Nel corso ulteriore del nostro cammino arriviamo alle teorie sul modo in cui il mondo odierno si è formato. Sappiamo che uno stato di universale dispersione della materia fu l'idea da cui presero le mosse i filosofi ionici, ma che, dopo Kant particolarmente, l'ipotesi di una nebulosa primitiva ha avuto una funzione nuova, per cui gravitazione e irraggiamento di calore venivano ad essere i mezzi per la graduale formazione dei corpi celesti solidi. La teoria meccanica del calore della nostra epoca ha permesso di dare forma più determinata alle deduzioni sugli stati precedenti dell'universo. Con tutto ciò
"lo stato di dispersione gassosa può essere un punto di partenza di serie deduzioni, solo se si potrà determinare in antecedenza più precisamente il sistema meccanico ad esso inerente. Altrimenti non solo l'idea resta in effetti nebulosa, ma anche la nebulosa primitiva diventa sempre più spessa e impenetrabile nel corso delle deduzioni (...) per ora tutto resta nel vago e nell'informe di un'idea di diffusione non meglio determinabile" e così "con questo universo gassoso" (avremo) "solo una concezione estremamente campata in aria".
La teoria kantiana della genesi di tutti gli odierni corpi celesti da masse nebulose rotanti è stata il più grande progresso che l'astronomia abbia fatto dopo Copernico. Per la prima volta fu infirmata l'idea che la natura non abbia una storia nel tempo. Sino allora si riteneva che i corpi celesti permanessero sin dall'origine in stati e traiettorie sempre uguali; e se anche si ammetteva che nei singoli corpi celesti gli individui organici perissero, tuttavia i generi e le specie erano considerati immutabili. Certo la natura era visibilmente in continuo movimento, ma questo movimento appariva come l'incessante ripetizione degli stessi processi. In questa idea assolutamente conforme al modo di pensare metafisico, Kant aperse la prima breccia, e in verità in modo così scientifico che la massima parte degli argomenti da lui usati conservano anche oggi la loro validità. Certo la teoria kantiana, considerata rigorosamente, è ancora oggi un'ipotesi. Ma anche il sistema cosmologico copernicano, sino al giorno d'oggi, non è qualcosa di più [33], e dopo che la prova spettroscopica dell'esistenza di simili masse gassose incandescenti nella volta celeste ha annientato le affermazioni contrarie, l'opposizione scientifica alla teoria kantiana è stata ridotta al silenzio. Neanche Dühring può portare a termine la sua costruzione del mondo senza un tale stadio nebulare, ma se ne vendica, pretendendo che gli si debba mostrare il sistema meccanico esistente in questo stato nebulare e, poiché questo non è possibile, caricando lo stato nebulare di ogni sorta di epiteti ingiuriosi. Disgraziatamente la scienza moderna non può individuare questo sistema in modo da dar gioia a Dühring. Né, egualmente, può rispondere ad altre domande. Alla domanda: perché i corpi celesti non hanno la coda? sino ad ora si può solo rispondere: perché l'hanno perduta. Ma se ci si volesse impuntare e dire che così tutto rimane nel vago e nell'informe di un'idea di perdita non ulteriormente determinabile e che questa è una concezione estremamente campata in aria, con siffatte applicazioni della morale alla scienza della natura non avremmo fatto un passo avanti. Siffatte acrimonie e manifestazioni di insofferenza possono essere applicate sempre e dappertutto e proprio per questo fatto esse non sono mai a proposito e in nessun luogo. Chi impedisce poi a Dühring di scoprire da sé il sistema meccanico della nebulosa primitiva?
Per fortuna oggi sappiamo che la massa nebulare kantiana "è molto lontana dal coincidere con uno stato completamente eguale a se stesso del mezzo universale o, per esprimerci diversamente, con lo stato eguale a se stesso della materia". Una vera fortuna per Kant, il quale poteva accontentarsi di risalire dai corpi celesti esistenti alla sfera nebulare e ancora non poteva nemmeno immaginare lo stato eguale a se stesso della materia! Notiamo di passaggio che se nell'odierna scienza della natura la sfera nebulare kantiana viene indicata come nebulosa primitiva, va da sé che questo fatto deve intendersi solo in un senso relativo. Essa è nebulosa primitiva, da una parte in quanto è l'origine dei corpi celesti e dall'altra in quanto è la forma più remota di materia alla quale possiamo sino ad oggi risalire. La qual cosa non esclude affatto, ma invece implica, che prima della nebulosa primitiva la materia abbia percorso una serie infinita di altre forme.
Dühring segna qui un suo vantaggio. Laddove noi, con la scienza, rimaniamo provvisoriamente fermi alla nebulosa primitiva, del pari provvisoria, la sua scienza della scienza lo aiuta a risalire ancora più in là, a quello "stato del mezzo universale, che non è possibile concepire né come puramente statico nel senso che quest'idea ha oggi, né come dinamico" e che quindi in generale non "è possibile concepire. L'unità di materia ed energia meccanica, che noi oggi designiamo col nome di mezzo universale, è per così dire una formula logico-reale per indicare lo stato eguale a se stesso della materia come il presupposto di tutti quegli stadi di sviluppo che sono numerabili".
Evidentemente ancora per molto tempo non ci libereremo dallo stato primitivo eguale a se stesso della materia. Questo stato è designato come unità di materia ed energia meccanica, e ciò è designato come una formula logico-reale ecc. Quindi non appena cessa l'unità di materia ed energia meccanica, comincia il movimento.
La formula logico-reale non è altro che un fiacco tentativo di rendere utilizzabili per la filosofia della realtà le categorie hegeliane dell'in sé e per sé. Per Hegel nell'in sé consiste l'identità originaria delle opposizioni non sviluppate celate in una cosa, in un processo, in un concetto; nel per sé si manifestano la distinzione e la separazione di questi elementi celati e comincia il loro conflitto. Dobbiamo quindi rappresentaci lo stato primitivo privo di movimento come unità di materia ed energia meccanica, e il passaggio al movimento come separazione e contrapposizione di entrambe. Quello che abbiamo guadagnato con ciò non è la prova della realtà di quello stato primitivo fantastico, ma solo questo, che lo si può comprendere sotto la categoria hegeliana dell'in sé e che la sua egualmente fantastica cessazione la si può comprendere sotto la categoria del per sé. Hegel, aiuto!
La materia, dice Dühring, è la portatrice di tutto ciò che è reale; conseguentemente non può esserci nessuna energia meccanica fuori della materia. L'energia meccanica è inoltre uno stato della materia. Ora nello stato primitivo, in cui niente avveniva, la materia era una cosa sola con il suo stato, l'energia meccanica. Più tardi, quando qualche cosa cominciò ad accadere, certamente allora questo stato diventò qualcosa di distinto dalla materia. Dovremmo dunque lasciarci pascere di queste frasi mistiche e dell'assicurazione che lo stato eguale a se stesso non era né statico, né dinamico, né in equilibrio, né in movimento. E non sappiamo ancora dove mai in quello stato fosse l'energia meccanica, né come dovremmo, senza un impulso esterno, cioè senza dio, passare dall'assoluta immobilità al movimento.
Prima di Dühring i materialisti parlavano di materia e movimento. Egli riduce il movimento all'energia meccanica come presunta forma fondamentale di esso, e conseguentemente si toglie la possibilità di intendere il nesso reale tra materia e movimento, del resto non chiaro neppure a tutti i materialisti precedenti. Eppure la cosa è abbastanza semplice. Il movimento è il modo di esistere della materia. Mai in nessun luogo c'è stata e può esserci materia senza movimento. Movimento nello spazio cosmico, movimento meccanico di masse più piccole nei singoli corpi celesti, vibrazione molecolare come calore o come corrente elettrica o magnetica, scomposizione e combinazione chimica, vita organica: sono queste le forme di movimento, nell'una o nell'altra o contemporaneamente in parecchie delle quali si trova, in ogni dato istante, ogni singolo atomo di materia cosmica. Ogni stato di quiete, ogni stato di equilibrio, è solo relativo, ha un senso solo in riferimento all'una o all'altra forma determinata di movimento. Un corpo sulla terra può trovarsi per es. in equilibrio meccanico, meccanicamente in quiete, ma questo fatto non impedisce per nulla che esso prenda parte al movimento della terra, come a quello di tutto il sistema solare; nella stessa maniera che non impedisce alle sue piccole particelle fisiche di compiere le vibrazioni determinate dalla sua temperatura, o ai suoi atomi di passare attraverso un processo chimico. Materia senza movimento è altrettanto impensabile quanto movimento senza materia. Il movimento è perciò tanto increabile e indistruttibile quanto lo è la materia stessa; ciò che la vecchia filosofia (Descartes) esprime dicendo che la quantità di movimento presente è sempre la stessa [32]. Quindi il movimento non può essere creato, può solo essere trasmesso. Se un movimento è trasmesso da un corpo a un altro, in quanto si trasmette, è attivo, lo si può considerare come causa del movimento; in quanto viene trasmesso, è passivo. Questo movimento attivo noi lo chiamiamo energia, il movimento passivo, manifestazione dell'energia. Conseguentemente è chiaro ed evidente che l'energia ha la stessa grandezza della sua manifestazione, perché in entrambe si compie precisamente lo stesso movimento.
Di conseguenza uno stato della materia privo di movimento si dimostra come una delle idee più vuote e più insulse, come un puro "delirio febbrile". Per arrivare a questo ci si deve rappresentare come quiete assoluta l'equilibrio meccanico relativo, in cui un corpo si può trovare su questa terra, e quindi estenderlo a tutto quanto l'universo. Ciò viene certamente facilitato riducendo il movimento universale alla semplice energia meccanica. E in questo caso la limitazione del movimento a semplice energia meccanica offre anche il vantaggio che ci si può rappresentare un'energia come se fosse in quiete, come vincolata e quindi momentaneamente inattiva. Se infatti la trasmissione di un movimento è, come accade molto spesso, un fenomeno alquanto complesso, che implica vari termini intermedi, si può differire la trasmissione effettiva ad un insieme fissato a piacere, omettendo l'ultimo anello della catena. Così avviene ad es. quando si carica un fucile e si ritarda il momento in cui, tirando il grilletto, dovrà compiersi la scarica, cioè la trasmissione del movimento sprigionato dall'accensione della polvere. Ci si deve quindi immaginare che la materia, durante lo stato immobile, eguale a se stesso, sia stata caricata di energia, e proprio questo è ciò che Dühring sembra intendere, ammesso che in generale intenda qualche cosa, come unità di materia ed energia meccanica. Questa idea è assurda, poiché attribuisce all'universo come assoluto uno stato che, per sua natura, è relativo, ed al quale quindi può essere soggetta, nel medesimo tempo, solo una parte della materia. Ma anche prescindendo da questo, rimane sempre la difficoltà di sapere, in primo luogo, come il mondo è arrivato ad essere caricato, poiché al giorno d'oggi i fucili non si caricano da sé, e poi di chi è il dito che ha tirato il grilletto. Potremo fare e dire quello che vogliamo: sotto la guida di Dühring ritorneremo sempre al... dito di dio.
Dall'astronomia il nostro filosofo della realtà passa alla meccanica e alla fisica e si rammarica che la teoria meccanica del calore, nel corso di una generazione, non sia stata portata sostanzialmente più avanti del punto a cui l'aveva portata a poco a poco Robert Mayer. Inoltre, egli dice, la cosa resta molto oscura; dobbiamo
"ricordarci sempre che insieme agli stati di movimento della materia esistono anche condizioni statiche e che queste ultime non sono misurabili in lavoro meccanico (...) se precedentemente abbiamo designato la natura come una grande lavoratrice e prendiamo ora questa espressione nel suo senso rigoroso, dobbiamo ancora aggiungere che gli stati eguali a se stessi e le condizioni di quiete non rappresentano alcun lavoro meccanico. Quindi ancora una volta manca il ponte di passaggio dallo statico al dinamico, e se sinora il cosiddetto calore latente è rimasto uno scoglio per la teoria, ancora qui dobbiamo riconoscere una lacuna che meno che mai si dovrebbe misconoscere nelle applicazioni cosmiche".
Tutto questo sproloquio in tono oracolare non è altro, ancora una volta, che lo sfogo della cattiva coscienza che sente molto bene che, con quel suo far sorgere il movimento dall'assoluta immobilità, si è arenata senza alcuna possibilità di salvezza e pur si vergogna di ricorrere all'unico salvatore, cioè al creatore del cielo e della terra. Se neanche nella meccanica, inclusa quella del calore, si può trovare il ponte di passaggio dallo statico al dinamico, dall'equilibrio al movimento, come dovrebbe Dühring essere tenuto a trovare il suo ponte di passaggio dallo stato privo di movimento al movimento? E così sarebbe allora felicemente fuori dai guai.
Nella comune meccanica, il ponte di passaggio dallo statico al dinamico è l'impulso dall'esterno. Se una pietra del peso di un quintale viene portata a dieci metri di altezza e sospesa liberamente in modo a rimanere appesa lassù in uno stato eguale a se stesso e in condizione di queste, si dovrebbe far appello ad un pubblico di lattanti per poter affermare che l'attuale posizione di questo corpo non rappresenti nessun lavoro meccanico o che la distanza dalla posizione precedente non sia misurabile in lavoro meccanico. Un qualunque passante spiegherà senza fatica a Dühring che la pietra non è andata lassù ad appendersi da se stessa alla corda, e un qualunque manuale di meccanica gli potrà dire che se egli lascerà ricadere la pietra, questa nella sua caduta produrrà tanto lavoro meccanico quanto ne è occorso per elevarla a dieci metri d'altezza. Anche il fatto più semplice, che la pietra è sospesa lassù, rappresenta un lavoro meccanico; infatti, se resta sospesa abbastanza a lungo, la corda si spezzerà non appena, in seguito a un processo di decomposizione chimica, non è più sufficientemente forte da reggere la pietra. Ma, secondo Dühring, tutti i processi meccanici possono ridursi a siffatte forme fondamentali semplici, e deve ancora nascere l'ingegnere che sia incapace di trovare il ponte di passaggio dallo statico al dinamico, se dispone di un impulso sufficiente.
Certo per il nostro metafisico è un osso molto duro, è una pillola molto amara il fatto che il movimento abbia a trovare la sua misura nel suo contrario, nella quiete. È veramente una contraddizione stridente, ed ogni contraddizione è, per Dühring, un controsenso. Ciò nondimeno è un fatto che la pietra che sta sospesa rappresenta, precisamente come un fucile carico, una quantità determinata di movimento meccanico, che può misurarsi con precisione, mediante il suo peso e la sua distanza dal suolo, e che può risolversi indifferentemente in varie maniere, per es. con la caduta diretta, con lo slittamento su un piano inclinato, col far girare un albero di trasmissione. Per la concezione dialettica non costituisce per nulla una difficoltà il fatto che il movimento possa essere espresso mediante il suo contrario, la quiete. Per questa concezione, come abbiamo visto, l'opposizione completa è solo relativa; non esistono né quiete assoluta né equilibrio incondizionato. Il movimento nella sua singolarità tende all'equilibrio, il movimento nella sua totalità, a sua volta, sopprime l'equilibrio. Così quiete ed equilibrio, dove si riscontrano, sono il risultato di un movimento limitato, ed è evidente che questo movimento può essere misurato mediante il suo risultato, in esso può essere espresso e partendo da esso può essere ristabilito in una forma o nell'altra. Ma Dühring non può appagarsi di una presentazione così semplice della cosa. Da buon metafisico, tra movimento ed equilibrio scava prima una voragine paurosa, che nella realtà non esiste, poi si stupisce di non poter trovare un ponte gettato su questa voragine che egli stesso ha costruito. Avrebbe potuto egualmente inforcare il suo metafisico Ronzinante e andare a caccia della kantiana "cosa in sé"; infatti questo e nient'altro è ciò che alla fine si nasconde dietro questo introvabile ponte.
Ma che ne è della teoria meccanica del calore e del calore vincolato o latente che è "restato uno scoglio" per questa teoria?
Se si prende una libbra di ghiaccio alla temperatura del punto di congelamento dell'acqua e, in condizioni di pressione atmosferica normale, mediante il calore la si trasforma in una libbra di acqua alla stessa temperatura, sparisce una quantità di calore che sarebbe sufficiente per elevare da 0° a 79,4° della scala del termometro centigrado la stessa libbra di acqua o per elevare di un grado 79,4 libbre di acqua. Se si riscalda questa libbra di acqua fino al punto di ebollizione, cioè a 100°, e quindi la si trasforma in vapore a 100°, prima che l'ultima goccia di acqua si sia trasformata in vapore, sparisce una quantità di calore quasi sette volte maggiore, sufficiente per elevare di un grado 537,2 libbre di acqua. Questo calore che è sparito si chiama calore latente. Se per raffreddamento si trasforma il vapore in acqua e l'acqua in ghiaccio, questa stessa quantità di calore che prima era latente diventa a sua volta libera, cioè percepibile e misurabile come calore. Questa liberazione del calore col condensarsi del vapore e col congelarsi dell'acqua è la causa per cui il vapore, quando viene raffreddato a 100°, solo gradualmente si trasforma in acqua e per cui una massa di acqua alla temperatura del punto di congelamento, solo molto lentamente si trasforma in ghiaccio. Questi sono i fatti. La questione è ora: che cosa accade del calore mentre è latente?
La teoria meccanica del calore, secondo la quale il calore consiste in una oscillazione maggiore o minore, a seconda della temperatura e dello stato di aggregazione, delle più piccole particelle fisicamente attive (molecole) dei corpi, oscillazione che in certe circostanze può trasformarsi in ogni forma di movimento, spiega la cosa partendo dal fatto che il calore sparito ha compiuto un lavoro, si è trasformato in lavoro. Quando il ghiaccio fonde, la connessione stretta e salda delle singole molecole tra loro viene rotta e viene trasformata in una giustapposizione slegata; quando l'acqua evapora, al punto di ebollizione si presenta uno stato in cui le singole molecole non esercitano assolutamente nessun rilevante influsso l'una sull'altra e sotto l'azione del calore si disperdono perfino in tutte le direzioni. È chiaro ora che le singole molecole di un corpo allo stato gassoso sono provviste di un'energia di gran lunga maggiore che allo stato solido. Il calore latente non è quindi sparito, esso si è semplicemente trasformato ed ha assunto la forma di tensione molecolare. Non appena vien meno la condizione alla quale le molecole possono mantenere questa loro assoluta o relativa libertà reciproca, non appena, cioè, la temperatura scende al di sotto del minimo di 100° e rispettivamente di 0°, questa tensione sparisce, le molecole urgono l'una verso l'altra con la stessa forza con la quale prima fuggivano l'una dall'altra, e questa forza sparisce, ma solo per riapparire come calore, e invero precisamente come quella stessa quantità di calore che prima era latente. Naturalmente questa spiegazione è un'ipotesi, come tutta la teoria meccanica del calore, in quanto nessuno sinora ha mai visto una molecola e tanto meno una molecola in vibrazione. Proprio per questo essa è certamente piena di lacune, come tutta la teoria che è ancora molto giovane, ma almeno essa può spiegare il processo senza in nessun modo venire in conflitto con l'indistruttibilità e l'increabilità del movimento ed è atta a render conto persino con precisione della presenza del calore durante la metamorfosi. Il calore latente o vincolato non è quindi uno scoglio per la teoria meccanica del calore. Al contrario questa teoria per la prima volta giunge ad una spiegazione razionale del processo, e uno scoglio può sorgere tutt'al più dal fatto che i fisici continuano a designare il calore che si è trasformato in un'altra forma di energia molecolare con l'espressione invecchiata e diventata impropria di calore "vincolato".
Quindi gli stati eguali a se stessi e le condizioni degli stati di aggregazione, solido, liquido e gassoso, rappresentano, in verità, lavoro meccanico, in quanto il lavoro meccanico è la misura del calore. Tanto la crosta solida della terra quanto l'acqua dell'oceano, nel loro stato attuale di aggregazione, rappresentano una quantità assolutamente determinata di calore sprigionatosi, al quale, si intende, corrisponde una quantità parimente determinata di energia meccanica. Nel passaggio dalla sfera gassosa dalla quale è sorta la terra, allo stato fluido di aggregazione, e, più tardi, lo stato gran parte solido di aggregazione, un quantum determinato di energia molecolare è stato irraggiato come calore nello spazio celeste. La difficoltà di cui va misteriosamente brontolando Dühring, non esiste dunque: anche nelle applicazioni cosmiche possiamo certo incontrare deficienze e lacune, dovute all'imperfezione dei nostri mezzi di conoscenza, ma non urteremo mai in ostacoli teoricamente insuperabili. Il ponte di passaggio dallo statico al dinamico è anche qui l'impulso esterno, raffreddamento o riscaldamento, occasionato da altri corpi che agiscano sull'oggetto che si trova in equilibrio. Quanto più ci inoltriamo in questa filosofia della natura dühringiana, tanto più impossibili appaiono i tentativi di spiegare il movimento partendo dall'immobilità, o di trovare quel ponte su cui ciò che è puramente statico, in quiete, può arrivare da se stesso a ciò che è dinamico, al movimento.
Con ciò ci saremo felicemente liberati per qualche tempo dello stato primitivo uguale a se stesso. Dühring passa alla chimica e coglie quest'occasione per rivelarci le seguenti tre leggi di permanenza della natura acquisite sinora dalla filosofia della realtà:
1) la quantità della materia universale; 2) quella degli elementi (chimici) semplici; 3) quella dell'energia meccanica, sono immutabili.
Quindi, increabilità e indistruttibilità, sia della materia che delle sue parti costitutive semplici, nella misura in cui essa ne ha, e indistruttibilità e increabilità del movimento; vecchi fatti universalmente noti, espressi in modo estremamente inadeguato: ecco l'unico elemento effettivamente positivo che Dühring è in grado di offrirci come risultato della sua filosofia della natura e del mondo inorganico. Tutte cose che sapevamo da lungo tempo. Quel che non sapevamo è che esse siano "leggi di permanenza" e come tali "proprietà schematiche del sistema delle cose". Qui noi dobbiamo dire di nuovo quello che abbiamo detto sopra a proposito di Kant: Dühring prende una qualsiasi storiella nota a tutti, ci appiccica un'etichetta dühringiana, e chiama questo: "conclusioni e vedute fondamentalmente originali ... idee che creano un sistema... scienza che va alle radici".
Ma ci vuol altro perché ci si debba disperare per questa ragione. Quali che siano le deficienze che scienza che più va alle radici e la migliore organizzazione della società possano avere, una cosa Dühring può affermare con precisione:
"La quantità di oro esistente nell'universo deve in ogni epoca essere stata sempre la stessa e tanto poco può essersi cresciuta o diminuita quanto la materia universale".
Ma che cosa possiamo comprarci con quest'"oro esistente", questo disgraziatamente Dühring non lo dice.
"Dalla meccanica della pressione e dell'urto al legame delle sensazioni e dei pensieri si stende un'unica e unitaria serie di gradini intermedi".
Con questa assicurazione Dühring si risparmia di dire qualche cosa di più sull'origine della vita, sebbene da un pensatore che è risalito, seguendo lo sviluppo del mondo, sino allo stato eguale a se stesso e che si sente tanto a casa sua sugli altri corpi celesti, ci si dovessero pur aspettare anche delle informazioni precise. Del resto quell'asserzione è esatta solo per metà, finché non venga integrata dalla linea nodale delle relazioni di misura di Hegel, della quale abbiamo già fatto menzione. Malgrado ogni gradualità, il passaggio da una forma di movimento ad un'altra rimane sempre un salto, una svolta decisiva. Così il passaggio dalla meccanica dei corpi celesti a quella delle masse minori che esistono su un singolo corpo celeste; altrettanto il passaggio dalla meccanica delle masse alla meccanica delle molecole, includendo le forme di movimento che indaghiamo nella fisica propriamente detta: calore, luce, elettricità, magnetismo; egualmente, il passaggio dalla fisica delle molecole alla fisica degli atomi, la chimica, si compie a sua volta con un salto netto, e questo è ancor più chiaramente il caso del passaggio dall'azione chimica ordinaria al chimismo dell'albume [34] che chiamiamo vita [35]. Nell'interno della sfera della vita i salti diventano sempre più rari ed insensibili. È quindi di nuovo Hegel che Dühring deve correggere.
Il passaggio concettuale al mondo organico viene fornito a Dühring dal concetto di finalità. Questo concetto è a sua volta preso a prestito da Hegel che nella "Logica", Dottrina del concetto, passa dal chimismo alla vita mediante la teleologia o dottrina della finalità. Dovunque gettiamo lo sguardo, in Dühring ci imbattiamo sempre in una "credenza" hegeliana che disinvoltamente spaccia per quella sua propria scienza che va alle radici. Andremmo troppo in là se indagassimo qui in che misura sia giustificata ed opportuna l'applicazione delle idee di finalità e di mezzo al mondo organico. In ogni caso, anche l'applicazione della "finalità interna" hegeliana, cioè di una finalità che non è introdotta nella natura mediante un terzo che agisce intenzionalmente, come sarebbe la saggezza della provvidenza, ma invece è insita nella necessità della cosa stessa, porta costantemente in gente non perfettamente ferrata in filosofia, all'interpolazione inconsiderata di azione cosciente e intenzionale. Lo stesso Dühring che, di fronte al più piccolo moto "spiritistico" altrui, cade in un'indignazione morale smisurata, assicura "con decisione che le sensazioni istintive (...) essenzialmente sono state create per la soddisfazione che è legata alla loro attività". E ci racconta che la povera natura "deve sempre ricominciare da capo a mantenere in ordine il mondo oggettivo", e che inoltre ha anche da sbrigare più di un affare "che esige da parte della natura una sottigliezza maggiore di quella che di solito le si concede". Ma la natura non solo sa perché fa or questa or quella cosa, non solo deve sbrigare i servizi di una domestica tuttofare, non solo ha della sottigliezza, ciò che è già un simpatico grado di perfezione nel pensiero soggettivo consapevole, ma ha anche una volontà. Infatti l'ulteriore attributo degli istinti, cioè che essi compiano inoltre reali funzioni naturali, nutrizione, propagazione, ecc., questo ulteriore attributo "dobbiamo ritenere che sia voluto non direttamente, ma solo indirettamente". Con ciò siamo arrivati ad una natura che pensa ed agisce consapevolmente, siamo quindi già sul ponte, ma non sul ponte che porta dallo statico al dinamico, bensì su quello che porta dal panteismo al deismo. O forse aggrada a Dühring fare, una volta tanto, un po' di quella "semipoesia che è propria della filosofia della natura"?
Impossibile. Tutto ciò che il nostro filosofo della realtà ci sa dire sulla natura organica, si limita alla lotta contro questa semipoesia della filosofia della natura, contro "la ciarlataneria con le sue superficiali facilonerie e con le sue mistificazioni pseudo-scientifiche", contro i "caratteri di pura poesia" del darwinismo.
Prima di ogni altra cosa si rimprovera a Darwin di trasferire la teoria malthusiana della popolazione dall'economia alla scienza della natura, di essere prigioniero delle idee degli allevatori di animali, di fare, sulla lotta per l'esistenza, della semipoesia non scientifica; e inoltre tutto il darwinismo, toltone quanto è stato mutato da Lamarck, è un atto di brutalità diretta contro l'umanità.
Darwin aveva riportato dai suoi viaggi scientifici l'idea che le specie vegetali e animali, anziché essere costanti, sono variabili. Per proseguire nello sviluppo di questi pensieri dopo il suo ritorno, non gli si offriva miglior campo di osservazione che l'allevamento delle piante e degli animali. Per questo scopo l'Inghilterra è proprio il paese classico; ciò che si è fatto in altri paesi, per es. in Germania, non può dare neanche lontanamente la misura di ciò che a questo riguardo è stato raggiunto in Inghilterra. Inoltre la maggior parte dei successi appartengono agli ultimi cento anni, cosicché la constatazione dei fatti presenta poche difficoltà. Ora, Darwin trovò che tale allevamento aveva provocato artificialmente, in piante ed animali della stessa specie, differenze maggiori di quelle che si presentavano tra specie che in generale sono riconosciute come differenti. Quindi, da una parte era dimostrata la modificabilità delle specie sino ad un certo grado, dall'altra la possibilità di antenati comuni per organismi che possedevano caratteri specifici differenti. Darwin si diede ora ad indagare la possibilità che nella natura si trovino cause che, senza l'intenzione cosciente dell'allevatore, tuttavia alla lunga provochino negli organismi viventi modificazioni analoghe a quelle provocate dall'allevamento artificiale. Queste cause egli le trovò nella sproporzione tra il numero enorme di germi prodotti dalla natura e il numero ristretto di organismi che effettivamente raggiungono la maturità. Ma poiché ogni germe tende allo sviluppo, sorge necessariamente una lotta per l'esistenza che si presenta non solo come l'atto diretto, corporeo, di combattersi o di mangiarsi, ma anche, perfino nelle piante, come lotta per lo spazio e per la luce. Ed è evidente che in questa lotta avranno la migliore prospettiva di raggiungere la maturità e di riprodursi quegli individui che posseggono certe particolarità individuali che, per insignificanti che siano, sono però vantaggiose nella lotta per l'esistenza. Queste proprietà individuali hanno perciò la tendenza a trasmettersi ereditariamente e, se si presentano in più individui della stessa specie, ad incrementarsi, per trasmissione ereditaria accumulata, nella direzione che hanno preso; mentre gli individui che non posseggono queste proprietà, soccombono più facilmente nella lotta per l'esistenza e gradualmente spariscono. In questa maniera una specie si modifica per selezione naturale, mediante la sopravvivenza del più adatto.
Contro questa teoria darwiniana Dühring dice che l'origine di quest'idea per la lotta dell'esistenza debba, come Darwin stesso avrebbe confessato, ricercarsi in una generalizzazione delle vedute dell'economista Malthus, teorico del fenomeno della popolazione, e che conseguentemente sarebbe affetta da tutte quelle pecche che sono proprie delle vedute di sapore sacerdotale di Malthus sulla pressione demografica. Ora, a Darwin, neanche da lontano è mai venuto in mente di dire che l'origine dell'idea della lotta per l'esistenza si debba ricercare in Malthus. Egli dice solamente che la sua teoria della lotta per l'esistenza è la teoria di Malthus applicata a tutto il mondo animale e vegetale. Per quanto grosso possa essere il granchio preso da Darwin nell'accettare ingenuamente, senza averla esaminata, la dottrina di Malthus, ognuno vede a prima vista che non occorrono gli occhiali di Malthus per percepire la lotta per l'esistenza nella natura, la contraddizione, cioè, tra l'innumerevole quantità di germi che la natura produce a profusione e il ristretto numero di essi che in generale può arrivare a maturità; contraddizione che si risolve in effetti, per la massima parte, in una lotta, a volte straordinariamente crudele, per l'esistenza. E come la legge del salario ha conservato il suo valore anche dopo che da gran tempo sono screditati gli argomenti di Malthus sui quali la faceva poggiare Ricardo, così nella natura può egualmente aver luogo la lotta per l'esistenza, anche senza nessuna interpretazione maltusiana. Del resto gli organismi della natura hanno egualmente le loro leggi demografiche, le quali vengono poco o niente indagate, ma la cui constatazione sarà di importanza decisiva per la teoria dell'evoluzione delle specie. E chi ha dato anche in questa direzione l'impulso decisivo? Nessun altro che Darwin.
Dühring si guarda bene dall'entrare in questo lato positivo della questione. Invece deve sempre ritornare in discussione la lotta per l'esistenza. È escluso a priori che si possa parlare di una lotta per l'esistenza tra piante prive di coscienza e bonari erbivori: "ora in senso preciso e determinato la lotta per l'esistenza rientra nella brutalità se e in quanto l'alimentazione avviene rapinando e divorando". E, dopo aver ridotto il concetto di lotta per l'esistenza a questi limiti angusti, Dühring può lasciar libero corso alla sua indignazione sulla brutalità di questo concetto, che egli stesso ha limitato alla brutalità. Ma questa indignazione morale colpisce solo Dühring, che invero è il solo autore della lotta per l'esistenza ridotta a questi limiti, e perciò ne è il solo responsabile. Non è dunque Darwin colui "che cerca nel dominio delle fiere le leggi e l'intelligenza di ogni azione della natura", ché anzi Darwin aveva incluso nella lotta precisamente tutta la natura organica, ma è invece uno spauracchio fantastico allestito da Dühring stesso. Il nome di lotta per l'esistenza può del resto essere volentieri sacrificato alla collera altamente morale di Dühring. Che la cosa esista anche tra le piante glielo può provare ogni prato, ogni campo di grano, ogni bosco; e non si tratta del nome, se, cioè, tutto questo debba chiamarsi "lotta per l'esistenza" o "mancanza di condizioni per l'esistenza e suoi effetti meccanici", si tratta invece di sapere come questo fatto agisca sulla conservazione o sulla modificazione delle specie. Su questo Dühring persiste in un silenzio perfettamente eguale a se stesso. Quindi provvisoriamente bisognerà accontentarsi della selezione naturale.
Ma il darwinismo "produce dal nulla le sue trasformazioni e le sue differenziazioni". In verità Darwin, laddove tratta della selezione naturale, astrae dalle cause che hanno provocato le modificazioni dei singoli individui, e tratta anzitutto del modo e della maniera in cui tali variazioni individuali a poco a poco diventano caratteristiche di una razza, di una varietà, di una specie. Per Darwin, prima di ogni altra cosa, si tratta di trovare non tanto queste cause, le quali sinora sono in parte del tutto sconosciute, in parte possono essere indicate soltanto in una maniera del tutto generale, quanto invece una forma razionale nella quale i loro effetti si fissino e acquistino un valore durevole. Che Darwin abbia inoltre attribuito alla sua scoperta una sfera d'azione esagerata, che ne abbia fatta una leva per la modificazione della specie, e che abbia trascurato le cause delle modificazioni individuali ripetute, per occuparsi della forma in cui si generalizzano, è un errore che ha in comune con tutti quelli che compiono un progresso. Inoltre, se Darwin fa uscire dal nulla le sue trasformazioni individuali, e vi applica esclusivamente "la pazienza del selettore", il selettore deve perciò egualmente far nascere dal nulla le sue trasformazioni delle specie animali e vegetali, non solamente immaginate, ma reali. Ma chi ha dato l'impulso per indagare da dove propriamente sorgano queste trasformazioni e queste differenziazioni, ancora una volta non è altro che Darwin.
Di recente, specialmente nell'opera di Haeckel, l'idea della selezione naturale è stata estesa e la variazione della specie è stata intesa come risultato dell'azione reciproca dell'adattamento e della trasmissione ereditaria, rappresentandosi nel processo l'adattamento come l'aspetto che produce le modificazioni, la trasmissione ereditaria come l'aspetto che le conserva. Ma per Dühring neanche questo, ancora una volta, è giusto.
"Un vero e proprio adattamento alle condizioni di vita, quali vengono fornite o sottratte dalla natura, postula istinti e attività che sono idealmente determinati. In caso contrario l'adattamento è solo un'apparenza e la causalità che allora agisce non si eleva al disopra dei gradi inferiori del mondo della fisica, della chimica e della fisiologia generale".
Di nuovo è il nome quello che fa dispetto a Dühring. Ma quale che sia il nome da dare al processo, la questione qui è questa: mediante tali processi sono o non sono provocate modificazioni nelle specie organiche? E ancora una volta Dühring non dà nessuna risposta.
"Se una pianta, nel suo sviluppo, prende una direzione nella quale riceve la maggior quantità di luce, questo effetto dello stimolo non è stato che una combinazione di forze fisiche e di agenti chimici, e se qui si vuol parlare non metaforicamente ma propriamente di un adattamento, ciò significa portare nei concetti una confusione spiritistica."
Così severo è contro gli altri lo stesso uomo che sa in modo assolutamente preciso per volontà di chi la natura fa una cosa o l'altra, che parla della sottigliezza della natura, anzi della sua volontà; confusione spiritistica, in effetti, ma dove? In Haeckel o in Dühring?
E non solo confusione spiritistica, ma anche logica. Abbiamo visto che Dühring insiste con tutte le sue forze a far valere nella natura il concetto di fine: "La relazione di mezzo e fine non postula in nessun modo una intenzione cosciente". Ma che cos'è dunque l'adattamento senza intenzione cosciente, senza quella meditazione di idee, contro la quale egli si infervora tanto, se non una siffatta attività finalistica incosciente?
Se quindi le raganelle e gli insetti erbivori sono verdi, se gli animali del deserto sono giallo-sabbia, se gli animali polari sono prevalentemente del colore bianco della neve, è certo che essi non si sono appropriati di questi colori intenzionalmente o seguendo una qualche idea; al contrario i colori si possono spiegare partendo da forze fisiche e da agenti chimici. Eppure è innegabile che questi animali sono adattati secondo un fine, con quei colori, al mezzo nel quale vivono e, precisamente, perché in tal modo sono molto meno visibili ai loro nemici. Del pari gli organi con cui certe piante catturano e mangiano gli insetti che si posano su di esse, sono adattati a questa attività e adattati persino secondo un fine. Se ora Dühring insiste sul fatto che l'adattamento deve essere effettuato da idee, egli non fa che dire con altre parole che l'attività secondo un fine deve essere del pari mediata da idee, cosciente, intenzionale. E con questo siamo arrivati ancora una volta, come avviene di solito nella filosofia della realtà, al creatore che agisce finalisticamente, a dio. "Nel passato un siffatto modo di intendere lo si chiamava deismo e non era tenuto in gran conto" (dice Dühring); "ma oggi anche sotto questo rapporto sembra che ci si sia sviluppati a rovescio".
Dall'adattamento veniamo all'ereditarietà. Anche qui il darwinismo, secondo Dühring, è completamente su falsa strada. Tutto il mondo organico, affermerebbe Dühring, discende da un essere primitivo, per così dire sarebbe la progenie di un solo essere. Per Darwin non esisterebbe assolutamente coordinazione per sè stante di prodotti naturali della stessa specie, senza la mediazione di una discendenza comune, e perciò con le sue vedute retrospettive Darwin dovrebbe alla fine trovarsi ben presto al punto in cui il filo della generazione o di altra propagazione gli si spezza tra le mani.
L'affermazione che Darwin faccia derivare tutti gli organismi attualmente esistenti da un essere primitivo è, per esprimerci cortesemente, "una libera creazione e una libera immaginazione" di Dühring. Darwin dice espressamente nella penultima pagina della "Origin of Species", 6ª edizione, che egli considera "tutti gli esseri non come creazioni particolari, ma come i discendenti, in linea diretta, di alcuni pochi esseri [35b]". E Haeckel va ancora notevolmente avanti e ammette "in ceppo assolutamente indipendente per il regno vegetale e un secondo per il regno animale" e tra l'uno e l'altro "un certo numero di ceppi indipendenti di protesti, ciascuno dei quali si è sviluppato in modo assolutamente indipendente da quelli, partendo da una forma peculiare di monera archigonia" [36] ("Storia della creazione", pag. 397). Questo essere primitivo è stato inventato da Dühring, solo per screditarlo il più possibile mediante il parallelo con l'ebreo primitivo, Adamo; ma in quanto a lui, cioè a Dühring, è capitata la disgrazia che gli è rimasto ignoto in che modo, attraverso le scoperte assirologiche di Smith, questo ebreo primitivo si rivela semita primitivo; e che tutta la storia biblica della creazione e del diluvio si presenta come un frammento del ciclo degli antichi riti religiosi pagani, comune agli ebrei e ai babilonesi, ai caldei e agli assiri.
È certo un rimprovero duro contro Darwin, ma inevitabile, che alla fine egli si trovi ben presto al punto in cui il filo della discendenza gli si spezza tra le mani. Disgraziatamente tutta la nostra scienza della natura merita questo rimprovero. Là dove il filo della discendenza le si spezza tra le mani, essa è "alla fine". Sinora essa non è ancora riuscita a creare essere organici senza farli discendere da altri; anzi non è ancora mai riuscita a produrre un semplice protoplasma o altre sostanze albuminose derivandole dagli elementi chimici. Sinora sull'origine della vita non può dire con precisione più di questo: che essa deve essersi compiuta per via chimica. Ma forse la filosofia della realtà è in condizione di poterle venire in aiuto, poiché essa dispone di prodotti della natura coordinati in modo indipendente e che non hanno l'intermediario di una discendenza comune. Come possono essersi originati? Per generazione spontanea? Ma sinora anche i più temerari rappresentanti della generazione spontanea non hanno avuto la pretesa che produrre altro che batteri, germi di funghi e altri organismi molto primitivi e non insetti, pesci, uccelli o mammiferi. Ora se questi prodotti naturali della stessa specie -beninteso organici, che di questi solamente qui si parla- non sono connessi tra loro mediante discendenza, essi, o ciascuno dei loro antenati, debbono essere venuti al mondo, là "dove il filo della discendenza si spezza", mediante uno speciale atto di creazione. Ed eccoci di nuovo al creatore e a ciò che si chiama deismo.
Inoltre Dühring dichiara che è una grande superficialità di Darwin "il fare del semplice atto di composizione sessuale di alcune proprietà, il principio fondamentale della genesi di queste proprietà". Questa è ancora una volta una libera creazione e una libera immaginazione del nostro filosofo che va alle radici. Al contrario Darwin dichiara decisamente che l'espressione selezione naturale include solo la conservazione di modificazioni e non la loro produzione (p. 63). Questa nuova interpolazione di cose che Darwin non ha mai dette, serve però ad aiutarci ad intendere la seguente profonda riflessione di Dühring:
"Se si fosse cercato nello schematismo interno della generazione qualche principio della modificazione per sé stante, quest'idea sarebbe stata assolutamente razionale; infatti è un'idea conforme a natura il raccogliere in unità il principio della genesi intesa in generale e quella della propagazione sessuale e il considerare da un punto di vista più alto la così detta generazione spontanea, non come un'antitesi assoluta della riproduzione, ma precisamente come una produzione".
E l'uomo che ha potuto scrivere questi guazzabugli non ha soggezione di rimproverare a Hegel il suo "gergo"!
Ma ora basta con questi brontolii e con questi cavilli noiosi e contraddittori con cui Dühring esprime il suo dispetto per lo slancio colossale che la scienza della natura deve all'impulso avuto dalla teoria darwiniana. Né Darwin né i naturalisti suoi seguaci pensano di sminuire in qualche modo i meriti di Lamarck; sono proprio loro che per primi lo hanno ancora una volta levato sugli scudi. Ma non dobbiamo dimenticare che al tempo di Lamarck la scienza era ancora bel lontana dal disporre di un materiale sufficiente per poter dare alla questione dell'origine della specie una risposta che non fosse un'anticipazione e, per così dire, una profezia. Oltre all'enorme materiale tratto dal dominio della botanica e della zoologia, sia descrittive che anatomiche, e che da allora si è accumulato, dopo Lamarck sono sorte due scienze completamente nuove, che sono qui di importanza decisiva: l'indagine dello sviluppo dei germi vegetali e animali (embriologia) e quella dei resti organici conservati nei diversi strati della superficie terrestre (paleontologia). Si trova cioè un singolare accordo tra lo sviluppo graduale mediante il quale i germi organici diventano organismi maturi e l'ordine con cui piante e animali sono comparsi successivamente nella storia della terra. E precisamente questo accordo ha dato alla teoria dell'evoluzione la sua base più solida. Ma la stessa teoria dell'evoluzione è ancora molto giovane, ed è perciò indubitabile che l'indagine ulteriore modificherà notevolmente le idee attuali, anche quella strettamente darwiniana sul processo evolutivo della specie.
Che cosa ha ora da dirci di positivo la filosofia della realtà sullo sviluppo della vita organica?
"La (...) variabilità delle specie è un postulato accettabile." Ma parallelamente vale anche "la coordinazione per sé stante di prodotti naturali della stessa specie senza l'intermediario di una discendenza comune". Conseguentemente si dovrebbe ritenere che i prodotti naturali non della stessa specie, non le specie che si modificano, discenderebbero l'uno dall'altro; quelli della stessa specie invece no. Ma neppure questo è assolutamente esatto; infatti anche nelle specie che si modificano "la mediazione per discendenza dovrebbe essere soltanto un atto assolutamente secondario della natura". Quindi ancora discendenza, ma di "seconda classe". Rallegriamoci allora che la discendenza, dopo che Dühring le ha attribuito tanti mali e tanta oscurità, alla fine venga riammessa per la porta di servizio. Con la selezione naturale non accade diversamente: infatti, dopo tutta l'indignazione morale sulla lotta per l'esistenza, in virtù della quale si compie in vero la selezione naturale, d'un tratto ci si dice: "La base più profonda della costituzione degli esseri deve per conseguenza cercarsi nelle condizioni di vita e nelle relazioni economiche, mentre la selezione naturale, messa in rilievo da Darwin, può venire solo in seconda linea". Quindi ancora selezione naturale se anche di seconda classe; e dunque con la selezione naturale anche la lotta per l'esistenza e conseguentemente anche sacerdotale pressione demografica di Malthus! Questo è tutto; per il resto Dühring ci rimanda a Lamarck.
Infine egli ci mette in guardia sull'abuso delle parole metamorfosi ed evoluzione. Metamorfosi sarebbe un concetto non chiaro e il concetto di evoluzione sarebbe ammissibile solo nella misura in cui si può realmente provare che ci sono leggi dell'evoluzione. Invece di usare questi due termini dobbiamo dire: "composizione", e allora tutto andrà bene. È di nuovo la vecchia storia: le cose rimangono com'erano e Dühring è completamente soddisfatto purché modifichiamo i nomi. Se parliamo dell'evoluzione del pulcino nell'uovo, facciamo confusione, perché solo in modo incompleto possiamo provare le leggi dell'evoluzione. Parliamo invece della sua composizione e tutto diventa chiaro. Quindi non diremo più che questo bambino si sviluppa magnificamente, ma che si compone eccellentemente, e possiamo congratularci con Dühring che è degno di stare a fianco dell'autore dell'Anello di Nibelungo, non solo nella nobile stima di se stesso, ma anche nella sua qualità di compositore dell'avvenire [37].
"Si consideri, (...) al fine di dotare la nostra sezione riguardante la filosofia della natura di tutti i suoi presupposti scientifici, quanta conoscenza positiva essa richieda. Essa ha per fondamento in primo luogo tutte le conquiste essenziali della matematica e poi le acquisizioni capitali delle scienze esatte nel campo della meccanica, della fisica, della chimica, nonché in generale i risultati raggiunti dalle scienze naturali nella fisiologia, nella zoologia e in analoghi campi d'indagine".
Tale è la sicurezza e la decisione con cui si esprime Dühring sull'erudizione di Dühring nella matematica e nelle scienze naturali. Non si riesce a scorgere quale radicale profondità di conoscenza positiva si nasconda dietro quella magra sezione e tanto meno dietro ai suoi risultati ancor più meschini. In ogni caso, per venire a capo di ciò che Dühring oracoleggia intorno alla fisica e alla chimica non occorre sapere altro della fisica che l'equazione che esprime l'equivalente meccanico del calore, e della chimica solo questo: che tutti i corpi si dividono in elementi e composti di elementi. Chi inoltre, come Dühring a p. 131, può parlare della "gravitazione degli atomi", con ciò prova soltanto che è completamente "all'oscuro" sulla differenza di atomo e molecola. È noto che gli atomi esistono non già in rapporto alla gravitazione o ad altre forme meccaniche o fisiche di movimento, ma in rapporto all'azione chimica. E chi legga il capitolo sulla natura organica, davanti a quello sproloquio tortuoso, vuoto, contraddittorio e, nel punto decisivo, privo di senso come gli oracoli, davanti all'assoluta nullità della conclusione finale, non può fare a meno di accorgersi fin dal principio che qui Dühring parla di cose di cui sa stranamente poco. Questa opinione diventa certezza allorché si arriva alla sua proposta di parlare d'ora in poi, nella dottrina degli esseri organici (biologia), di composizione anziché di evoluzione. Chi è capace di fare una simile proposta, dimostra di non avere la minima idea sulla formazione dei corpi organici.
Tutti i corpi organici si compongono, ad eccezione degli infimi, di cellule, di piccoli grumi albuminosi, visibili solo a forte ingrandimento e aventi al loro interno un nucleo cellulare. Di regola la cellula sviluppa anche una membrana esterna, e il suo contenuto è allora più o meno fluido. I corpi cellulari più bassi si compongono di una sola cellula; l'enorme maggioranza di esseri organici è pluricellulare, è un complesso armonico di molte cellule, che negli organismi inferiori sono ancora omogenee, negli organismi superiori acquistano forme, raggruppamenti, attività sempre più distinti. Nel corpo umano per es. ossa, muscoli, nervi, tendini, legamenti, cartilagine, pelle, in breve tutti i tessuti, sono composti di cellule o sono originati da esse. Ma a tutti gli esseri cellulari organici, dall'ameba, che è un semplice grumo cellulare per la maggior parte della sua vita privo di membrana e avente all'interno un nucleo cellulare, sino all'uomo; e dalla più piccola desmidiacea unicellulare sino alle piante più altamente sviluppate, il modo in cui le cellule si moltiplicano è comune: per scissione. Dapprima il nucleo cellulare si strozza nel mezzo, poi la strozzatura che separa i due lobi del nucleo diventa sempre più forte, finalmente questi si separano e formano due nuclei cellulari. Lo stesso processo ha luogo nella cellula medesima, ciascuno dei due nuclei diventa il punto centrale di un ammassamento di protoplasma che è messo in comunicazione con l'altro per mezzo di una strozzatura, che diventa sempre più stretta finché alla fine si separano l'uno dall'altro e continuano a vivere come cellule a sé stanti. Mediante il ripetersi di una tale scissione cellulare, dalla vescicola germinale dell'uovo animale, intervenuta la fecondazione, si sviluppa poco a poco tutto l'animale completo, e in modo analogo si effettua, nell'animale adulto, la sostituzione dei tessuti consumati. Per chiamare composizione un tale processo e "pura immaginazione" il designarlo come evoluzione, ci vuole certo qualcuno che non sappia proprio niente di questo processo, per quanto possa essere difficile ammettere ciò; qui invero, c'è proprio solo, e precisamene nel senso più letterale della parola, evoluzione, e di composizione, invece, non c'è neanche l'ombra!
Su ciò che Dühring intende in generale per vita, avremo più oltre da dire ancora qualche cosa. In particolare, ecco che cosa egli immagina per vita:
"Anche il modo inorganico è un sistema di movimenti che si compiono automaticamente; ma solo laddove comincia la specifica articolazione in organi e l'intervento della circolazione delle sostanze attraverso particolari canali partendo da un punto interno e secondo uno schema germinale trasmissibile ad un essere più piccolo, solo allora si può cominciare a parlare di vita propriamente detta in un senso più stretto e più rigoroso".
Questa asserzione è, nel senso più stretto e più rigoroso, un sistema di movimenti automatici (qualunque cosa possono essere questi), di insulsaggini, anche a prescindere la grammatica disperatamente confusa. Se la vita comincia solo con l'inizio dell'articolazione propriamente detta, dobbiamo dichiarare morto tutto il regno haeckeliano dei protesti e forse molte altre cose ancora, a seconda del modo in cui viene concepito il concetto di articolazione. Se la vita comincia solo laddove questa articolazione è trasmissibile mediante uno schema germinale più piccolo, tutti gli organismi, almeno sino agli organismi unicellulari, e questi inclusi, non sono viventi. Se l'intervento della circolazione delle sostanze attraverso particolari canali è il contrassegno della vita, dobbiamo cancellare dalla serie degli esseri viventi, oltre a quelli di cui si è detto, anche tutta la classe superiore dei celenterati, eccettuate semmai le meduse, e quindi tutti i polipi e gli altri fitozoi [38]. Ma se poi si pone come contrassegno essenziale della vita la circolazione delle sostanze attraverso particolari canali partendo da un punto interno, dobbiamo dichiarare senza vita tutti quegli animali che non hanno cuore oppure hanno più cuori. Vi appartengono, oltre a quelli che abbiamo menzionato precedentemente, anche tutti i vermi, le stelle marine e i rotiferi (annuloida e annulosa, nella classificazione di Huxley [39]), una parte dei crostacei (granchi), e finalmente anche un vertebrato, l'anfiosso (anphioxus). Inoltre tutte le piante.
Dühring, intendendo quindi individuare i caratteri della vita propriamente detta nel senso più stretto e più rigoroso, ce ne indica quattro che si contraddicono completamente l'un l'altro, l'uno dei quali condanna a morte eterna non solo tutto il regno vegetale, ma anche quasi la metà del regno animale. In verità nessuno può dire che egli ci infinocchiasse, quando ci prometteva "conclusioni e vedute originali sin dalle fondamenta"!
In altro luogo dice: "Anche nella natura, in tutte le organizzazioni, dalle più basse alle più alte, c'è alla base un tipo semplice" e questo tipo è "possibile coglierlo pienamente e assolutamente nel suo essere generale già nel movimento più elementare della pianta meno sviluppata". Questa affermazione è di nuovo "pienamente e assolutamente" un assurdo. Il tipo più semplice che si può cogliere in tutta la natura organica è la cellula, ed essa è certamente alla base delle organizzazioni più alte. Per contro, tra gli organismi più bassi se ne trovano una moltitudine che stanno ancora molto più in basso della cellula: la protameba, semplice grumo albuminoide senza alcuna differenziazione, un'intera serie di altre monere e tutte le alghe triformi (sifonee). Tutti questi sono legati agli organismi superiori solo per il fatto che loro elemento costitutivo essenziale è l'albume e conseguentemente compiono funzioni proprie dell'albume, cioè vivono e muoiono.
Dühring ci racconta inoltre:
"Fisiologicamente la sensazione è legata alla presenza di un qualche apparato nervoso, per semplice che esso possa essere. Perciò è caratteristico di tutti gli esseri animali l'essere capaci di sensazione, cioè di prendere soggettivamente coscienza delle loro condizioni. La linea di confine netta tra piante e animali è lì dove avviene il salto alla sensazione. Tanto poco questa linea di confine può essere cancellata dagli esseri intermedi noti, che anzi proprio queste formazioni esteriormente indistinte o indistinguibili la hanno fatta diventare più che mai un bisogno logico". E più tardi: "Per contro, le piante sono interamente e per sempre prive della pù lieve traccia di sensazione e anche di ogni apparato che serva a riceverle".
In primo luogo, Hegel, nell'aggiunta al par. 351 della "Filosofia della natura", dice che "la sensazione è la differenza specifica, è ciò che assolutamente contraddistingue gli animali". Quindi di nuovo una "crudezza" di Hegel, la quale, per semplice appropriazione da parte di Dühring, viene elevata alla dignità di verità definitiva di ultima istanza.
In secondo luogo sentiamo parlare qui per la prima volta di esseri intermedi, di formazioni esteriormente indistinte o indistinguibili (che razza di gergo!) tra pianta e animale. Che queste forme intermedie esistano; che ci siano organismi dei quali non possiamo assolutamente dire se sono piante o animali; che in generale non possiamo stabilire nettamente la linea di confine tra pianta e animale; tutto questo diventa per Dühring il bisogno logico di stabilire un criterio di distinzione, del quale, nello stesso istante, ammette che non è solido! Ma non abbiamo nessun bisogno di far ritorno al campo equivoco che sta tra piante e animali; le piante sensitive, che al più lieve tocco distendono le loro foglie o chiudono i loro fiori, le piante insettivore, sono prive di ogni più lieve traccia di sensazione e anche di ogni apparato che serva a riceverle? Questo anche lo stesso Dühring non può affermarlo senza "semipoesia priva di scienza".
In terzo luogo, è ancora una volta una libera creazione e una libera immaginazione di Dühring la sua affermazione che la sensazione sia fisiologicamente legata alla presenza di un qualche apparato nervoso, per semplice che esso sia. Non solo nessuna forma animale inferiore, ma neppure i fitozoi, almeno nella loro grande maggioranza, presentano alcuna traccia di apparato nervoso. Un tale apparato si trova regolarmente soltanto a partire dai vermi e Dühring è il primo ad affermare che quegli animali non avrebbero sensazioni perché non hanno nervi. La sensazione non è necessariamente legata ai nervi, ma probabilmente a certe sostanze albuminose che sinora non sono state meglio determinate.
Del resto le cognizioni biologiche di Dühring sono sufficientemente caratterizzate dalla domanda che egli non si merita di porre a Darwin: "È possibile che l'animale si sia sviluppato dalla pianta?". Una tale domanda può farla solo qualcuno che non sappia niente, né di animali né di piante.
Della vita in generale Dühring ci sa dire soltanto questo:
"Il ricambio materiale che si compie per via di una schematizzazione plasticamente costruttiva" (che è mai tutto ciò?) "resta sempre un carattere distintivo del processo vitale propriamente detto".
Questo è tutto ciò che veniamo a sapere della vita, restando, con la "schematizzazione plasticamente costruttiva", ancora ingolfati sino al collo nelle parole senza senso del più puro gergo dühringiano. Se quindi vogliamo sapere che cosa è la vita, dovremo occuparcene noi stessi più da vicino.
Che il ricambio materiale organico sia il fenomeno più generale e più caratteristico della vita, è cosa che da trent'anni a questa parte è stata detta infinite volte dalla chimica fisiologica e dalla fisiologia chimica e che qui Dühring semplicemente traduce nel suo peculiare linguaggio elegante e chiaro. Ma definire la vita come ricambio materiale organico o ricambio materiale con schematizzazione plasticamente costruttiva è precisamente un'espressione che a sua volta richiede essa stessa di essere spiegata per mezzo della vita, per mezzo della differenza tra l'organico e l'inorganico, cioè del vivente e del non vivente. Con questa spiegazione dunque non facciamo un passo avanti.
Il ricambio materiale come tale può avvenire anche senza la vita. C'è tutta una serie di processi chimici che, con un sufficiente apporto di materie prime, rigenerano costantemente le loro proprie condizioni in modo tale che un corpo determinato sia così il veicolo del processo. Così avviene nella fabbricazione dell'acido solforico per combustione dello zolfo. Si produce in questo caso un'anidride solforosa, SO2, e aggiungendo vapore acqueo e acido nitrico, l'anidride solforosa assorbe idrogeno e ossigeno e si trasforma in acido solforico, H2SO4. Nel processo l'acido nitrico fornisce ossigeno e si riduce ad ossido di azoto; questo ossido di azoto assorbe subito a sua volta nuovo ossigeno dall'aria e si trasforma in ossidi di azoto più elevati, ma solo per rifornire subito quest'ossigeno all'anidride solforosa e ripercorrere lo stesso processo, cosicché teoricamente una quantità infinitamente piccola di acido nitrico potrebbe essere sufficiente per trasformare in acido solforico una quantità illimitata di anidride solforosa, di ossigeno e di acqua. Un ricambio materiale ha luogo inoltre nel passaggio di fluidi attraverso membrane organiche prive di vita e attraverso membrane inorganiche come nelle cellule artificiali di Traube [40]. Qui è ancora una volta evidente che col ricambio materiale non si va avanti, infatti quel particolare ricambio materiale che si chiama vita ha bisogno esso stesso di essere spiegato a sua volta per mezzo della vita. Dobbiamo quindi condurre le nostre ricerche per altra via.
La vita è il modo di esistenza delle sostanze albuminose, e questo modo di esistenza consiste essenzialmente nel costante autorinnovarsi dei componenti chimici di queste sostanze.
Sostanza albuminosa è intesa qui nel senso della chimica moderna che raccoglie sotto questo nome tutti i corpi costituiti analogamente al comune albume d'uovo, altrimenti detti anche sostanze proteiche. Il nome è improprio perché il comune albume d'uovo ha, tra tutte le sostanze ad esso affini, la funzione meno vitale e più passiva, essendo insieme al tuorlo solo una sostanza nutritiva per il germe che si sviluppa. Ma sino a che si saprà ancora tanto poco della composizione chimica delle sostanze albuminose, questo nome sarà tuttavia migliore di tutti gli altri, perché più generale.
Ovunque troviamo la vita, la troviamo legata ad una sostanza albuminosa, e dovunque trovassimo una sostanza albuminosa che non sia in decomposizione, troviamo anche, senza eccezioni, fenomeni vitali. È indubitato che è necessaria la presenza anche di altri composti chimici di un corpo vivente per provocare particolari differenziazioni di questi fenomeni vitali; ma per la vita pura e semplice esse non sono necessarie se non nella misura in cui intervengono come alimento e si trasformano in albume. Gli esseri viventi più elementari a noi noti non sono assolutamente altro che semplici piccoli aggregati albuminosi e manifestano già tutti i fenomeni vitali essenziali.
Ma in che cosa consistono questi fenomeni vitali essenziali che sono egualmente presenti dappertutto, in tutti gli esseri viventi? Anzitutto nel fatto che la sostanza albuminosa assorbe dal suo ambiente altre materie appropriate e le assimila, mentre altre parti del corpo più vecchie si consumano e vengono eliminate. Nel corso naturale delle cose altri corpi non viventi si modificano, si consumano o si combinano; ma così cessano di essere quello che erano. La roccia erosa dal tempo non è più una roccia, il metallo che si ossida si cambia in ruggine. Ma ciò che nei corpi privi di vita è causa di distruzione, nell'albume è condizione fondamentale di esistenza. Dal momento in cui cessa questa trasformazione ininterrotta degli elementi componenti dell'albume, cessa questo alternarsi permanente di nutrizione e di eliminazione, da questo momento la stessa sostanza albuminosa cessa, si decompone, cioè muore. La vita, il modo di essere della sostanza albuminosa, consiste dunque, anzitutto, nel fatto che in ogni istante essa è ad un tempo se stessa ed un'altra; e questo non avviene in conseguenza di un processo cui una sostanza sia sottoposta dall'esterno, come può anche essere il caso per le sostanze prive di vita. Al contrario, la vita, il ricambio materiale che ha luogo per via di nutrizione e di eliminazione, è un processo che si compie spontaneamente, inerente, connaturato al suo veicolo, l'albume, senza il quale non può esserci. E consegue da ciò che semmai la chimica arrivasse a produrre artificialmente albume, questo albume dovrà manifestare fenomeni vitali, per deboli che essi possano essere. È certo cosa dubbia se nello stesso tempo la chimica scoprirà anche l'alimento conveniente a questo albume.
Del ricambio materiale che ha luogo mediante la nutrizione e l'eliminazione come funzione essenziale dell'albume e della plasticità che ad esso è propria, derivano poi tutti gli altri fattori più semplici della vita: eccitabilità, che è già inclusa nell'azione reciproca tra albume e il suo alimento; contrattilità che già si manifesta in un grado molto basso nella consumazione del cibo, possibilità di accrescimento che nel grado più basso include la propagazione per divisione; movimento interno, senza il quale non sono possibili né consumazione né assimilazione del cibo.
La nostra definizione della vita è naturalmente molto deficiente, poiché essa, ben lungi dall'includere tutti i fenomeni vitali, deve limitarsi ai più generali e semplici. Tutte le definizioni hanno scientificamente scarso valore. Per sapere in modo veramente esauriente che cosa è la vita, dovremmo percorrere tutte le sue forme fenomeniche dalle più basse alle più alte. Tuttavia per l'uso ordinario tali definizioni sono molto comode e in parte non si può farne a meno; inoltre non possono fare del danno, purché non si dimentichino le loro inevitabili deficienze.
Ma ritorniamo a Dühring. Allorché le cose gli vanno piuttosto male nel dominio della biologia terrena, egli sa consolarsi: si rifugia nel suo cielo stellato.
"Non solo la costituzione speciale di un organo senziente, ma proprio tutto il mondo oggettivo è fatto per la produzione di piacere e dolore. Per questa ragione noi supponiamo che l'antitesi piacere e dolore, e precisamente proprio nella forma che ci è familiare, sia un'antitesi universale che debba essere rappresentata nei vari mondi dell'universo da sentimenti essenzialmente simili (...) questa concordanza ha non poco significato; infatti essa è la chiave per l'universo delle sensazioni (...) Di conseguenza il mondo cosmico soggettivo non ci è molto più estraneo di quello oggettivo. La costituzione di questi due regni deve pensarsi secondo un tipo concordante e così abbiamo i principi per una dottrina della coscienza che ha una portata superiore a quella semplicemente terrena."
Che cosa importano pochi grossolani strafalcioni della scienza terrena ad un uomo che abbia in tasca la chiave per l'universo delle sensazioni? Allons donc! [Avanti allora!]
32. La concezione del movimento come un quanto costante (conservazione della qualità di movimento) fu sviluppata da Cartesio nella sua trattazione sulla luce (parte prima dell'opera "De Mundo", scritta negli anni 1630-1633 ma pubblicata nel 1664, quattordici anni dopo la morte di Cartesio) e nella sua lettera a De Bearne del 30 aprile 1639. Più ampiamente essa è esposta nei suoi "Principia philosophiae", Amsterdam, 1644, parte seconda, par 36.
33. Sul sistema copernicano cfr. quanto scrive Engels in "Ludwig Feuerbach e il punto di approdo della filosofia classica tedesca" (1886): "Il sistema solare di Copernico fu per tre secoli un'ipotesi, su cui vi era da scommettere cento, mille, diecimila contro uno, ma pur sempre un'ipotesi. Quando però Leverrier, con i dati ottenuti grazie a quel sistema, non solo dimostrò che doveva esistere un altro pianeta, ignoto fino a quel tempo, ma calcolò pure in modo esatto il posto occupato da quel pianeta nello spazio celeste e quando, in seguito, Galle lo scoprì, il sistema copernicano era provato". Il pianeta in questione è Nettuno, scoperto il 23 settembre 1846 dall'astronomo Johann Galle dall'osservatorio di Berlino.
34. Engels adopera i termini "albume", "sostanze albuminose" ecc. là dove oggi si direbbe invece "sostanze proteiche". Qui e altrove si è però mantenuta la traduzione letterale.
35. Nel 1885, mentre preparava la seconda edizione dell'"Anti-Dühring", Engels pensò di mettere a questo punto una nota, il cui abbozzo ("Sulla concezione "meccanica" della natura") fu poi da lui incluso nei materiali per la "dialettica della natura".
35b. Corsivo di Engels.
36. Secondo la classificazione di Haeckel i protisti formano un ampio gruppo di organismi del tipo più semplice, unicellulari o anche acellulari, costituenti un terzo regno speciale accanto ai due regni pluricellulari (regno vegetale e animale). Le monere, secondo Haeckel, sono le "fonti primigenie di tutta la vita organica", "granuli albuminosi perfettamente omogenei, privi di struttura e di forma", che compiono tutte le funzioni vitali essenziali come assorbimento del cibo, movimento, reazione a stimoli, propagazione. Haeckel distingueva tra monere originarie, estinte, sorte per autogenesi o autogonia (archigonia) "dal mare primordiale, per opera di condizioni puramente fisiche e chimiche concomitanti, di movimenti molecolari della materia" (monere archigonie), e monere ancora viventi. Nelle prime Haeckel vedeva il punto di partenza dello sviluppo di tutti e tre i regni della natura organica, perché credeva che dalla monera archigonia si fosse sviluppata storicamente la cellula. Le seconde erano da lui assegnate al regno dei protisti, nel quale formerebbero la prima classe, la più semplice. Le supposte monere attuali erano suddivise da Haeckel in varie specie: Protamoeba primitiva, Protomyxa aurantica, Bathybius Haeckelii.
I termini "protisti" e "monere" furono introdotti da Haeckel nel 1866 ma non sono mai stati accettati dalla scienza. Gli organismi definiti protesti da Haeckel sono oggi classificati come piante o animali. Tuttavia egli contribuì molto a diffondere il concetto di evoluzione.
37. L'"Anello del Nibelungo" è la tetralogia di Richard Wagner, comprendente le opere: "L'oro del Reno", "La Valchiria", "Sigfrido", "Il crepuscolo degli dèi". Nell'agosto 1876 l'esecuzione dell'"Anello del Nibelungo" inaugurò il teatro modello fatto costruire da Wagner a Bayreuth. Con l'espressione ironica "compositore dell'avvenire" Engels allude alla lettera indirizzata da Wagner a Frédéric Villot, conservatore dei musei francesi, che fu pubblicata come libro sotto il titolo "Musica dell'avvenire. A un amico francese", e al libro di Wagner "L'opera d'arte dell'avvenire", Lipsia, 1850.
38. A partire dal XVI secolo si chiamarono fitozoi gli invertebrati che hanno certe caratteristiche in comune con le piante (in particolare spugne e celenterati) e che erano considerate forme intermedie tra piante e animali. Dalla metà del XIX secolo il termine fitozoi fu usato per i celenterati; oggi è del tutto scomparso dall'uso.
39. La classificazione qui citata fu stabilita da Thomas Huxley nella sua opera "Lectures on the elements of comparative anatomy" (Londra, 1864), nella sezione V. Su di essa si fonda il libro di Henry Alleyne Nicholson, "A manual of zoology", usato da Engels nel suo lavoro per l'"Anti-Dühring" e per la "dialettica della natura".
40. Le cellule artificiali di Traube erano composti inorganici che rappresentavano modelli di cellule vive, capaci di imitare il ricambio e la crescita, usate per studiare alcuni aspetti del fenomeno della vita. Furono create dal chimico e fisiologo Moritz Traube mescolando soluzioni colloidali. Marx ed Engels apprezzarono molto questa scoperta, di cui la stampa specialistica dette notizia nel 1864. (Cfr. le lettere di Marx a P. L. Lavrov del 18 giugno 1875 e all'istologo Wilhelm Alexander Freund del 21 gennaio 1877).
Filosofia: IX. Morale e Diritto. Verità eterne
Ultima modifica 16.10.2002