare il denaro nella sua "funzione" di misura del valore, e nei fatti pone rettamente questo problema così decisivo per la dottrina della moneta [128], "un" Dühring volentieri tace su tutto, e certo per validi motivi reconditi, di una tale impertinente audacia.
Risultato finale: nel modo in cui si rispecchia nell'"informazione" dühringiana, l'antichità greca possiede in realtà solo "idee del tutto comuni" (p.25) posto che tale "maiserie" [sciocchezza] (p. 19) abbia in generale qualcosa in comune con delle idee, comuni o non comuni che siano.
Il capitolo di Dühring sul mercantilismo lo si legge meglio nell'"originale", cioè nel cap. 29 del "Sistema nazionale" di F. List: "Il sistema industriale detto impropriamente, dalla scuola, sistema mercantilistico". Con quanta cura anche qui Dühring sappia evirare ogni "parvenza di erudizione" lo mostra, fra l'altro, quanto segue:
List nel capitolo 28, "Gli economisti italiani", dice:
"L'Italia ha preceduto tutte le nazioni moderne, tanto nella pratica che nella teoria dell'economia politica"
e ricorda poi
"la prima opera scritta in Italia sull'economia politica in particolare, lo scritto del napoletano Antonio Serra sui mezzi per procurare ai regni un abbondante afflusso di denaro (1613)" [129].
Dühring accetta tutto ciò senza esitazione e conseguentemente può considerare il "Breve trattato" di Serra "come una specie di iscrizione sulla soglia della preistoria moderna dell'economia". A tali "complimenti letterali" si limita in effetti il suo studio del "Breve trattato". Sfortunatamente la cosa nella realtà è andata in modo diverso e nel 1609, quindi quattro anni prima del "Breve trattato", comparve "A Discourse of Trade ecc." di Thomas Mun. Il significato speciale di questo scritto, già nella sua prima edizione, fu di essere stato diretto contro il primitivo sistema monetario che allora veniva ancora difeso in Inghilterra come prassi statale: quest'opera rappresenta quindi la secessione consapevole del sistema mercantile dal sistema da cui era nato. Già nella sua prima forma lo scritto ebbe più edizioni ed esercitò un influsso diretto sulla legislazione. Nell'edizione del 1664, completamente rielaborata dall'autore e stampata dopo la sua morte, "England's Treasure ecc.", il libro rimase per altri cento anni il vangelo del mercantilismo. Se quindi il mercantilismo ha un'opera che fa epoca "come una specie di iscrizione sulla soglia", quest'opera è quella di cui parliamo e proprio perciò essa non esiste affatto per "la storia" di Dühring "che osserva con molta cura i gradi di importanza".
Del fondatore dell'economia politica moderna, Petty, Dühring ci fa saper che egli aveva "una maniera di pensare discretamente superficiale", inoltre, "assenza di quel senso di distinzione interna e sottile dei concetti"... una "versatilità che conosce molto, ma che passa facilmente da una cosa all'altra senza metter radici in nessuna idea che abbia un carattere di qualche profondità"... il suo "procedimento riguardo all'economia è ancora molto rozzo" e "arriva a delle ingenuità, il cui contrasto (...) può anche occasionalmente divertire il pensatore serio". Che inapprezzabile degnazione, quindi, che il "serio pensatore" Dühring si abbassi a prender nota di "un Petty"! E come ne prende nota?
I principi di Petty "sul lavoro e persino sul tempo di lavoro come misura del valore, in cui in lui si (...) trovano tracce imperfette" non vengono mai ulteriormente ricordati tranne che in questa proposizione tracce imperfette. Nel suo "Tractise on Taxes and Cöntributions" (prima edizione 1662) Petty dà un'analisi assolutamente chiara ed esatta della grandezza del valore delle merci. Illustrando anzitutto questo concetto con la eguaglianza di valore tra metalli nobili e grano, che costino la stessa quantità di lavoro, egli pronunzia la parola "teorica" definitiva sul valore dei metalli nobili. Ma egli enuncia anche con precisione e con valore universale che i valori delle merci sono misurati per mezzo di lavoro eguale (equal labor). Egli applica la sua scoperta alla soluzione di problemi diversi, e in parte molto intricati e, in diverse occasioni e in diversi scritti, anche dove questa legge fondamentale non è ripetuta, trae in certi punti da essa conseguenze importanti. Ma già nel suo primo scritto egli dice:
"Questa", la valutazione mediante lavoro eguale, "io affermo, è il fondamento dell'equiparazione e della misurazione dei valori; tuttavia nella sovrastruttura e nell'applicazione pratica di essa, lo confesso, c'è molta varietà e molta complessità" [130].
Petty è dunque consapevole sia dell'importanza della sua scoperta, sia, e nella stessa misura, della difficoltà della sua utilizzazione nei particolari. Perciò cerca anche un'altra via per raggiungere certi fini di dettaglio. Si tratta cioè di trovare un rapporto di eguaglianza naturale (a natural Par) tra suolo e lavoro, di guisa che il valore possa esser espresso a piacere "in ognuno dei due termini, o meglio ancora in entrambi". Lo stesso errore è geniale.
Dühring fa quest'acuta annotazione alla teoria del valore di Petty:
"Se egli stesso avesse pensato con più acutezza, non sarebbe affatto possibile trovare in altri passi tracce di una concezione opposta, che è stata ricordata precedentemente",
cioè di cui "precedentemente" non è stato ricordato altro se non che le "tracce" sono "imperfette". È questo un modo di fare molto caratteristico di Dühring, "precedentemente" allude a qualche cosa con una frase vuota, per far credere "posteriormente" al lettore di aver avuto già "precedentemente" conoscenza dell'essenziale, su cui il predetto autore, in effetti, sia precedentemente che posteriormente sorvola.
Ora, in Adam Smith si trovano non solo "tracce" di "concezioni antitetiche" sul concetto di valore, e non solo due, ma perfino tre, e rigorosamente, perfino quattro concezioni grossolanamente antitetiche del valore, che si intrecciano tranquillamente l'una con l'altra. Ma ciò è naturale nel fondatore dell'economia politica, il quale necessariamente saggia, esperimenta, lotta con un caos di idee ancora in formazione, può sembrare strano in uno scrittore che sintetizza criticamente più di un secolo e mezzo di indagini, dopo che i loro risultati, dai libri, sono già passati in parte nella coscienza generale. E, per venire dal grande al piccolo, come abbiamo visto, lo stesso Dühring ci dà, anche lui, cinque diverse specie di valore da scegliere a nostro piacere e con esse altrettante concezioni antitetiche. Certo, "se egli stesso avesse pensato con più acutezza", non avrebbe sprecato tanta fatica per ricacciare i suoi lettori, dalla concezione perfettamente chiara di Petty sul valore, nella più assoluta confusione.
Un'opera veramente completa di Petty, dalla costruzione unitaria e armonica, è il suo "Quantulumcumque concernine Money" pubblicato nel 1682, dieci anni dopo la sua "Anatomy of Ireland" (che apparve "per la prima volta" nel 1672 e non nel 1691 come Dühring trascrive "dalle più correnti compilazioni manualistiche") [131]. Le ultime tracce di idee mercantilistiche che si trovano in altri suoi scritti, qui sono completamente scomparse. È un piccolo capolavoro per forma e contenuto e proprio perciò in Dühring non ne viene mai nominato neppure il titolo. È assolutamente naturale che, di fronte al più generale e originale economista, una laboriosa mediocrità da maestro di scuola possa esprimere solo il suo ringhioso scontento e possa scandalizzarsi che le scintille luminose della teoria non si allineino tronfie e pettorute come "assiomi" bell'e fatti, ma sorgano invece sparpagliate dall'approfondimento di un "rozzo" materiale pratico, quali per es. le imposte.
Petty, fondatore dell'"aritmetica politica", vulgo statistica, è trattato da Dühring nella stessa maniera in cui era trattato per i suoi lavori specificamente economici. Una sprezzante alzata di spalle sulla singolarità dei metodi usati da Petty! Considerando i metodi grotteschi applicati dallo stesso Lavoiser ancora cento anni più tardi in questo campo [132], considerando la grande distanza dell'odierna statistica dalla meta che le aveva tracciato con tratti vigorosi Petty, una tale aria di superiorità compiaciuta di se stessa, due secoli post festum, appare in tutta la sua schietta stupidità.
Le idee più significative di Petty, di cui ben poco si può notare nell'"impresa" di Dühring, sono per quest'ultimo solo trovate accidentali, idee fortuite, manifestazioni occasionali, alle quali solo nella nostra epoca si attribuisce, grazie a citazioni estratte dal loro contesto, un significato che esse in sé e per sé non hanno affatto. Queste idee non hanno quindi funzioni nella storia reale dell'economia politica, ma solo nei libri moderni, al di sotto del livello raggiunto dalla critica che va alle radici e dalla "maniera di delineare la storia in grande stile" di Dühring. Sembra che nella sua "impresa" egli abbia avuto davanti agli occhi una schiera di lettori pieni di fede cieca, che non oserebbe mai, per carità, esigere la prova di ciò che viene affermato. Ritorneremo presto (a proposito di Locke e di North) su questo argomento, ma frattanto dobbiamo dare di passaggio uno sguardo a Boisguillebert e a Law.
Per quel che riguarda il primo segnaliamo l'unica scoperta che appartenga a Dühring. Egli ha scoperto un nesso prima ignorato tra Boisguillebert e Law. Boisguillebert afferma cioè che i metalli nobili potrebbero essere sostituiti, nella funzione normale che compiono nella circolazione delle merci, da una moneta fiduciaria (un morceau de papier) [133]. Law immagina per contro che un arbitrario "accrescimento" di questi "pezzettini di carta" accresca la ricchezza di una nazione. Secondo Dühring ne consegue che la "svolta" di Boisguillebert "celava già in sé una nuova svolta del mercantilismo"... in altri termini celava in sé già Law. Tutto ciò è mostrato con solare evidenza nella maniera seguente:
"Si trattava soltanto di assegnare a questi "semplici pezzettini di carta" la stessa funzione che avrebbero dovuto avere i metalli nobili e così veniva compiuta istantaneamente una metamorfosi del mercantilismo".
Nella stessa maniera può istantaneamente compiersi la metamorfosi di uno zio in una zia. È vero che Dühring aggiunge conciliante: "Certo Boisguillebert non aveva una tale intenzione". Ma in nome del diavolo, come poteva aver l'intenzione di sostituire alla propria concezione razionalistica della funzione monetaria dei metalli nobili quella superstiziosa dei mercantilisti, per il fatto che secondo lui i metalli nobili sono sostituibili in quella funzione dalla carta? Pure, prosegue Dühring nella sua seria comicità, "pure, si può comunque ammettere che il nostro autore è riuscito qua e là a fare un'osservazione veramente appropriata" (p. 83).
Per quanto riguarda Law, Dühring riesce a fare solo questa "osservazione veramente appropriata":
"Neanche Law, come è comprensibile, ha mai potuto completamente eliminare l'ultimo fondamento" (ossia "la base dei metalli nobili") "ma egli ha spinto l'emissione dei biglietti sino all'estremo, cioè sino al naufragio del sistema" (p. 94).
In realtà però le farfalle di carta, semplici segni monetari, dovevano svolazzare tra il pubblico non per "eliminare" la base di metalli nobili, ma per attrarla dalle tasche del pubblico nelle disseccate tasche dello Stato [134].
Ma per ritornare a Petty e alla parte insignificante che Dühring gli fa rappresentare nella storia dell'economia, sentiamo anzitutto ciò che ci si comunica sui successori immediati di Petty: Locke e North. Nello stesso anno 1691 apparvero le "Consideration on Lowering of Interest and raising of money" di Locke e i "Discourses upon Trade" di North.
"Ciò che egli" (Locke) "ha scritto sull'interesse e sulla moneta non esce dal quadro delle riflessioni che erano correnti, sotto il dominio del mercantilismo, in relazione agli avvenimenti della vita politica" (p. 64).
Al lettore di questo "resoconto" deve ora esser chiaro come il sole perché il "Lowering of Interest" abbia avuto nella seconda metà del secolo XVIII un influsso così importante sull'economia francese e italiana e precisamente in un senso diverso.
"Sulla libertà del saggio d'interesse parecchi uomini d'affari avevano pensato analogamente" (a Locke) "e anche lo sviluppo della situazione portò con sé la tendenza a considerare inefficaci gli ostacoli frapposti all'interesse. In un'epoca in cui un Dudley North poteva scrivere i suoi "Discourses upon Trade" nel senso della libertà di commercio, dovevano già esserci nell'aria, per così dire, cose che non facevano apparire come qualche cosa di inaudito l'opposizione teorica alle limitazioni dell'interesse" (p. 64).
Bisognava dunque che Locke facesse sue le idee di questo o quell'"uomo d'affari" suo contemporaneo a che afferrasse a volo molto di ciò che al suo tempo "per così dire era nell'aria" per teorizzare sulla libertà d'interesse e non dir niente di "inaudito"! Ma in realtà Petty già nel 1662 nel suo "Tractise on Taxes and Contributions", opponeva l'interesse, inteso come rendita del denaro e chiamato usura (rent of money which we call usury), alla rendita fondiaria e immobiliare (rent of land and houses) e dimostrava ai proprietari di terre, che volevano legalmente comprimere non certo la rendita fondiaria ma la rendita del denaro, la vanità e la sterilità di emanare leggi civili positive contro le leggi della natura (the vanity and fruitlessness of making civil positive law against the law of nature [135]). Nel suo "Quantulumcumque" (1682) dichiara perciò che la regolamentazione legale dell'interesse è stupida quanto una regolamentazione dell'esportazione dei metalli nobili oppure del corso del cambio. Nello stesso scritto dice la parola definitiva una volta per tutte sul raising of money [crescita di valore del denaro] (il tentativo, per es., di dare 1/2 scellino in nome di uno scellino coniando l'oncia d'argento in una quantità doppia di scellini).
Per quel che concerne quest'ultimo punto, esso è stato quasi solamente copiato da Locke e da North. Per quel che concerne l'interesse, invece, Locke si ricollega al parallelo di Petty tra interesse del denaro e rendita fondiaria, mentre North, andando oltre, contrappone l'interesse, come rendita del capitale (rent of stock), alla rendita fondiaria e gli stocklords ai landlords [136]. Però, mentre Locke ammette solo con limitazioni la libertà d'interesse reclamata da Petty, North l'accetta assolutamente.
Dühring supera se stesso quando, essendo lui stesso ancora mercantilista feroce nel senso "più sottile" della parola, dà il benservito ai "Discourses upon Trade" di Dudley North con l'osservazione che essi sono scritti "nel senso della libertà di commercio". È come se si dicesse ad Harvey che egli ha scritto "nel senso" della circolazione del sangue. Lo scritto di North, a prescindere dagli altri suoi meriti, è una spiegazione classica, scritta con logicità spregiudicata, della dottrina della libertà di commercio, riguardante lo scambio tanto all'interno quanto con l'esterno: "cosa inaudita", certamente, nell'anno 1691!
Del resto Dühring informa che North era un "commerciante" e inoltre un cattivo soggetto e che il suo scritto "non poteva incontrare alcun successo". Non ci sarebbe mancato altro che un libro di questo genere, al tempo in cui trionfava definitivamente in Inghilterra il sistema protezionistico, avesse incontrato "successo" tra i signori che allora dettavano legge! Questo fatto non poté tuttavia impedire la sua immediata efficacia teorica, dimostrabile in tutta una serie di scritti economici apparsi in Inghilterra subito dopo di lui, in parte ancora nel XVII secolo.
Locke e North ci fornirono la prova che le prime ardite brecce aperte da Petty in quasi tutti i campi dell'economia politica sono state singolarmente riprese e ulteriormente rielaborate dai suoi successori inglesi. Le tracce di questo processo nel periodo che va dal 1691 al 1752 si impongono anche all'osservatore più superficiale, già per il fatto che tutti gli scrittori economici di qualche rilievo appartenenti a questo periodo si ricollegano positivamente o negativamente a Petty. Questo periodo, pieno di teste originali, è perciò il più significativo per l'indagine della genesi graduale dell'economia politica. "La maniera di delineare la storia in grande stile", che rimprovera a Marx come peccato imperdonabile l'aver dato nel "Capitale" tanto peso a Petty e agli scrittori di quel periodo, li cancella semplicemente dalla storia. Da Locke, North, Boisguillebert e Law essa salta immediatamente ai fisiocratici e poi all'ingresso del vero tempio dell'economia politica appare... David Hume. Col permesso di Dühring ristabiliamo l'ordine cronologico e quindi collochiamo Hume prima dei fisiocratici.
Gli "Essays" economici di Hume apparvero nel 1752 [137]. Nei saggi compresi in questo volume: "Of Money", "Of the Balance of Trade", "Of Commerce", Hume segue passo passo, spesso perfino nelle sue semplici ubbie, il "Money answers all things" di Jacob Vanderlint, Londra, 1734. Per quanto questo Vanderlint sia rimasto sconosciuto a Dühring, era ancora preso in considerazione negli scritti di economia inglesi verso la fine del secolo XVIII, cioè nel periodo post-smithiano.
Come Vanderlint, Hume considera il denaro come semplice simbolo del valore; egli copia quasi alla lettera da Vanderlint (e questo è importante perché la teoria del simbolo del valore avrebbe potuto trarla da molti altri scritti) le ragioni per cui la bilancia commerciale non può essere stabilmente favorevole o sfavorevole per un paese; insegna, come Vanderlint, che l'equilibrio delle bilance si stabilisce naturalmente in conformità con la posizione economica dei singoli paesi; predica, come Vanderlint, la libertà di commercio, solo con minore ardire e logicità; con Vanderlint, ma solo più superficialmente mette in rilievo i bisogni come stimolo della produzione; segue Vanderlint nell'errore di attribuire alla moneta bancaria e a tutta la carta moneta avente pubblico conto, un influsso sul prezzo delle merci; con Vanderlint respinge la moneta fiduciaria; come Vanderlint, fa dipendere il prezzo delle merci dal tempo del lavoro e quindi dal salario; ne copia perfino l'ubbia che la tesaurizzazione mantenga basso il prezzo delle merci ecc. ecc.
Dühring aveva già da gran tempo borbottato in tomo oracolare che altri avevano frainteso la teoria monetaria di Hume e, specialmente, aveva fatto delle allusioni minacciose a Marx che nel "Capitale" aveva segnalato, per giunta in maniera inurbana, le segrete connessioni di Hume con Vanderlint e con J. Massie, autore ancora da ricordare [138].
Per quel che concerne questi fraintendimenti i fatti stanno come segue. Riguardo alla effettiva teoria monetaria di Hume, secondo la quale il denaro è semplice simbolo del valore e perciò, rimanendo per il resto eguali le circostanze, i prezzi delle merci si abbassano nella misura in cui la quantità di denaro circolante cresce e crescono nella misura in cui questa decresce, Dühring, con tutta la sua buona volontà, non può che ripetere, sia pur nella luminosa maniera che gli è propria, gli errori dei suoi predecessori. Ma Hume, dopo aver stabilita la predetta teoria, obietta a se stesso (la stessa cosa aveva già fatto Montesquieu partendo dagli stessi presupposti [139]) che pure è "certo" che, dopo la scoperta delle miniere americane, "l'industria aveva avuto un incremento in tutte le nazioni d'Europa tranne in quelle che possedevano queste miniere", e che questo fatto "è dovuto, tra le altre ragioni, anche all'aumento della quantità d'oro e d'argento". Egli spiega questo fenomeno col fatto che "l'alto prezzo delle merci, malgrado sia una conseguenza necessaria dell'aumento, della quantità d'oro e d'argento, tuttavia non consegue immediatamente a quest'aumento, ma si richiede un certo tempo perché l'oro circoli in tutto lo Stato e faccia sentire la sua azione in tutti gli strati della popolazione". In questo intervallo di tempo agisce beneficamente sull'industria e il commercio. A conclusione di questa spiegazione Hume ci dice anche il motivo, sebbene molto più unilateralmente di molti suoi predecessori e contemporanei: "È facile seguire il denaro nel suo progresso attraverso tutta la comunità civile e troveremo allora che esso necessarimente stimola l'attività di ciascuno prima di elevare il prezzo del lavoro" [140].
In altri termini: Hume descrive qui l'effetto di una rivoluzione nel valore dei metalli nobili e precisamente di un deprezzamento, o, ciò che è lo stesso, di una rivoluzione nella misura del valore dei metalli nobili. E vi trova giustamente che, nell'equiparazione del prezzo delle merci che avviene solo gradualmente, questo deprezzamento soltanto in ultima analisi "eleva il prezzo del lavoro", vulgo salario; quindi accresce il profitto dei commercianti e degli industriali a spese degli operai (il che d'altronde egli trova perfettamente normale) e in questo modo "stimola l'attività". La questione scientifica vera e propria invece è questa: se e come un'accresciuta importazione di metalli nobili, rimanendo invariato il loro valore, agisca sul prezzo delle merci. Questa questione egli non se la pone e confonde ogni "accrescimento quantitativo dei metalli nobili" con il loro deprezzamento. Hume dice proprio esattamente ciò che Marx ("Per la critica ecc.", p. 173) [141] gli fa dire. Ritorneremo ancora una volta di passaggio su questo punto, ma volgiamoci prima sul saggio di Hume sull'"Interest".
L'argomentazione di Hume espressamente indirizzata contro Locke, che cioè l'interesse non è regolato dalla quantità di denaro esistente, ma dal saggio di profitto, e le altre sue spiegazioni sulle cause che determinano l'alto o basso livello del saggio d'interesse: tutto questo si trova, con esattezza molto maggiore e con spirito molto minore, in uno scritto apparso nel 1750, cioè due anni prima dello scritto di Hume. Questo scritto è intitolato: "An Essay on Governing Causes of the Natural Rate of Interest, wherein the sentiments of Sir W. Petty and Mr. Locke, on that head, are considered". Il suo autore è J. Massie, scrittore dalla attività multiforme e, come si può vedere dalla letteratura inglese contemporanea, molto letto. La maniera con cui Adam Smith ha discusso del saggio d'interesse è più vicina a Massie che a Hume. Né Massie né Hume sanno e dicono nulla sulla natura del "profitto" che pure ha una sua funzione nell'uno e nell'altro.
"In generale", sermoneggia Dühring, "si è preceduto per lo più con molta prevenzione nel valutare Hume e gli si sono attribuite idee che egli non accettava affatto." E di questo "procedere" Dühring stesso ci dà più di un esempio patente.
Così per es. il saggio di Hume sull'interesse comincia con queste parole:
"Non c'è segno più certo della floridezza di una nazione che il basso livello del saggio d'interesse, e con ragione; per quanto io creda che la causa di questo fatto sia alquanto diversa da quella che attualmente si ammette" [142].
Quindi già nella prima proposizione Hume cita l'opinione secondo la quale il basso livello del saggio d'interesse è il segno più certo della floridezza di un popolo come un luogo comune, già diventato banale ai suoi giorni. E, in effetti, questa "idea" dopo Child aveva avuto ben cento anni di tempo per diventare corrente. Ma invece:
"dalle vedute" (di Hume) "sul saggio d'interesse bisogna mettere principalmente in rilievo l'idea che esso è il vero barometro delle condizioni" (di quali?) "e che il suo basso livello è un segno quasi infallibile della floridezza di un popolo" (p. 130).
Chi è quest'"essere impersonale" che con "molta prevenzione" così parla? Nessun altro che Dühring.
Ciò che del resto provoca nel nostro storiografo critico un ingenuo stupore è il fatto che Hume, a proposito di una certa idea felice, "neppure se ne proclami l'autore". Questo non sarebbe accaduto a Dühring.
Abbiamo visto come Hume confonda ogni accrescimento quantitativo del metallo nobile con quell'accrescimento quantitativo di esso che è accompagnato da un deprezzamento, da una rivoluzione nel proprio valore e quindi nella misura del valore delle merci. Questa confusione era inevitabile in Hume perché egli non aveva la minima conoscenza delle funzioni dei metalli nobili come misura del valore. E non poteva averla perché non sapeva assolutamente nulla del valore stesso. La stessa parola non comparve forse che una volta nei suoi saggi e precisamente là dove, credendo di correggere l'errore di Locke che i metalli nobili avrebbero solo "un valore immaginario", lo aggrava ulteriormente, dicendo che avrebbero "principalmente un valore fittizio" [143].
Su questo punto egli è di molto inferiore non solo a Petty, ma anche a molti suoi contemporanei inglesi. E mostra la stessa "arretratezza" allorché, sempre fedele alla vecchia moda, continua ancora ad esaltare il "mercante" come la prima molla che spinge la produzione. Idea che Petty aveva già sorpassato di gran lunga. Per quel che si riferisce precisamente all'assicurazione di Dühring che Hume nei suoi saggi si sarebbe occupato dei "principali rapporti economici" non si ha che da confrontare lo scritto di Cantillon citato da Adam Smith (uscito come i saggi di Hume nel 1752, ma pubblicato molti anni dopo la morte dell'autore [144]) per stupirsi dell'ambito ristretto dei lavori economici di Hume. Hume, come si è detto [145], malgrado il brevetto assegnatogli da Dühring, resta autorevole anche nel campo dell'economia politica, ma qui non è per niente un ricercatore originale e tanto meno è importante. L'azione esercitata dai suoi saggi economici sugli ambienti economici del suo tempo nasceva non solamente dalla sua eccellente maniera di esporre, ma molto più ancora dal fatto che essi erano un'ottimistica esaltazione progressista dell'industria e del commercio, allora in fiore, in altri termini della società capitalistica, in quei tempi in rapida ascesa in Inghilterra, nella quale perciò essi dovevano incontrare "successo". Basti qui un'indicazione. Tutti sanno con quanta passione, proprio al tempo di Hume, la massa del popolo inglese combatté contro il sistema delle imposte indirette, sistematicamente sfruttato dal famigerato Robert Walpole al fine dello sgravio fiscale dei proprietari terrieri e dei ricchi in genere. Nel suo saggio sulle imposte ("Of Taxes"), in cui Hume, senza nominarlo, polemizza contro l'uomo che rappresentava la sua fonte in questa materia e che gli era sempre presente, Vanderlint, il più violento avversario delle imposte indirette, leggiamo:
"Bisogna che esse" (le imposte di consumo) "siano in realtà delle imposte molto forti e stabilite molto irrazionalmente, se il lavoratore non è in grado di pagarle neppure accrescendo la propria attività e la propria parsimonia, senza elevare il prezzo del suo lavoro" [146].
Sembra di ascoltare lo stesso Robert Walpole, specialmente se si aggiunge il passo del saggio sul "debito pubblico" in cui a proposito della difficoltà di una tassazione dei creditori dello Stato si dice: "La diminuzione delle loro entrate non sarebbe mascherata sotto l'apparenza di essere una semplice voce della gabella o dogana" [147].
Come non si poteva aspettare diversamente da uno scozzese, l'ammirazione di Hume per l'industriosità borghese non era affatto puramente platonica. Povero diavolo per nascita, riuscì a costruirsi un reddito di molte, molte migliaia di sterline all'anno, la qual cosa, poiché non si tratta di Petty, Dühring ingegnosamente così esprime: "Partendo da mezzi molto ristretti, era riuscito, mercé una saggia economia domestica, a non esser costretto a scrivere per compiacere qualcuno". Se più avanti Dühring dice: "Egli non aveva mai fatto la più piccola concessione all'influenza dei partiti, dei principi o delle università", si può dire che certo non è noto che Hume abbia mai fatto affari letterari in società con un "Wagener" [148], ma che invece è ben noto che fu un instancabile partigiano dell'oligarchia whig, che onorava "Chiesa e Stato" e, come ricompensa per questi meriti, ebbe prima il posto di segretario d'ambasciata a Parigi e più tardi quello, incomparabilmente più importante e più redditizio, di sottosegretario di Stato.
"Dal punto di vista politico Hume fu e rimase sempre di sentimenti conservatori e strettamente monarchici. Per questa ragione, anche dai partigiani della Chiesa ufficiale non fu maltrattato con quella severità che si usò contro Gibbon",
dice il vecchio Schlosser [149].
"Questo Hume egoista, questo storico mendace" insulta i monaci inglesi, grassi, senza sposa e senza famiglia, viventi di questua, "ma egli stesso non ha mai avuto né una famiglia né una moglie, ed era, egli stesso, un tipo grasso e grosso, impinguato considerevolmente di denaro pubblico senza averlo mai guadagnato con qualche servizio pubblico", dice quel "rozzo" plebeo di Cobbett [150]. Hume è "nella pratica della vita, nei lati essenziali, di gran lunga superiore a un Kant",
dice Dühring.
Ma perché nella "Storia critica" viene assegnata a Hume una posizione così esagerata? Semplicemente perché questo "pensatore serio e sottile" ha l'onore di rappresentare il Dühring del XVIII secolo. Come un Hume serve a provare che "la creazione di tutto il ramo scientifico" (dell'economia) "è stato fatto dalla filosofia più illuminata", così il precedente di Hume offre la migliore garanzia che questo ramo scientifico troverà, per quanto da ora è dato prevedere, la sua conclusione in quell'uomo fenomenale che ha trasformato la filosofia semplicemente "più illuminata" nell'assolutamente luminosa filosofia della realtà e nel quale, proprio come un Hume , ciò che "sinora è senza esempi su suolo tedesco (...) lo studio della filosofia in senso più stretto, si trova accoppiato con le ricerche scientifiche di economia". In conseguenza di tutto ciò troviamo Hume, pur autorevole come economista, gonfiato fino a farne una stella di prima grandezza in economia, il cui significato ha potuto sinora essere misconosciuto soltanto da quella stessa invidia che fino ad oggi uccide con un silenzio così ostinato anche i servizi "di valore decisivo per l'epoca" resi da Dühring.
La scuola fisiocratica, come è noto, ci ha lasciato nel "Tableau économique" di Quesnay [151] un enigma su cui invano sinora si sono rotte le corna i critici e gli storici dell'economia. Questo Tableau, che doveva far comprendere chiaramente l'idea che i fisiocratici si facevano della produzione e della circolazione della ricchezza complessiva di un paese, è rimasto abbastanza oscuro per le generazioni successive degli economisti. Anche su questo Dühring ci farà definitivamente luce. Che cosa questo "quadro economico della produzione e della distribuzione debba significare nello stesso Quesnay", egli dice, si può vedere solo quando si "siano precedentemente indagati con precisione i suoi peculiari concetti direttivi". E ciò tanto più, invero, in quanto questi concetti sino allora erano stati esposti con una "oscillante imprecisione" e neanche in Adam Smith se ne potevano "riconoscere i tratti essenziali". A siffatte "ricerche superficiali" della tradizione, Dühring metterà fine una volta per sempre. Ed ecco che per cinque intere pagine si mette a prendere in giro il suo pletore, cinque pagine nelle quali frasi boriose di tutti i generi, continue ripetizioni e un disordine calcolato dovrebbero nascondere il fatto spiacevole che, sui "concetti direttivi" di Quesnay, Dühring può comunicarci a stento quel tanto che dicono "le più correnti compilazioni manualistiche", contro le quali egli non si stanca di mettere in guardia. "Uno dei lati più pericolosi" di questa introduzione è costituito dal fatto che anche qui si sentono qua e là tracce del Tableau, sinora noto soltanto di nome, ma poi ci si perde in "riflessioni", di tutte le specie, come per es. "la differenza tra sforzo e risultato." Se questa differenza "invero non si può cogliere completamente elaborata nell'idea di Quesnay", per contro Dühring ce ne darà un esempio folgorante non appena arriva, dopo il suo prolungato "sforzo" introduttivo, al suo "risultato" stranamente misero, e cioè alla conclusione sul Tableau stesso. Diamo ora tutto, ma letteralmente tutto ciò che trova opportuno comunicarci sul Tableau di Quesnay.
Nello "sforzo" Dühring dice:
"A lui" (Quesnay) "appariva evidente per sé che il ricavo" (Dühring aveva parlato proprio allora del prodotto netto) "debba essere concepito e considerato come un valore in denaro (...) egli collegò immediatamente le sue riflessioni (!) ai valori in denaro, che presupponeva come risultati della vendita di tutti i prodotti agricoli dal momento che escono dalla mano del primo possessore. In questa maniera (!) egli opera nelle colonne del suo Tableau con alcuni miliardi" (cioè con valori in denaro).
Abbiamo così imparato in tre riprese che Quesnay nel Tableau opera coi "valori in denaro" dei "prodotti agricoli", ivi incluso il "prodotto netto" o "provento netto". Andiamo avanti nella lettura del testo:
"Se Quesnay avesse imboccato la via di una considerazione delle cose veramente naturale, e si fosse liberato non solo della preoccupazione dei metalli nobili e della quantità di denaro, ma anche della preoccupazione dei valori in denaro (...) ma egli conta invece solo con somme di valore e immaginava (!) che il prodotto netto sia a priori un valore in denaro".
Quindi per la quarta e la quinta volta: nel Tableau ci sono solo valori in denaro!
"Egli" (Quesnay) "otteneva la stessa cosa" (il prodotto netto) "sottraendo le spese e pensando (!) principalmente" (ricerca non tradizionale, ma in compenso tanto più superficiale) "a quel valore che spetta come rendita al proprietario terriero".
Non siamo ancora andati avanti di un passo; ma ora sì che ci siamo:
"D'altra parte, purtuttavia" (questo "purtuttavia" è una perla!) "il prodotto netto passa nella circolazione come oggetto naturale e in questo modo diventa un elemento per mezzo del quale (.) si mantiene (...) la classe indicata come sterile. Qui si può subito (!) rilevare la confusione che sorge dal fatto che il corso delle sue idee nell'un caso è determinato dal valore in denaro e nell'altro dalla cosa stessa".
In generale, è evidente, tutta la circolazione delle merci soffre di questa "confusione": che le merci vi entrano contemporaneamente come "oggetto naturale" e come "valore in denaro". Ma continuiamo ancora a girare sempre intorno ai "valori in denaro", perché "Quesnay vuole evitare una doppia applicazione del provento economico".
Con licenza di Dühring, in basso, nell'analisi del Tableau [152] di Quesnay, le diverse specie di prodotti figurano come "oggetti naturali" e in alto, nel Tableau stesso, figurano i loro valori in denaro. Quesnay più tardi ha perfino fatto scrivere dal suo famulus, l'abate Bandeau, nel Tableau stesso, anche gli oggetti naturali accanto al loro valore in denaro [153].
Dopo tanto "sforzo" finalmente il "risultato". Udite, udite:
"Pure l'incongruenza" (in riferimento alla funzione assegnata da Quesnay ai proprietari terrieri) "diventa subito chiara, appena ci si domanda che cosa avviene nel ciclo economico del prodotto netto appropriato come rendita. Qui il modo di vedere dei fisiocratici e il Tableau économique hanno potuto dare solo confusione arbitraria spinta sino al misticismo".
Tutto è bene quel che finisce bene. Dunque Dühring non sa "che cosa nel ciclo economico" (che il Tableau rappresenta) "avviene del prodotto netto appropriato come rendita". Il Tableau è per lui la "quadratura del circolo". Per propria confessione egli non sa neanche l'abbiccì della fisiocrazia. Dopo tutto questo menare il can per l'aia, questo pestar l'acqua nel mortaio, questi zig-zag, arlecchinate, episodi, digressioni, ripetizioni e guazzabugli stupefacenti, che dovrebbero unicamente prepararci alla imponente chiarificazione su "ciò che il Tableau debba significare per Quesnay stesso"; dopo tutto questo, a conclusione, la pudibonda confessione di Dühring: che egli stesso non lo sa.
Una volta liberatosi di questo mistero doloroso, di questa atra Cura [154] oraziana che gli stava in groppa durante la sua cavalcata per il paese della fisiocrazia, ecco il nostro "pensatore serio e sottile" soffiare ancora una volta allegramente nella sua tromba: "Le linee che Quesnay traccia in tutte le direzioni" (ce ne sono cinque in tutto!) "nel suo Tableau, del resto abbastanza semplice (!), e che debbono rappresentare la circolazione del prodotto netto", fanno sorgere il dubbio se "in queste strane combinazioni di colonne" non si nasconda una fantasia matematica e ci ricordano che Quesnay si è occupato della quadratura del circolo, ecc. Dato che queste linee, malgrado la loro semplicità, per confessione di Dühring stesso, gli rimangono inintelligibili, egli secondo la sua maniera prediletta, deve disprezzarle. E ora può tranquillamente dare al noioso Tableau il colpo di grazia: "Poiché abbiamo considerato il prodotto netto da questo suo lato più dubbio" ecc. Ossia, la confessione forzata di non intendere neanche la prima parola del Tableau économique e la funzione che in esso ha il prodotto che vi figura: Dühring la chiama "l'aspetto più dubbio del prodotto netto"! Che umorismo da condannato a morte!
Ma perchè i nostri lettori, riguardo al Tableau di Quesnay, non restino nella stessa atroce ignoranza in cui sono necessariamente coloro che traggono la loro sapienza economica "di prima mano" da Dühring, diciamo in breve quanto segue:
È noto che per la fisiocrazia la società si divide in tre classi: 1. la classe produttiva, cioè la classe realmente attiva nell'agricoltura: fittavoli e lavoratori agricoli; essi si dicono produttivi perché il loro lavoro lascia un'eccedenza: la rendita. 2. La classe che si appropria questa eccedenza, comprendente i proprietari terrieri e il personale dipendente da essi, il principe e in generale i funzionari pagati dallo Stato e finalmente anche la Chiesa, nella sua qualità particolare di ente che si appropria la decima. Per brevità, d'ora in poi, designeremo la prima classe semplicemente sotto il nome di "fittavoli" e la seconda sotto il nome di "proprietari terrieri". 3. La classe industriale o sterile (improduttiva); sterile perché, secondo il modo di vedere della fisiocrazia, alle materie prime fornitele dalla classe produttiva aggiunge solo tanto valore quanti sono i mezzi di sussistenza che la stessa classe le fornisce e che essa consuma. Ora, il Tableau di Quesnay serve per rendere evidente come il prodotto globale annuo di un paese (qui in realtà della Francia) circola tra queste tre classi e serve alla riproduzione annua.
Il primo presupposto del Tableau è che il sistema dell'affittanza, e con esso l'agricoltura esercitata su larga scala, nel senso che aveva al tempo di Quesnay, sia già stato generalmente introdotto, e per questo gli valgono da modello la Normandia, la Piccardia, l'Ile-de-France e alcune altre province francesi. Il fittavolo appare perciò come l'elemento veramente dirigente dell'agricoltura, rappresenta nel Tableau tutta quanta la classe produttiva (agricola) e paga al proprietario terriero una rendita in denaro. Ai fittavoli nella loro totalità viene attribuito un capitale investito, o inventario, di dieci miliardi di livres; un quinto di questa somma, ossia due miliardi, rappresenta il capitale d'esercizio che deve essere attualmente sostituito: calcolo, questo, fatto in base alle fattorie meglio condotte delle province surricordate.
Ulteriori presupposti sono: 1. che si verifichino prezzi costanti e riproduzione semplice, e ciò per semplificare lo studio; 2. che resti esclusa ogni circolazione che ha luogo all'interno di una singola classe e che si consideri semplicemente la circolazione tra classe e classe; 3. che tutte le compre e rispettivamente le vendite che si verificano tra classe e classe nel corso dell'anno di esercizio siano raccolte in una somma totale ultima. Si noti finalmente che al tempo di Quesnay in Francia, come più o meno in tutta l'Europa, l'industria casalinga, propriamente detta, della famiglia contadina provvedeva alla parte di gran lunga più considerevole dei suoi bisogni non rientranti nella classe dei generi alimentari, e perciò questa industria casalinga è qui presupposta come ovvio accessorio dell'agricoltura.
Il punto di partenza del Tableau è il raccolto totale, il prodotto lordo dei prodotti annui della terra, il quale per questa ragione figura subito in alto nel Tableau, ossia la "riproduzione totale" del paese, qui della Francia. La grandezza del valore di questo prodotto lordo viene valutata secondo i prezzi medi del prodotto del suolo delle nazioni che praticano il commercio. Esso comporta cinque miliardi di livres, cifre che, secondo le valutazioni statistiche allora possibili, rappresenta all'incirca il valore in denaro del prodotto lordo dell'agricoltura in Francia. Questa e nessun'altra è la ragione per cui nel suo Tableau Quesnay "opera con alcuni miliardi", cioè con cinque miliardi e non con cinque livres tournois [155].
Il prodotto lordo totale, del valore di cinque miliardi, si trova quindi nelle mani della classe produttiva, cioè anzitutto dei fittavoli, che lo hanno prodotto mediante l'erogazione di un capitale annuo di esercizio di due miliardi corrispondente ad un capitale investito di dieci miliardi. I prodotti agricoli, mezzi di sussistenza, materie prime, ecc., che sono richiesti per la sostituzione del capitale d'esercizio, e quindi anche per il mantenimento di tutto le persone direttamente attive nell'agricoltura, sono prelevati in natura sul raccolto totale ed erogati per la nuova produzione agricola. Poiché, come è stato detto, vengono presupposti prezzi costanti e riproduzione semplice, ad un livello dato, il valore in denaro di questa parte del prodotto lordo che è stata prelevata in precedenza, è uguale a due miliardi di livres. Questa parte, dunque, non rientra nella circolazione generale. Infatti, come è già stato notato, la circolazione, in quanto abbia luogo all'interno dell'ambito di ogni singola classe e non invece tra le diverse classi, viene esclusa dal Tableau .
Dopo la sostituzione del capitale d'esercizio effettuata sul prodotto lordo, resta un'eccedenza di tre miliardi, di cui due in mezzi di sussistenza e uno in materie prime. Ma la rendita che i fittavoli debbono pagare ai proprietari terrieri ammonta solo a due terzi di questa somma, pari a due miliardi. Perché solo questi due miliardi figurino sotto la rubrica "prodotto netto" o "reddito netto", lo vedremo presto.
Oltre alla "riproduzione" agricola "totale" del valore di cinque miliardi, di cui tre entrano nella circolazione generale, nelle mani dei fittavoli si trova però, prima che cominci il movimento rappresentato nel Tableau , anche tutto il "pécule" ["peculio", cioè il denaro risparmiato] della nazione, due miliardi di denaro contante. Ecco come accade questo fatto.
Poiché il punto di partenza del Tableau è il raccolto totale, esso costituisce allo stesso tempo il punto finale di un'annata economica, per es. dell'annata 1758, dopo la quale comincia una nuova annata economica. Durante questa nuova annata, 1759, la parte del prodotto lordo destinata alla circolazione si divide, mediante un certo numero di pagamenti, compre e vendite, tra le altre due classi. Questi movimenti che si succedono l'un l'altro frazionati e che si estendono per un'intera annata (come in ogni caso era inevitabile che avvenisse nel Tableau ), sono però compendiati in pochi atti caratteristici, ciascuno dei quali abbraccia tutt'insieme un'intera annata. In questo modo, in effetti, anche alla fine dell'annata 1758, alla classe dei fittavoli è riaffluito il denaro che essi avevano pagato ai proprietari terrieri come rendita dell'annata 1757 (come ciò accada, lo mostrerà il Tableau stesso), cioè la somma di due miliardi, cosicché nel 1759 essi possono rimettere in circolazione questa somma. Poiché quella somma, come nota Quesnay, è molto maggiore di quanto richiesto nella realtà per la circolazione totale del paese (la Francia), ove i pagamenti si ripetono costantemente in modo frazionato, i due miliardi di livres che si trovano nelle mani dei fittavoli rappresentano la somma totale del denaro circolante nella nazione.
La classe dei proprietari terrieri che incassano rendite si presenta, come del resto casualmente accade ancor oggi, anzitutto nella veste di riscuotitori di pagamenti. Secondo il presupposto di Quesnay, i proprietari terrieri propriamente detti ricevono solo quattro settimi della rendita di due miliardi, due settimi vanno al governo e un settimo ai riscuotitori di decime. Al tempo di Quesnay la Chiesa era il maggiore proprietario terriero della Francia e per giunta intascava la decima su ogni altra proprietà fondiaria.
Il capitale d'esercizio (avances annuelles [anticipi annuali]) erogato durante un'intera annata dalla classe "sterile" consiste in materie prime del valore di un miliardo: solo materie prime, perché strumenti, macchine, ecc., contano tra i prodotti di questa stessa classe. Invece le molteplici funzioni che questi prodotti hanno nell'esercizio dell'industria di questa classe non rientrano nel Tableau più di quanto vi rientri la circolazione di merci e di denaro che ha luogo esclusivamente all'interno di questa classe. Il salario del lavoro, per mezzo del quale la classe sterile trasforma la materia prima in merce manifatturata, è uguale al valore delle merci di sussistenza che essa riceve in parte direttamente dalla classe produttiva, in parte indirettamente dai proprietari terrieri. Malgrado si divida, essa stessa, in capitalisti e salariati, essa, presa come classe globale, secondo l'idea fondamentale di Quesnay, sta al soldo della classe produttiva e dei proprietari terrieri. La produzione industriale totale, e perciò anche la sua circolazione totale, che si distribuisce nell'annata che segue il raccolto, vengono egualmente riunite in un tutto unico. si presuppone perciò che al principio del movimento rappresentato nel Tableau la produzione annua delle merci della classe sterile si trovi completamente nelle sue mani, che quindi tutto il suo capitale d'esercizio, vale a dire materie prime del valore di un miliardo, sia stato trasformato in merci del valore di due miliardi, la metà dei quali rappresenta il prezzo dei mezzi di sussistenza consumati durante questa trasformazione. Si potrebbe qui obiettare: ma tuttavia anche la classe sterile usa prodotti industriali per i suoi bisogni domestici; dove dunque figurano questi prodotti se il suo proprio prodotto totale passa, mediante la circolazione, alle altre classi? Ecco la risposta che riceviamo a questa domanda: la classe sterile non solo consuma essa stessa una parte delle sue proprie merci, ma cerca inoltre di trattenerne quanto più le è possibile. Essa quindi vende le sue merci messe in circolazione al di sopra del loro valore reale e deve farlo perché noi registriamo queste merci al valore totale della loro produzione. Questo tuttavia non altera in nulla i dati stabiliti nel Tableau; infatti le altre due classi ricevono le merci manifatturate solo al valore della loro produzione totale.
Adesso dunque conosciamo la posizione economica delle tre diverse classi, al principio del movimento rappresentato nel Tableau .
La classe produttiva, dopo il rinnovo in natura del suo capitale d'esercizio, dispone ancora di tre miliardi in prodotti agricoli lordi e di due miliardi in denaro. La classe dei proprietari terrieri figura solamente col suo titolo di credito di due miliardi di rendita sulla classe produttiva. La classe sterile dispone di due miliardi di prodotti manifatturati. Una circolazione che avviene solo tra due di queste tre classi è detta dai fisiocratici circolazione imperfetta, una circolazione che avviene tra tutte e tre le classi è detta circolazione perfetta.
Quindi passiamo ora al Tableau économique stesso.
Prima circolazione (imperfetta). I fittavoli pagano ai proprietari terrieri senza contropartita la rendita loro spettante, con due miliardi di denaro. Con uno di questi miliardi i proprietari terrieri comprano mezzi di sussistenza dai fittavoli ai quali così rifluisce una metà del denaro da loro erogato in pagamento della rendita.
Nella sua "Analyse du Tableau économique" Quesnay non parla più dello Stato che riceve due settimi e della Chiesa che riceve un settimo della rendita fondiaria, perché le loro funzioni sociali in generale sono note. Riguardo ai proprietari terrieri propriamente detti, dice però che le loro spese, nelle quali figurano anche quelle di tutti i loro dipendenti, sono almeno per la massima parte improduttive, ad eccezione di quella piccola parte che viene impiegata "per il mantenimento e il miglioramento di loro fondi e per elevare il livello della loro coltura". Ma secondo il "diritto naturale" la loro specifica funzione consiste precisamente nel "provvedere alla buona amministrazione e alle spese per il mantenimento del loro patrimonio" [156] o, come è spiegato più tardi, nelle avances foncières, cioè in spese per preparare il terreno, e nel provvedere le fattorie di tutti gli accessori che permettono al fittavolo di dedicare tutto il suo capitale esclusivamente all'effettiva coltura.
Seconda circolazione (perfetta). Col secondo miliardo, che si trovano ancora nelle loro mani, i proprietari terrieri comprano prodotti manifatturati dalla classe sterile, ma questa col denaro ricavato compra dai fittavoli mezzi di sussistenza per lo stesso ammontare.
Terza circolazione (imperfetta). I fittavoli comprano dalla classe sterile con un miliardo in denaro merci fatturate per lo stesso ammontare; una gran parte di queste merci consiste in strumenti agricoli ed altri mezzi di produzione necessari all'agricoltura. La classe sterile restituisce ai fittavoli lo stesso denaro, comprando con esso materie prime per un miliardo in modo da sostituire il proprio capitale d'esercizio. Con ciò sono rifluite nelle tasche dei fittavoli i due miliardi in denaro da loro erogati in pagamento della rendita e il ciclo è chiuso. E conseguentemente è risolto anche il grande enigma: "che cosa nel ciclo economico avvenga del prodotto netto appropriato sotto forma di rendita".
Abbiamo trovato sopra, al punto di partenza del processo, un'eccedenza di tre miliardi tra le mani della classe produttiva. Di essi solo due sono stai pagati ai proprietari terrieri sotto forma di rendita, come prodotto netto. Il terzo miliardo d'eccedenza forma l'interesse del capitale totale d'investimento dei fittavoli, quindi il 10% su dieci miliardi. Essi non ricevono questo interesse, si noti bene, dalla circolazione; esso si trova nelle loro mani in natura ed essi lo realizzano solo attraverso la circolazione, poiché per mezzo di essa lo sostituiscono con merci manifatturate dello stesso valore.
Senza questo interesse il fittavolo, l'agente principale dell'agricoltura, non anticiperebbe ad essa il capitale d'investimento. Già da questo punto di vista, secondo i fisiocratici, l'appropriazione da parte del fittavolo di questa parte del plusprodotto agricolo che rappresenta l'interesse è una condizione della produzione, altrettanto necessaria quanto la stessa classe dei fittavoli e perciò questo elemento non può essere contato nella categoria del "prodotto netto" o "reddito netto" nazionale; infatti quest'ultimo è caratterizzato precisamente dal fatto che può consumarsi senza nessun riguardo ai bisogni immediati della riproduzione nazionale. Ma questo fondo di un miliardo serve, secondo Quesnay, in gran parte per le riparazioni necessarie durante l'annata e in parte per il rinnovo del capitale d'investimento, inoltre come fondo di riserva per riparare ad infortuni e finalmente, quando è possibile, serve per arricchire il capitale d'investimento e di esercizio, nonché per migliorare il terreno ed estendere la coltura.
Tutto questo processo è, in verità, "abbastanza semplice". Vengono immessi nella circolazione, dai fittavoli, due miliardi in denaro per il pagamento della rendita e tre miliardi in prodotti, dei quali due terzi in mezzi di sussistenza e un terzo in materie prime; dalla classe sterile, merci manifatturate per due miliardi. Dei mezzi di sussistenza, dell'ammontare di due miliardi, una metà viene consumata dai proprietari terrieri con le loro dipendenze, l'altra metà dalla classe sterile in pagamento del suo lavoro. Le materie prime per un miliardo sostituiscono il capitale d'esercizio della stessa classe. Delle merci manifatturate in circolazione per l'ammontare di due miliardi, una metà spetta ai proprietari terrieri, l'altra metà ai fittavoli. Per i quali essa è solo una forma trasformata dell'interesse del loro capitale d'investimento, interesse ricavato direttamente dalla riproduzione agricola. Invece il denaro che il fittavolo ha messo in circolazione col pagamento della rendita, riaffluisce nelle sue mani mediante la vendita dei suoi prodotti e così nella nuova annata economica può essere ripercorso lo stesso ciclo.
Ed ora si ammiri l'esposizione "veramente critica" di Dühring, così infinitamente superiore alle "superficiali ricerche della tradizione". Dopo averci, per cinque volte di seguito, rappresentato in modo misterioso con quanto pericolo Quesnay, nel Tableau, operi con semplici valori in denaro, il che per giunta si rileva anche falso, finalmente appena si chiede "che cosa nel ciclo economico avvenga del prodotto netto appropriato sotto forma di rendita", egli giunge al risultato che "il Tableau economico" può dare "solo confusione ed arbitrio spinti sino al misticismo". Abbiamo visto che il Tableau , questa rappresentazione, tanto semplice quanto geniale per il suo tempo, del processo annuo di riproduzione, quale si compie per mezzo della circolazione, risponde in una maniera molto precisa alla domanda: che cosa nel ciclo economico avvenga del prodotto netto e con ciò ancora una volta il "misticismo" e la "confusione e l'arbitrio" restano unicamente e solamente a Dühring come il "lato più pericoloso" e l'unico "prodotto netto" dei suoi studi fisiocratici.
A Dühring l'influenza storica dei fisiocratici è precisamente tanto familiare quanto la loro teoria. "Con Turgot" egli ci insegna "la fisiocrazia in Francia era arrivata al suo termine sia in pratica che in teoria." Ma che Mirabeau nelle sue idee economiche fosse essenzialmente un fisiocratico, che egli fosse, nell'Assemblea costituente del 1789, la prima autorità economica, che questa assemblea nelle sue riforme economiche abbia tradotto dalla teoria alla pratica una gran parte dei principi fisiocratici e che specialmente abbia colpito con una forte imposta anche il prodotto netto che il possesso fondiario si appropriava "senza contropartita", cioè la rendita fondiaria: tutto questo per "un" Dühring non esiste.
Come il lungo tratto di penna tirato sul periodo che va dal 1691 al 1752 toglieva di mezzo tutti i predecessori di Hume, così un altro tratto di penna toglie di mezzo sir James Steuart che sta tra Hume e Adam Smith. Della sua grande opera, che, prescindendo dalla sua importanza storica, ha durevolmente arricchito il campo dell'economia politica [157], nell'"impresa" di Dühring non c'è una sillaba. Ma per contro infligge allo Steuart la parola più ingiuriosa che c'è nel suo lessico e dice che è "un professore" del tempo di Adam Smith. Disgraziatamente questa insinuazione è una pura invenzione. Steuart in realtà fu un grande proprietario terriero scozzese che, per una pretesa partecipazione alla congiura degli Stuart, fu bandito dalla Gran Bretagna e, per via del suo soggiorno e dei suoi viaggi nel continente, ebbe modo di conoscere le condizioni economiche di vari paesi.
Per farla breve: secondo la "storia critica" tutti i precedenti economisti hanno avuto solo il valore o di servire da "rudimenti" per la profonda fondazione "di valore decisivo" di Dühring o, con la loro detestabilità, di metterla in particolare rilievo. Purtuttavia, anche nell'economia ci sono alcuni eroi che non rappresentano solo "rudimenti" per la "profonda fondazione", ma "tesi", partendo dalle quali essa, secondo la prescrizione della Filosofia della natura, non si è "sviluppata", ma addirittura "composta": cioè l'"incomparabilmente grande ed eminente" List, che per utilità e vantaggio dei fabbricanti tedeschi ha gonfiato in "poderose" parole le "sottili" dottrine mercantilistiche di un Ferrier e di altri; inoltre Carey, che nella seguente tesi mette a nudo il vero nocciolo della sua sapienza: "Il sistema di Ricardo è un sistema della discordia (...) esso finisce col creare l'ostilità tra le classi (...) il suo scritto è il manuale del demagogo che aspira al potere mediante la divisione delle terre, la guerra e il saccheggio" [158] e finalmente, buon ultimo, il Confucio della City di Londra, Macleod.
Perciò la gente che nel presente e nell'immediato avvenire vuole studiare la storia dell'economia politica andrà sempre più sicura se si metterà al corrente dei "prodotti annacquati", delle "banalità" e delle "prolisse sbrodolature" delle "più correnti compilazioni manualistiche", che non affidandosi alla "maniera di delineare la storia in grande stile" di Dühring.
Quale è allora il risultato finale della nostra analisi del "sistema" di economia politica "personalmente creato" da Dühring? Nient'altro che questo fatto: che con tutte le grandi parole e le promesse ancora più importanti siamo stati turlupinati proprio come nella "Filosofia". La teoria del valore, questa "pietra di paragone della consistenza dei sistemi di economia", va a finire in questo risultato: che Dühring intende per valore cinque cose completamente diverse e diametralmente contraddittorie tra loro e che quindi nel migliore dei casi non sa neppure quello che vuole. Le "leggi naturali di tutta l'economia", annunziate con tanta pompa, si appalesano come banalità della peggior specie, note a tutto il mondo e spesso neppure comprese rettamente. L'unica spiegazione dei fatti economici che questo sistema, personalmente creato, può darci, e che essi sono il risultato della "violenza", espressione con la quale da millenni i filistei di tutte le nazioni si consolano di tutto ciò che di spiacevole capita loro e con la quale noi non sappiamo niente più di prima. Ma invece di indagare questa violenza nella sua origine e nei suoi effetti, Dühring ci invita ad esser paghi e grati della semplice parola "violenza" come causa ultima e spiegazione definitiva di tutti i fenomeni economici. Costretto a dare maggiori chiarimenti sullo sfruttamento capitalistico del lavoro, lo rappresenta prima in generale come fondato sull'imposizione di un tributo e su un sovrapprezzo, appropriandosi completamente, su questo punto, il "prelevamento" (prélèvement) proudhoniano; per spiegarlo poi nei particolari per mezzo della teoria marxiana del pluslavoro, plusprodotto e plusvalore. Egli riesce quindi a conciliare felicemente due modi di vedere totalmente contraddittori, copiandoli tutti e due contemporaneamente. E come nella filosofia trovava parole abbastanza forti per quello stesso Hegel che incessantemente sfruttava svuotandolo, così, nella "Storia critica", le calunnie più prive di fondamento contro Marx servono solo per coprire il fatto che tutto ciò che di razionale, sia pur unilateralmente, si trova nel "Corso" riguardo al capitale e al lavoro è parimenti un plagio che svuota Marx. L'ignoranza che nel "Corso" gli fa mettere al principio della "storia dei popoli civili" il "grande proprietario terriero" e gli fa ignorare completamente la proprietà comune del suolo delle tribù e dei villaggi dalla quale, in effetti, ha inizio tutta la storia, questa ignoranza, oggi quasi inconcepibile, è, direi, anche superata da quella che nella "Storia critica" mena non poco vanto di essere una "ampiezza universale dell'orizzonte storico" e di cui abbiamo solo dato pochi esempi ad deterrendum. In una parola: prima l'enorme "sforzo" di autoesaltazione, di ciarlatanesche strombazzature e di promesse che si accavallano l'una sull'altra, e poi il "risultato"... zero.
119. K. Marx, "Il Capitale", I, trad. it. cit.,408.
120. K. Marx, "Per la critica dell'economia politica", trad. it., Roma, Editori Riuniti, 1969, p. 39.
45. Max Stirner (1806-1856), individualista anarchico, nel suo libro "L'Unico e la sua proprietà" assumeva atteggiamenti presuntuosi simili a quelli che Engels rimprovera a Dühring. La critica di Marx ed Engels a Stirner occupa la maggior parte dell'"ideologia tedesca" (1845-1846).
121. Aristotele, "Repubblica", libro I, cap. 9. questo passo è citato anche da Marx nel "Capitale", I, trad. it. cit., p. 118, e in "Per la critica dell'economia politica", trad. it. cit., p. 15.
122. K. Marx, "Il Capitale", I, trad. it. cit., pp. 408-410.
123. Cfr. Platone, "repubblica", libro II.
124. Senofonte, "Ciropedia", libro VIII, cap. 2.
125. Wilhelm Roscher, "Die Grindlagen der Nationalökonomie...", p. 86.
126. K. Marx, "Il Capitale", I, trad. it. cit., pp. 808-812..
127. Aristotele parla delle sue differenti forme della circolazione del denaro nella "Repubblica", libro I, capp. 8-10.
128. Aristotele, "Etica Nicomachea", libro V, cap. 8. I passi aristotelici in questione sono citati da Marx in "Per la critica dell'economia politica", trad. it. cit., pp. 54-55, e nel "Capitale", I, trad. it. cit., pp. 91-92.
129. Friedrich List, "Das Nationale System...", vol. I, pp. 451 e 456.
130. Dal volume anonimo "A treatise of taxes, and contributions...", pp. 24 e sgg. Il corsivo è di Marx.
131. Il lavoro "Quantulumcumque concernine money..." fu scritto da William Petty nel 1682 e pubblicato a Londra nel 1695. Marx usava l'edizione del 1760. "The political anatomy of Ireland..." fu scritta da Petty nel 1672 e pubblicata a Londra nel 1691.
132. Marx si riferisce ai lavori economici del chimico francese Antoine-Laurent Lavoisier, "De la richesse territoriale du royaume de France" (Parigi, 1791) e "Essai sur la population de la ville de Paris...", nonché all'"Essai d'arithmétique politique..." (Parigi, 1791) scritto in collaborazione col matematico J-L Lagrange. L'edizione di questi lavori usata da Marx era compresa nei "Mélanges d'économie politique... par Eugéne Daire et G. de Molinari", t. 1, pp. 575-620.
133. Pierre Boisguillebert, "Dissertation sur la nature des richesses...", p. 397.
134. Il banchiere economista inglese John Law cercò di mettere in pratica la sua idea assurda che lo Stato potesse aumentare la ricchezza del paese emettendo carta-moneta non coperta. Nel 1716 egli fondò a Parigi una banca privata che alla fine del 1718 fu trasformata in banca di Stato. Essa emetteva carta-moneta in quantità illimitata e intanto incassava moneta metallica. Ne nacque un enorme imbroglio di Borsa e una speculazione inaudita, finché nel 1720 la banca e il "sistema" di Law fecero bancarotta completa. Law fuggì all'estero.
135. William Petty, "A treatise of taxes, and contributions...", pp. 28 e sgg.
136. Dudley North, "Discourses upon trade...", p. 4.
137. David Hume, "Essays, moral, and political, and dialogues concerning natural religion", vol. 4: "Political discourses", Edimburgo, 1752. Marx usò l'edizione "Essays and treatises..." del 1777, nella quale I "Political discourses" formano la seconda parte del primo volume.
138. K. Marx, "Il Capitale", I, trad. it. cit., p. 156 nota 79 e p. 562 nota 7.
139. Riferimento a Montesquieu, "Lo spirito delle leggi", la cui prima edizione uscì anonima a Ginevra nel 1748.
140. David Hume, " Essays and treatises...", p. 303 sg. Il corsivo è di Marx.
141. K. Marx, "Per la critica dell'economia politica", trad. it. cit., p. 142 sgg.
142. David Hume, " Essays and treatises...", p. 313.
143. Ibid. p. 314.
144. La prima edizione dell'"Essai sur la nature du commerce in général" di Richard Cantillon uscì in realtà nel 1755, come indica lo stesso Marx nel primo libro del "Capitale" (trad. it. cit. p. 608). Adam Smith menziona il libro di Cantillon nel primo volume di "An inquiry into the nature and causes...".
145. Le parole "come si è detto" si riferiscono al passo successivo (qui sotto) che comincia "Ma perché nella "Storia critica"..." e finisce "... resi da Dühring". Nella I e II edizione questo passo si trovava più indietro. Queste parole sono state lasciate per svista, quando Engels riordinò il testo per la III edizione.
146. David Hume, " Essays and treatises...", p. 367. Il corsivo è di Marx.
147. Ibid. p. 314. Il corsivo è di Marx.
148. Nel 1866 Bismarck, attraverso il so consigliere Wagener, propose a Dühring di scrivere per il governo prussiano un memorandum sulla questione operaia. Dühring, propugnatore dell'armonia tra capitale e lavoro, accolse l'incarico. Ma nel 1867 il lavoro fu pubblicato a sua insaputa dapprima anonimo, poi sotto il nome di Hermann Wagener. Dühring sporse querela contro Wagener per violazione del diritto d'autore, e nel 1868 vinse la causa. Nel momento culminante di questa storia scandalistica Dühring pubblicò "Die Schicksale meiner...".
149. F. C. Schlosser, "Weltgechichte für dal deutsche Volk...". P, 76
150. William Cobbett, "A history of the "protestant" reformation, in England and Ireland...", paragrafi 149, 116 e 130.
151. Il "Tableau économique" di Quesnay fu pubblicato per la prima volta come opuscoletto a Versailles nel 1758.
152. La "Analyse du Tableau économique" di Quesnay fu pubblicata per la prima volta nel 1766 sulla rivista dei fisiocratici "Journale de l'agricolture, commerce, arts et finances" (che uscì dal 1765 al 1783). Marx la usò nell'edizione di Eugène Daire: "Physiocrates..." parte I, pp. 57-66.
153. Marx rimanda agli ultimi paragrafi del lavoro dell'abbè Bandeau "Explication du Tableau économique...", che fu pubblicato per la prima volta nel 1767. Cfr. l'edizione di Eugène Daire: "Physiocrates..." parte II, pp. 864-867.
154. Nera Angoscia; dall'Ode III, I di Orazio: "ma la Paura e la Minaccia vanno dove va il padrone; né scende dalla trireme di bronzo, e sede alle spalle del cavaliere, la nera Angoscia".
155. Lira tornese, moneta coniata a Tours fino al 1796 (80 franchi = 81 tornesi),
156. Cfr. Eugène Daire: "Physiocrates..." parte I, p. 68.
157. Si tratta dell'opera di James Steuart "An inquiry into the principles of the political oeconomy", in due volumi, pubblicata a Londra nel 1767.
158. Henry Charles Carey, "The past, the present, and the future", p. 74 sg.
Ultima modifica 16.10.2002