Pubblicato nella rivista SOCIETÀ (Anno XIII - N.2 - Aprile 1957).
Trascritto per ragioni di studio (learning purposes), dicembre 2017
Karl Marx seguí i corsi all'Università di Berlino dal 1836 al 1840 e si laureò a Jena il 15 aprile 1841 con una dissertazione dottorale dal titolo Differenz der demokritischen und epikureischen Naturphilosophie («Differenza tra la filosofia della natura di Democrito e di Epicuro»). Gli anni berlinesi rappresentano la prima presa di contatto con gli uomini più rappresentativi della Sinistra Hegeliana e la tesi di laurea segna il punto di arrivo di un certo sviluppo di pensiero e quello di partenza per la successiva maturazione delle sue idee, che troveranno tra breve il loro banco di prova nella collaborazione, che Marx inizierà nel 1842, alla Rheinische Zeitung e agli Anekdota del Ruge. Di quest'opera giovanile di Marx sono andati perduti i Capitoli IV e V della Parte I e di tutta l'«Appendice» è superstite solo, in quattro pagine volanti del manoscritto, un breve frammento, il Capitolo I della Parte II. Franz Mehring, che nel 1902 curò una prima edizione incompleta, delle opere giovanili di Marx1, nella sua Vita di Marx2 ci presenta la dissertazione come un'opera strettamente legata agli schemi idealistici hegeliani, completamente in seguito superata dall'autore; e nell'Introduzione alla pubblicazione del 1902 sostiene che l'opera ha soprattutto un valore di erudizione.
In effetti non si tratta di un'opera semplicemente erudita, né d'altra parte si può affermare che Marx si muova puramente e semplicemente nell'ambito della speculazione hegeliana. Accanto alla tesi si posseggono oggi ancora sette altri quaderni, superstiti tra quelli in cui Marx raccolse i «Lavori preparatori» (Vorarbeiten) non per la dissertazione soltanto, ma per una progettata storia delle filosofie epicurea, stoica e scettica, che egli, preso poi da altre preoccupazioni d'ordine culturale e politico, non condusse mai a termine3. Un attento esame di questi lavori, unitamente ad un'indagine accurata dell'ambiente culturale e politico in cui Marx visse negli anni berlinesi, ci permettono oggi di affermare che in questo periodo egli già dava inizio a quella revisione degli schemi e dei metodi propri dell'idealismo, che dovevano portarlo al materialismo storico. A questo proposito il Rjazanov, che curò la M.E.G.A., nota: «Crediamo che i Lavori preparatori, da noi ora pubblicati, renderanno piú acuto l'occhio per vedere che Marx, fin da questo momento, sebbene ritenesse di muoversi del tutto nella scia di Hegel, ha, per lo meno in vari passi, inteso la filosofia hegeliana con la tendenza specifica dei Giovani Hegeliani, in un senso fortemente realistico, con un impulso entusiastico verso il mondo sensibile e vivente»4. A riprova poi del fatto che la dissertazione non rappresenta qualche cosa di superato del tutto e di diverso, come impostazione e soluzione di problemi, dalla prospettiva nella quale Marx porrà piú tardi quegli stessi problemi, il Rjazanov aggiunge: «Marx stesso, in epoca posteriore, non considerò del tutto superati i risultati della dissertazione. Sovente egli ritornò sul problema fondamentale del suo scritto universitario, e ripeté o precisò ulteriormente il concetto ivi svolto: principalmente nel Sankt Max5, scritto nel 1845-46, e cioè già dopo l'elaborazione del materialismo storico»6. Fatto si è che uno studio attento della dissertazione e delle Vorarbeiten ci mostra come Marx fin da questo momento si distacchi dalle posizioni idealistiche dell'hegelismo, ma non aderisca per questo tout court a quelle della Sinistra Hegeliana, di cui pur risente l'influsso. Nella dissertazione ci sono, in altri termini, già gli elementi fondamentali per la costruzione di quell'umanesmo concreto, che egli opporrà tra breve a quello ancora astratto di Bauer e dello stesso Feuerbach, e che gli permetterà di giungere al materialismo storico e al socialismo scientifico.
Se lo sviluppo intellettuale di Marx, nel periodo precedente alla stesura della sua dissertazione dottorale, coincide in certo modo con quella della Sinistra Hegeliana, nella cui cerchia culturale egli fu accolto fin da quando, ancora adolescente, cominciò a frequentare il Doktorklub di Berlino (1837), e di cui diventò ben presto l'animatore, non bisogna perciò pensare ad una sua accettazione passiva delle idee di coloro che ne erano i massimi esponenti. Se Marx critica, in accordo con gli altri Giovani Hegeliani, la posizione conciliatrice di Hegel, che l'aveva spinto a stabilire un compromesso con la reazione, non concorda con loro per ciò che riguarda la spiegazione di quella che è per lui soltanto un'apparente contraddizione della dottrina filosofica di Hegel, anzi si sforza di dimostrare che l'atteggiamento dubbio e inconseguente di Hegel è l'effetto degli stessi principi dai quali egli muove: la revisione dell'hegelismo va fatta per lui attraverso una critica che parta dall'interno dell'hegelismo stesso7. Anche se il suo atteggiamento rimane ancora idealistico, in quanto l'accettazione o meno della filosofia hegeliana e le sue stesse contraddizioni vengono giustificate in base ad una consequenzialità puramente logico-speculativa dello sviluppo della coscienza rispetto alle premesse razionali da cui è partita, l'impostazione del problema è fatta in modo diverso da quello dei Giovani Hegeliani, verso i quali egli assume già chiaramente un atteggiamento di critica, non condividendone le posizioni filosofiche e non accettando l'uso che essi fanno della dialettica. Per Marx infatti il rapporto reale-ideale è non di opposizione, ma di integrazione, ed egli si sforza già di attuare quell'integrazione in modo effettivo, là dove la distinzione posta dai Giovani Hegeliani tra un Hegel esoterico ed un Hegel essoterico conferma la posizione surrettizia che ha per essi la filosofia nei riguardi del reale, l'opposizione, in altri termini, della coscienza alla realtà. Marx non condivise mai pienamente le posizioni dei Giovani Hegeliani, i quali, contrapponendo al mondo dell'essere un mondo del dover-essere, reputavano che la loro filosofia critica avesse un'importanza enorme per la trasformazione della realtà, sicché tendevano a dare alla teoria un valore assoluto, negando così la necessità di un'azione concreta i limitando la stessa polemica scientifica alla critica della religione po sitiva, senza entrare nel vivo delle questioni sociali e politiche che agitavano la Germania del tempo.
La sua decisione di abbandonare gli studi giuridici per dedicarsi alla filosofia, decisione espressa in una Lettera al padre del 10 novembre 1837, non fu frutto di un'infatuazione giovanile per la filosofia e per il pensiero hegeliano, di cui era venuto a conoscenza nei primi anni del suo soggiorno berlinese, ma comportò per Marx l'impegno in quella lotta politica, che i Giovani Hegeliani intendevano svolgere e che non riuscirono però mai a condurre a fondo, e per la quale la filosofia doveva rappresentare l'arma della critica volta contro le istituzioni esistenti e soprattutto contro il confessionalismo dello Stato prussiano. «Dall'idealismo... — egli scrive — arrivai a cercare nel reale stesso l'idea. Se prima gli dei avevano abitato sulla terra, ora ne erano diventati il centro» 8: espressione, questa, sufficiente ad indicare l'esigenza che egli sentiva di legare lo stesso concetto al mondo del concreto, e di intendere in senso effettivo la sintesi hegeliana ideale-reale. Di qui il suo atteggiamento prima di riserva e poi di aperta critica alle posizioni ideologiche ancora astratte ed idealistiche della Sinistra Hegeliana e segnatamente di Bruno Bauer, che egli conobbe a Berlino, del quale fu per alcuni anni amico, e che era il massimo sostenitore della filosofici critica.
Marx si era avvicinato alla filosofia hegeliana, allorché aveva seguito il corso di diritto penale tenuto dal Gans a Berlino nel 18379. Il Gans sosteneva, riprendendo Hegel, la tesi della necessità di un'evoluzione storica del diritto determinata dal processo dialettico dell'Idea; ma, mentre per Hegel quel processo si fermava all'accettazione della realtà presente (lo Stato prussiano), per il Gans l'idea del diritto si sviluppa senza soste, e, in nome della dialettica hegeliana, egli si faceva banditore di una trasformazione sociale; mostrava anzi le sue simpatie per il saintsimonismo, che aveva conosciuto in Francia durante i suoi viaggi, e deprecava che la rivoluzione di luglio fosse finita tutta a vantaggio dei bottegai di via Saint-Denis. E' sintomatico il fatto che Marx si sia avvicinato per la prima volta alla filosofia hegeliana attraverso l'interpretazione di un democratico quale era il Gans, e abbia contemporaneamente sentito parlare di nuovo in termini entusiastici del pensiero politico del Saint-Simon, che egli aveva già appreso a conoscere e ad ammirare nelle lunghe conversazioni, che, ancor giovinetto, nella natia Treviri aveva avute con il suo futuro suocero, Ludwig von Westphalen10. Tuttavia anche il Gans, come tutti i Giovani Hegeliani, finisce con l'opporre l'idea al mondo, lo Spirito alla realtà, e con l'affidare al primo il compito di trasformare demiurgicamente il reale; e Marx non tarderà a rendersi conto che questa posizione, anche se può ascrivere a suo merito l'impegno ad agire per il progresso e per la libertà, rimane ancora astratta per l'impossibilità di legare effettivamente l'ideale al reale, l'uomo alla natura e renderlo consapevole del suo destino.
Se Marx però non può aderire senza riserve alle concezioni di Bauer e degli altri Giovani Hegeliani, non può che partecipare attivamente all'attacco che la Sinistra Hegeliana rivolge contro la religione tradizionale, condividendo appieno gli ideali illuministici dei suoi amici berlinesi. Come i riformatori francesi del secolo XVIII, la Sinistra Hegeliana diresse per prima cosa i suoi attacchi contro la religione, perché era meno pericoloso criticare i dogmi anziché lo Stato11, e fu questo il campo del conflitto che si scatenò tra i Vecchi e i Giovani Hegeliani, tra i conservatori cioè e i liberali, pochi anni dopo la morte di Hegel. Così per primo nella sua Vita di Gesù pubblicata nel 1835, Davide Federico Strauss rifiutava la soluzione data da Hegel al rapporto religione-filosofia, e, opponendosi ai Vecchi Hegeliani, che a quel rapporto intendevano dare un vero e proprio carattere di identità sostanziale, se non formale, affermava che tra l'una e l'altra esiste una radicale differenza. Mentre a Hegel la verità filosofica appare come l'espressione razionale e perciò veramente universale di quella coscienza religiosa che è ancora implicata nel mondo della fantasia e del mito12, per lo Strauss la filosofia rimane essenzialmente monismo in quanto non può essere che concetto, ragione, dialettica; la religione invece è dualismo insito nella esperienza comune, la cui soluzione non è offerta da un'idea di ragione, ma da un mito o da un insieme di miti, in cui sono proiettate le aspirazioni e i sentimenti dell'uomo. Ogni trasformazione di dogmi in concetti filosofici comporterebbe di necessità una riduzione, impossibile ad attuarsi, del mito a concetto, e finirebbe per alterare il significato stesso della fede. Sostenendo che accanto ad una verità razionale esiste una realtà storica, che non coincide necessariamente con la prima, Strauss veniva a distruggere l'identità stabilita da Hegel tra l'evoluzione storica e lo sviluppo razionale; e inoltre, facendo dipendere la religione da motivi di carattere puramente umani, facendo della religione qualcosa di legato ai sentimenti e alle aspirazioni dell'uomo, negando un principio superiore ed esterno all'uomo, come fondamento e base della religiosità, liberava la filosofia dal dogma e rifiutava il carattere metafisico e trascendentistico del pensiero hegeliano. All'idealismo di Hegel, che faceva dello Spirito íl fondamento di tutta la realtà concreta e la storia umana considerava una teofania, si cominciava a contrapporre un umanismo, che troverà il suo sviluppo nelle concezioni feuerbachiane.
Certamente anche per lo Strauss, come più tardi per il Feuerbach, l'uomo indicato come soggetto di religione, l'uomo che nella religione trova l'espressione dei suoi sentimenti e delle sue aspirazioni, non è ancora l'uomo concreto di Marx, del Marx che ha elaborato il materialismo storico, per il quale «l'essenza umana non è un'astrazione insita interiormente nei singoli, individui, ma nella sua realtà rappresenta l'insieme dei rapporti sociali»13. Tuttavia, anche se quella dello Strauss ha finito con l'essere una giustificazione naturalistica e non storicistica del fenomeno religioso, gli rimane pur sempre il merito di aver superato il concetto hegeliano di storia come epifania dell'Idea, e l'attacco alla religione tradizionale implica una presa di posizione a carattere illuministico, che è di grande importanza per le condizioni in cui la lotta politica si doveva e poteva svolgere nella Germania del tempo. Per lo Strauss inoltre l'opposizione tra religione e filosofia porta di conseguenza a rinnegare la formula hegeliana per cui tutto il reale è razionale, e ripropone implicitamente la questione dell'accettazione o meno dello Stato e dell'ordine politico esistente come rispondente o contrastante con il concetto etico di Stato, di uno Stato ordinato secondo ragione. Mentre per i Vecchi Hegeliani l'accettazione dell'identità tra reale ed ideale significava la glorificazione dell'esistente e del costituito, la consacrazione filosofica del dispotismo, dello Stato di polizia, della censura, dell'ordine esistente nella Germania di Federico Guglielmo III e di Federico Guglielmo IV, ecco che la critica alla religione tradizionale diventa per i Giovani Hegeliani la critica allo Stato tradizionale, all'ordine costituito sulla base dell'antico regime prussiano proprio perché parte dal rifiuto all'accettazione della formula hegeliana della identità reale-ideale.
Si delinea cosí il conflitto tra coscienza e sostanza, razionale e reale, sul quale il Bauer fonderà la sua filosofia critica dell'autocoscienza, che rappresenta il modo tipico dei Giovani Hegeliani di rompere lo schematismo sistematico della filosofia di Hegel, il modo di ribellarsi in nome della libertà e della ragione al conformismo, in cui era caduto lo stesso Hegel accettando l'ordine politico e religioso costituito, e al quale i Vecchi Hegeliani intendevano legare indissolubilmente la dottrina del maestro. Tuttavia la scissione tra reale ed ideale non implica in tal caso un effettivo superamento dell'idealismo hegeliano, ma è piuttosto il modo per accettare, dal punto di vista dello hegelismo stesso, i motivi illuministici, che saranno fatti propri dai rappresentanti della Sinistra Hegeliana. Mentre alla filosofia, secondo Hegel, tocca il compito di giustificare razionalmente il reale, sì che la sua integrazione del mondo è, per così dire, già scontata nel processo razionale dell'Idea, per i Giovani Hegeliani alla filosofia incombe il dovere di rendere razionale il reale e quindi di operare attivamente per questo scopo. Sono queste le basi su cui Bruno Bauer svilupperà la sua filosofia dell'autocoscienza, che sarà criticata, anche se in modo non ancora esplicito dal Marx della dissertazione e delle Vorarbeiten, e contro la quale egli polemizzerà aspramente allorché nel 1842 Bauer e i Liberi di Berlino ripiegheranno su posizioni anarcoidi14.
Il Bauer, al quale Marx si legò di stretta amicizia negli anni di Berlino, dopo aver preso parte per i Vecchi Hegeliani contro lo Strauss, si orientò verso le posizioni della Sinistra Hegeliana, diventando la personalità piú spiccata e il capo riconosciuto del Doktorklub. Nel 1838 in una Critica della storia della rivelazione15 si attirò le critiche degli ortodossi fino al punto da costringere il ministro Altenstein, che lo proteggeva, ad inviarlo come libero docente alla Università di Bonn per sottrarlo ai loro attacchi. Ma anche in quell'ambiente Bauer incontrò fortissime ostilità, e tali ostilità, allorché, morto l'Altenstein, il ministro Eichhorn confortò del suo appoggio il bigottismo reazionario che ancora allignava nelle Università tedesche, dovevano costargli la perdita della cattedra. Tuttavia, anche se il suo atteggiamento negativo nei riguardi della religione tradizionale coincideva con il radicalismo religioso professato dallo Strauss, i motivi fondamentali della critica agli Evangeli, che il Bauer intraprese a scrivere nel 184016, sono diversi da quelli che ispirarono il pensiero del primo. Si può dire anzi che, mentre la filosofia dello Strauss è già il preludio dell'umanismo feuerbachiano, il Bauer si mantiene fedele in certo senso alle posizioni dell'idealismo hegeliano. Per il Bauer, infatti, la religione cristiana rappresenta, come le dottrine filosofiche del suo tempo, una nuova espressione della coscienza universale; e in ciò egli si ispirava direttamente ad Hegel, che nelle sue Lezioni sulla storia della filosofia aveva considerato le filosofie contemporanee o immediatamente precedenti gli Evangeli, l'epicureismo, lo stoicismo, lo scetticismo e il dogma cristiano stesso come il prodotto della coscienza dolorosa, dello spirito oppresso, che nella miseria spirituale e morale determinatasi con la decadenza della civiltà antica, s'era ripiegato su se stesso per salvaguardare la propria libertà. Ma, mentre Hegel condannava questi sistemi come tutte le teorie che oppongono un ideale alla realtà, Bruno Bauer vedeva invece in essi e negli Evangeli, proprio a causa della opposizione tra ideale e reale che essi rappresentavano, un momento essenziale della coscienza universale, perché la religione costringe l'uomo ad adorare in Dio la sua essenza come una potenza superiore ed estranea. E il Bauer si proponeva appunto di attuare con la critica degli Evangeli questa liberazione dell'umana coscienza e riscattare in tal modo il nostro spirito dalla soggezione religiosa.
Se lo Strauss aveva avuto il torto di spiegare il fenomeno religioso ritrovandone l'origine in un'unità intesa naturalisticamente, fuori del processo della storia, il Bauer ignorava dal canto suo ancora l'uomo e come storia e come natura, e si riferiva esclusivamente alla coscienza, allo spirito. L'alienazione, di cui egli parla, è un'alienazione spirituale, e il suo superamento consiste in una liberazione spirituale: la sua è una rivoluzione intellettuale, la sola che abbia agli occhi suoi valore concreto. Ciò spiega anche quella che giustamente il Mehring definisce «l'inconsistenza politica di Bauer»17. Da principio anzi egli contava perfino sull'appoggio dello Stato prussiano in questa lotta contro la Chiesa e la religione tradizionale. Considerando lo Stato hegelianamente come Stato etico che, in quanto tale, avesse il compito di attuare concretamente lo spirito oggettivo, egli sosteneva che esso poteva ben sbagliarsi una volta, diventare sospettoso verso la scienza e prendere misure repressive, ma la ragione gli apparteneva troppo intimamente perché potesse sbagliarsi a lungo. Fatto si è che, allorché l'ortodosso reazionario Eichhorn, violando la libertà accademica dell'insegnamento e sacrificando alle pretese della Chiesa la libertà della scienza, privò Bauer della cattedra; egli non seppe reagire se non assumendo atteggiamenti che confermarono le contraddizioni della sua stessa posizione ideologica.
Del resto la posizione del Bauer era essenzialmente la stessa di quelle del gruppo di Giovani Hegeliani, che, insieme al Ruge18, avevano fondato gli Hallische Jahrbücher. Essi pensavano che bastasse ricercare e determinare col metodo dialettico gli elementi irrazionali inclusi nella realtà, e volevano adottare questo metodo per la riforma dello Stato prussiano, che con Hegel consideravano destinato a realizzare nel grado piú alto la sintesi di reale e razionale. La Prussia, dicevano, per compiere la sua missione, non deve fare altro che restare fedele allo spirito dell'Aufklärung, all'ideale razionale che esso aveva rappresentato. Così il Ruge, rispondendo all'apologia fatta dallo Streckfuss delle istituzioni e del governo prussiani, rimproverava alla Prussia di non mantenersi fedele alla sua missione e di tendere ad una forma di governo autoritario ed assoluto, invece di continuare l'opera del protestantesimo e della Riforma, sviluppando le istituzioni liberali e favorendo il movimento costituzionale. E il Köppen19, un altro dei Giovani Hegeliani, che si legò di stretta amicizia a Marx, in un suo libro su Federico il Grande, celebrava in questo re l'eroe della libertà di pensiero e il rappresentante piú illustre dell'Aufklärung. «Federico è stato il nostro Mosé. Le sue debolezze, i suoi errori, le sue imperfezioni umane appartengono al passato. Quello che non può perire è il suo spirito immortale, lo spirito dell'Aufklärung, della libertà del pensiero, lo spirito dell'equità, l'alta essenza della missione dello Stato che solo può guidare la Prussia nella strada della verità» scrive il Köppen20.
Anche se il Ruge e il Köppen, a differenza del Bauer che credeva sufficiente limitare l'opera della critica alla religione tradizionale senza estenderla alle istituzioni statali esistenti, sentivano la necessità di operare anche nell'ambito della politica, rifiutando in nome dei principi dell'Aufklärung, lo Stato di polizia esistente in Prussia e il suo regime sempre piú reazionario, essi rimanevano legati alle premesse idealistiche, il che li portava ad esagerare l'importanza della critica come mezzo sufficiente a modificare i rapporti reali. In effetti l'unico che in questo momento ha già inteso la necessità di superare la posizione idealistica della Sinistra Hegeliana, anche se neppure lui saprà trarre dalle sue premesse speculative le conseguenze necessarie, è il Feuerbach. In una Critica della filosofia hegeliana21, pubblicata il 1839 negli «Annali di Halle», egli sostiene che la dottrina di Hegel non è se non l'ultima espressione della filosofia speculativa, che cerca di realizzare a priori l'unione tra Dio e l'uomo, il concetto e il reale. Malgrado quest'apparente monismo, questa teoria rimane dualista, perché rappresenta il trionfo dell'idea sulla realtà sensibile, alla quale però l'idea stessa rimane essenzialmente estranea. La libertà di cui parla Hegel non é poi che una libertà fantastica, perché si svolge fuori della natura e la ignora; è la libertà dell'idea, dello spirito inteso ancora metafisicamente come qualche cosa che si compie fuori del reale. Alla metafisica hegeliana il Feuerbach oppone il ritorno alla natura, alla realtà concreta, intesa come matrice prima e assoluta delle stesse idee. Si passa così dall'idealismo al materialismo.
Marx vive con gli altri Giovani Hegeliani nel Doktorklub, partecipa alle loro discussioni e stringe amicizia in particolare con il Bauer e il Köppen. Non sappiamo fino a che punto egli abbia contribuito all'elaborazione delle teorie della Sinistra Hegeliana. Certo la sua vivacità e il suo precoce ingegno furono molto apprezzati dai suoi compagni di fede e di studio, i quali, pur essendo tutti pii anziani di lui e già noti nel campo dell'attività scientifica, lo trattarono da loro pari ed ebbero per lui stima ed ammirazione. Così il Köppen, in una lettera a Marx del 1841, lo considera ispiratore, se non addirittura estensore di un articolo, che il Bauer aveva pubblicato negli «Annali di Halle»22. Tuttavia, come si è già detto, fin da questo momento egli senti la difficoltà di accogliere delle posizioni di pensiero che saranno ben presto da lui criticate, e si orientò verso un hegelismo inteso in modo tale che gli permetterà di operare tra breve quel rovesciamento della prassi, che implica il passaggio dallo spiritualismo al materialismo, dall'idealismo al materialismo storico. Certamente le interpretazioni che il Bauer e gli altri Giovani Hegeliani hanno dato dello hegelismo, esercitano ancora un forte influsso sul suo pensiero, ma quell'influsso, piú che una remora a superare i limiti del pensiero idealistico, rappresenta fin da ora piuttosto un apporto positivo, valido a interpretare Hegel nel suo giusto valore e a superarne le contraddizioni: l'impegno dei Giovani Hegeliani a rinnovare la realtà nel senso del progresso e della libertà e il loro radicalismo religioso agiscono potentemente sullo spirito e sul pensiero del giovane Marx. D'altra parte non è da escludere che fin da ora le teorie del Feuerbach, di cui egli parlerà ben presto in termini molto entusiastici23, abbiano esercitato la loro azione su di lui, nel senso di richiamarlo alla necessità di abbandonare le posizioni spiritualistiche dello hegelismo, posizioni su cui rimanevano ancora il Bauer e gli altri Giovani Hegeliani, e che lo abbiano portato ad accogliere, almeno in parte e per certi aspetti, il materialismo feuerbachiano. La dissertazione dottorale di Marx rappresenta comunque la risultante di tutti questi contrastanti elementi, ma anche e soprattutto l'impegno a chiarire a se stesso la propria posizione speculativa.
Dopo la morte dell'Altenstein, che aveva protetto gli Hegeliani e aveva mostrato una certa tolleranza verso le idee progressiste dei Giovani Hegeliani, fu al ministero del culto per alcuni mesi il direttore generale Ladenberg, che continuò nella politica seguita dall'Al-tenstein. Ma verso la fine del 1840 da Federico Guglielmo IV fu chiamato a ricoprire quella carica 1'Eichhorn, il quale iniziò immediatamente una vera e propria persecuzione verso tutti coloro che non professavano idee conformiste, e per finire di demolire la schiera, già indebolita dalla vecchiaia, degli arrugginiti Vecchi Hegeliani, chiamò all'Università di Berlino il vecchio Schelling «che era diventato un credente nella rivelazione»24. Con tali prospettive Marx, che aveva scelto la carriera accademica non certamente per una sistemazione di carattere puramente pratico da conquistare ad ogni costo, ma perché voleva difendere la libertà della ricerca scientifica, rinunciò totalmente a prendere una laurea prussiana, e optò per una piccola Università, pubblicando contemporaneamente la sua dissertazione con un'ardita prefazione di sfida. «La filosofia, — egli scrive nel-l'Einleitung alla dissertazione — fino a che una goccia di sangue ancora pulserà nel suo cuore assolutamente libero, dominatore dell'universo, griderà sempre agli avversari con Epicuro: «Empio non è colui che nega gli dèi del volgo, ma colui il quale agli dèi attribuisce i sentimenti del volgo»25.
Il titolo stesso della dissertazione marxiana, Differenz der demokritischen und epikureischen Naturphilosophie, è del resto già impegnativo ai fini dell'atteggiamento assunto da Marx di fronte al materialismo di Democrito e alla filosofia epicurea. Giustamente a tal proposito il Mehring nella Einleitung all'edizione delle opere di Marx da lui curata nel 1902, mette in rilievo come anche la filosofia illuministica dei secoli XVII e XVIII, la quale ebbe il merito di aver ridato valore all'epicureismo e al materialismo di Democrito, condannati dallo spiritualismo trascendentistico del Medioevo come irreligiosi ed immorali, non avesse posto nel dovuto rilievo le sostanziali differenze tra le dottrine di Democrito e di Epicuro, mentre Marx, prima ancora dello Zeller, ha questo indiscutibile merito26. «Due filosofi — leggiamo nella dissertazione — insegnano la stessa dottrina, nella stessa maniera, ma — quale incongruenza! — essi sono diametralmente opposti l'uno all'altro in tutto ciò che riflette verità, certezza, applicazione della dottrina e, in generale, rapporto fra pensiero e realtà» 27. Così di fronte al dogmatismo di Epicuro, per il quale è valido l'attestato dei sensi e la realtà materiale è quella che appare immediatamente all'esperienza, sta, nota sempre Marx, lo scetticismo di Democrito, per il quale la manifestazione sensibile non è attribuibile agli atomi in se stessi: per lui, come leggiamo in un passo di Diogene Laerzio, riportato da Marx, «i veri principi sono gli atomi e il vuoto; ogni altra cosa è opinione, parvenza» 28. Mentre infatti per Democrito il problema del sapere ha importanza fondamentale nella sua filosofia, si che egli «insoddisfatto della filosofia, si getta nelle braccia del sapere positivo»29, per Epicuro invece esso non ha valore per se stesso, ma solo in funzione dell'atarassia, della padronanza di sé che il filosofo raggiunge nella sua astratta individualità, collocandosi fuori della realtà, indifferente in effetti al processo stesso del reale. Egli guarda la natura con l'occhio distaccato del filosofo, non con l'interesse dello scienziato, cosi come avviene per Democrito, perché per lui la verità è da ritrovare in se stessi, nella calma dell'anima. «Nel rapporto generale che il filosofo pone tra il mondo e il pensiero — osserva acutamente Marx — Epicuro non fa che obbiettivare a se stesso il modo in cui la sua autocoscienza individuale si atteggia di fronte al mondo reale»30. Democrito fa della necessità la forma di riflessione della realtà, mentre Epicuro si appella al caso e dichiara che «meglio sarebbe seguire il mito degli dei anziché essere servo della necessità dei fisici»31. In altri termini per Democrito, la cui teoria ha carattere materialistico e deterministico, la grande legge del mondo è la necessità che domina sia la natura che l'umanità. Così, sebbene riduca il mondo sensibile alla sua apparenza soggettiva, egli nondimeno crede alla realtà del mondo esterno e si sforza di comprenderne le leggi che ne regolano l'esistenza. Epicuro invece rigetta la concezione deterministica di Democrito e crede che i sensi ci diano un'immagine obiettiva del reale.
Marx ha posto così nel dovuto risalto la differenza tra la filosofia di Democrito e quella di Epicuro, e ciò in contrasto con i giudizi espressi da Hegel in proposito. Hegel infatti aveva considerato Democrito alla stessa stregua degli altri naturalisti del periodo presocratico, e si era sforzato di ritrovare in lui i primi segni di quella filosofia del concetto, che doveva concretarsi nella speculazione platonico-aristotelica; il suo scetticismo gli era apparso come il primo passo verso l'abbandono delle concezioni materialistiche e il punto di partenza per quella speculazione di tipo idealistico, che avrà inizio con Socrate e Platone. Marx invece molto acutamente pone in rilievo il carattere scientifico del materialismo democriteo, e dimostra come per lui il metodo sperimentale, lungi dal trovare nel relativismo della conoscenza sensibile il suo limite, trae da questo spunto per una indagine piú approfondita della natura e delle sue leggi, il che determinerà l'abbandono della semplice empiria per fare assumere al sapere un carattere scientifico-positivo. Tuttavia Marx finisce col criticare il materialismo di Democrito e gli preferisce la filosofia di Epicuro, anchè se poi, come vedremo tra breve, le sue osservazioni intorno alla teoria epicurea degli atomi e delle meteore lo porteranno a considerazioni tali in merito al problema del rapporto tra pensiero ed essere da porlo in netta antitesi con Bauer e gli altri Giovani Hegeliani. A tal proposito il Mehring nota: «Quello che sorprende al primo sguardo il lettore odierno è il suo giudizio sfavorevole su Democrito... Quello che lo allontava da Democrito era la mancanza di un principio energico», era, come egli si espresse in seguito, «il difetto fondamentale di ogni materialismo passivo», il fatto che l'oggetto, la realtà, il senso veniva concepito soltanto sotto forma di oggetto, di intuizione, non soggettivamente, non come prassi, non come attività umana sensibile»32. «Per Democrito invece — scrive Marx nella dissertazione — l'atomo é solo l'espressione generale obbiettiva della stessa indagine empirica della natura. Di conseguenza l'atomo rimane per lui pura ed astratta categoria, ipotesi, che dell'esperienza è il risultato, non il principio energetico, e che pertanto rimane inattuata, così come l'indagine naturalistica positiva non è più da essa determinata»33.
La condanna del materialismo passivo di Epicuro conferma soltanto in parte la tesi sostenuta dal Mehring che Marx «in questo suo scritto resta del tutto sul terreno idealistico della filosofia hegeliana»34. Il principio energetico , a cui Marx si riferisce, é qualche cosa di molto diverso dallo Spirito, in nome del quale Hegel condanna e il materialismo di Democrito e la filosofia epicurea: implica l'aspirazione ad attuare un piú coerente e deciso umanismo, che non può fin d'ora che rifiutare le posizioni dell'hegelismo stesso, per porsi il problema del valore dello stesso epicureismo in termini diversi da quelli di Hegel. Il riconoscere la presenza di un principio energetico come essenziale nella speculazione di Epicuro non implica che egli concepisca l'atarassia degli Epicurei come la soluzione del problema, come l'unica e completa espressione di quel principio; e la critica all'epicureismo assume nelle Vorarbeiten e nella dissertazione carattere tale da coinvolgere tutta la posizione di Marx nei riguardi e dell'hegelismo e del valore dato dai Giovani Hegeliani al concetto di praxis. Marx considera infatti ancora lo sviluppo del reale come la progressiva realizzazione della filosofia, che prende, alternativamente il carattere della totalità astratta, quando essa si oppone al mondo, e della totalità concreta quando s'integra in esso. Tuttavia egli caratterizza il mondo come una realtà a sé stante, indipendente dallo spirito, e la storia è da lui concepita come la successione di grandi periodi, che si alternano con ritmo costante, periodi in cui la filosofia, in seguito allo sviluppo irrazionale del mondo, perde il suo carattere di totalità concreta per assumere quello astratto allo scopo di trasformare il mondo con la forza della sua volontà, e periodi in cui, unendosi essa stessa al mondo ridiventato razionale, prende di nuovo il carattere di totalità concreta, che aveva perduto nel periodo precedente35. Questo processo, per cui la filosofia s'integra nel mondo per poi di nuovo opporsi al mondo, è per Marx una necessità storica, ed egli si oppone in questa sua concezione ad Hegel e ai Giovani Hegeliani. Si distacca da Hegel perché non pone un limite allo sviluppo della storia, e attribuisce in tal modo al mondo una realtà indipendente dallo spirito. Mentre per Hegel l'identità reale-ideale finiva con l'essere concepita come riduzione di tutta la realtà ad espressione assoluta dell'Idea, affermando la necessità del processo continuo dello spirito, che tende a rendere razionale il reale senza tuttavia mai poter compiere e definire in modo assoluto il processo stesso, egli separa ideale e reale, coscienza ed essere, senza che tale separazione sia per lui, come invece intendevano Bauer e i Giovani Hegeliani, opposizione costante e permanente dell'una all'altro. Il carattere dialettico dato da lui al rapporto mondo-coscienza gli fa così respingere l'antitesi tipica dei rappresentanti della Sinistra Hegeliana, tra coscienza e realtà: per lui tra l'una e l'altra sussistono un'azione e una reazione reciproche e costanti.
Su questa nuova concezione del mondo e della storia Marx sviluppa la sua critica alla filosofia epicurea. Così, rifiutando il giudizio di Hegel, che aveva negato che il pensiero di Epicuro potesse rappresentare in effetti qualche cosa di nuovo rispetto a quello di Democrito, pone in luce le profonde modifiche che Epicuro ha apportato alla teoria democritea degli atomi, modifiche dovute non già allo sviluppo dell'indagine, ma al ruolo che Epicuro attribuisce all'uomo nel mondo; e mostra infine nella sua critica all'epicureismo le conseguenze nuove di una filosofia che isola l'uomo dalla realtà, nel che poi è tutto il significato della dissertazione, perché in quella critica c'è almeno l'impegno da parte del giovane Marx a superare le posizioni della Sinistra Hegeliana e a sviluppare la concezione del mondo che lo porterà al materialismo storico. Infatti Marx, che aveva iniziato fin dal 1839 a fare le sue ricerche intorno alle dottrine postaristoteliche (il I Quaderno delle Vorarbeiten rimonta al semestre invernale del 1839) ispirandosi alla Filosofia della religione di Hegel, considera la sua dissertazione «come premessa di uno scritto piú ampio», nel quale — leggiamo nella Prefazione — avrebbe esposto «specificatamente il ciclo delle filosofie epicurea, stoica e scettica nei loro nessi con tutta la speculazione greca»36. Per Marx, come per il Bauer, — e in ciò essi riferiscono la stessa tesi esposta da Hegel nella sua Storia della Filosofia — questi sistemi assicurano all'uomo, nella decadenza del mondo antico, la felicità attraverso la ricerca della calma dell'animo e l'indipendenza dal mondo esterno. A differenza di Hegel, Marx considera queste filosofie come quelle che meglio esprimono il carattere subbiettivo della filosofia greca37 e da questi sistemi vuole ricavare, come aveva fatto il Bauer, una filosofia d'azione, ma in senso diverso da quello degli altri Giovani Hegeliani, intendendo lo spirito non come opposto al mondo, ma come qualche cosa che in esso debba integrarsi per trasformarlo. Vivendo infatti ancora con gli altri Giovani Hegeliani un po' in disparte e ai margini della società sulla quale è desideroso di agire, egli è portato a dare, come essi dànno, allo spirito il potere, se non assoluto, almeno preminente, di trasformare il mondo. Tuttavia là dove la coscienza per il Bauer tende ad isolarsi dal mondo, a ricondurre l'azione al puro pensiero, per lui lo spirito anela alla sua integrazione nel mondo reale; e in questo l'idealismo, di cui è permeata ancora la concezione filosofica del giovane Marx, si distingue essenzialmente e da quello di Hegel e da quello dei Giovani Hegeliani.
Se il concetto di libertà, che è alla base della filosofia dell'autocoscienza degli Epicurei, è secondo Marx accettabile per ciò che riguarda la fondazione di un ateismo che libera l'uomo dalla soggezione religiosa e gli dà perciò il potere di disporre di se stesso e di agire allontanando da sé la paura della morte e degli dei, esso è quanto mai discutibile allorché Epicuro in suo nome pretende di isolare l'uomo dal mondo mediante quell'atarassia che è indifferenza al dolore, ma anche rinunzia ad ogni azione costruttiva dell'uomo sulla realtà. Mentre infatti Democrito si era interessato solo della natura materiale degli atomi, Epicuro ne considera l'essenza spirituale, e vede in essi non solo la sostanza del mondo sensibile, ma anche il simbolo della coscienza umana. La spiegazione di questa differenza è data dalla declinazione, che Epicuro introduce nella dottrina demo-critea degli atomi per assicurare all'uomo, mediante il libero arbitrio, l'indipendenza assoluta dei propri atti e la liberazione dalla ἀνάγϰη dei teologi e dalla είμαρμένη dei fisici. Questa declinazione degli atomi è per Marx il simbolo della coscienza individuale, la quale di fronte al mondo ostile non può che affermare la sua indipendenza38.
Per realizzare la negazione di ogni forma di rapporto con altre cose che non siano lui stesso e arrivare nel contempo all'autocoscienza, l'atomo deve mettersi in rapporto con un essere a lui stesso identico, cioè con un altro atomo o con la pluralità di tutti gli atomi. Di qui nasce la repulsione, la quale, conseguenza della declinazione, è l'espressione dell'essenza dell'atomo, della sua pura forma e, nello stesso tempo, della sua materialità, perché, ponendosi in rapporto con se stesso come con qualsiasi altra cosa, l'atomo arriva al piú alto grado di esteriorizzazione che si possa concepire39. Da questa distinzione tra l'atomo come forma e l'atomo come fenomeno nascono nella filosofia di Epicuro delle contraddizioni, che appaiono insolubili. Considerato infatti nella sua essenza, nella sua pura forma, l'atomo non dovrebbe avere delle qualità; è necessario però attribuirgliene quando lo si considera nella sua forma fenomenica «Contrasta col concetto di atomo l'avere delle qualità: ogni qualità infatti, al dire di Epicuro, è mutevole, mentre gli atomi non mutano» — scrive Marx. «Nondimeno l'attribuire ad essi delle qualità è una conseguenza necessaria del detto concetto. Infatti i molteplici atomi, i quali sono separati dallo spazio sensibile, debbono di necessità differenziarsi immediatamente l'uno dall'altro e dalla loro pura essenza, e cioè possedere delle qualità»40. La contraddizione tra esistenza ed essenza, materia e forma spiega come, perdendo la sua essenza nel mondo dei fenomeni, dove è proiettato dalla repulsione e dove diviene il sostrato materiale del mondo stesso, l'atomo non possa conservare la sua forma pura se non fuori della realtà fenomenica, nel vuoto. Questa contraddizione equivale in effetti alla contraddizione esistente tra pensiero ed essere, soggetto e oggetto, coscienza e mondo, e obbliga l'atomo ad isolarsi dal mondo concreto che, in quanto astratta individualità, non può che dominare idealmente. Ciò spiega la teoria epicurea delle meteore, che rappresenta poi per Marx la chiave di tutto il sistema epicureo.
Le meteore, i corpi celesti costituiscono la realizzazione perfetta dell'atomo considerato nel suo aspetto materiale e nella sua essenza spirituale. Essi, materia e forma pura, si muovono come esseri liberi, non in linea retta, ma al di fuori di essa, e dovrebbero realizzare perfettamente l'atomo come essenza e principio del reale. Ma, osserva Epicuro, se considerassimo i corpi celesti come eterni ed immutabili, ne faremmo degli dei; ed essi sarebbero per noi causa di timori e di inquietudini, turbando la pace del nostro spirito; quindi Epicuro si sforza, dice Marx, di togliere ad essi quei caratteri di immutabilità ed eternità, che altri filosofi avevano loro attribuiti, mostrando come tutto in essi si produca in modo irregolare e come siano retti dal caso allo stesso modo degli altri atomi. Epicuro, scrive Marx, afferma che «il maggiore turbamento dell'anima umana nasce dal fatto che egli uomini credono beati ed indistruttibili i corpi celesti»41, e, per salvare l'atarassia, elabora una teoria delle meteore «essenzialmente diversa da tutte le altre teorie fisiche, per il fatto che nelle meteore tutto avviene in svariati modi e senza regola alcuna, tutto è da spiegare sulla base di cause svariate e indeterminatamente molteplici»42. «Nella teoria delle meteore — conclude Marx — si rivela dunque l'anima della filosofia naturale di Epicuro. Niente è eterno di ciò che distrugge l'atarassia dell'autocoscienza individuale. I corpi celesti turbano la sua atarassia, la sua interna armonia, perché sono l'universale esistente, perché in essi la natura è diventata autonoma»43. Perciò Epicuro fa dell'astratta individualità che si isola dal mondo il principio della sua filosofia, e critica i corpi celesti che rappresentano un'evidente contraddizione di questo suo principio. In altri termini, possiamo dire che Epicuro abbia letteralmente capovolto il principio stesso della filosofia democritea. Là la natura con la sua necessità incombeva sull'uomo e finiva col negargli ogni libertà ed autonomia; qui invece l'uomo ha rifiutato, negando l'indistruttibilità e l'eternità delle meteore, ogni forma di determinazione e ha proclamato la sua piena libertà ed indipendenza.
Da quanto abbiamo detto appare chiaro che Marx accoglie, e fa suo, dalla Storia della filosofia di Hegel il principio dell'opposizione tra la forma e la materia degli atomi, che era servita allo stesso Hegel per tacciare la filosofia epicurea di incoerenza e per condannarla44. Marx però rigetta il giudizio sfavorevole di Hegel, e, mentre per quest'ultimo la filosofia dell'autocoscienza non era se non una mediocre ripetizione della filosofia antica, per lui, come per il Bauer, essa rappresenta un grande progresso nella storia della filosofia. Per lui Epicuro è «il piti grande illuminista greco»45. È il principio della libertà, necessario all'azione, che attira Marx verso la filosofia di Epicuro e lo rende indulgente verso le sue spiegazioni fantastiche dei fenomeni fisici, ed egli loda in Epicuro colui che ha analizzato i fenomeni fisici ponendoli in rapporto con l'uomo, anzi li ha visti esclusivamente in funzione dell'uomo, e della filosofia della natura ha fatto il fondamento di un'etica che ha per scopo la giustificazione dell'umana libertà. A tal proposito il Cornu scrive: «L'idéalisme, dont le principe est l'autonomie absolue de l'esprit, lui paraissait constituer encore à ce point le vrai fondament de la science, qu'il faisait mérite à Épicure d'avoir donné la véritable théorie de l'atome, en distinguant l'essente de la substance et en subor-donnant l'élement matériel à l'élement spirituel, dépassant ainsi le matérialisme déterministe de Démocrite»46. Tuttavia l'accettazione della filosofia di Epicuro non implica la piena e completa adesione all'idealismo, ché egli vede in lui colui che ha potenziato il principio della libertà; ed Epicuro con la sua filosofia soddisfa la sua sete di azione, la necessità da lui sentita di porre l'uomo al centro del reale, di trasformarlo in attore e protagonista della storia del mondo. È per questo che Marx critica la filosofia stoica così come non aveva accettato il determinismo democriteo, proprio perché quella filosofia nega l'uomo e la libertà in nome dell'astratta universalità, che pone a fondamento del reale. La sua non è la posizione dell'idealista, che critica il materialismo, ma quella di un pensatore, che, in nome della libertà dell'uomo anche se intesa ancora idealisticamente, rifiuta ogni filosofia, sia materialistica, che idealistica, — e sotto forma idealistica gli appare, e giustamente, la filosofia stoica — che abbia negato quel principio essenziale.
Tuttavia ciò non lo esime dal criticare la stessa filosofia epicurea: se infatti la filosofia di Democrito e quella stoica portano, l'una al determinismo, l'altra alla cieca superstizione47, la filosofia di Epicuro porta ad un falso concetto della libertà, che egli concepisce sotto forma assoluta e non nel suo rapporto dialettico con la necessità. L'uomo, in altri termini, viene da Epicuro, e dal Bauer, isolato dal suo mondo; e, per liberare l'uomo stesso dalla realtà che l'opprime, Epicuro non si è reso conto che in questo modo lo ha reso incapace d'agire sul mondo stesso, dando alla stessa libertà un carattere astratto. «Se l'astratta autocoscienza individuale è posta come principio assoluto, ogni scienza vera e reale in tanto risulta soppressa in quanto l'individualità non domina nella natura stessa delle cose»48, scrive Marx. A differenza di Epicuro e in opposizione, anche se non dichiarata, alla filosofia critica del Bauer, Marx sostiene che il problema della libertà non può essere risolto se non nelle sue relazioni con la necessità. L'uomo esce così dal suo isolamento e entra in relazione col mondo, la qual cosa da un lato implica la sua autonomia, ma dall'altro comporta la possibilità dell'esercizio effettivo della sua azione sul mondo stesso. Ciò implica il riconoscimento della necessità non più come qualcosa di oscuro e di misterioso, ma come l'intima razionalità del tutto, il che permette all'uomo di utilizzare coscientemente quella necessità e di affermare in tal modo la propria libertà. «In quanto riconosciamo la natura come razionale, cessa la nostra dipendenza da essa — scrive Marx nelle Vorarbeiten. — Essa non è piú il terrore della nostra coscienza, e appunto Epicuro fa della forma della coscienza nella sua immediatezza dell'esser-per-sé la forma della natura. Solo in quanto viene lasciata libera dalla ragione cosciente, in quanto viene considerata in se stessa ragione, la natura è in tutto proprietà della ragione. Ogni rapporto con essa in quanto tale è, insieme, un'alienazione della medesima»49.
Certo, il rapporto dialettico tra libertà e necessità è concepito da Marx ancora idealisticamente, ed egli non giunge ad inserire effettivamente l'uomo nel processo stesso del reale. Non concependo ancora le relazioni dell'uomo col suo ambiente se non sotto l'aspetto della realtà ideale, come il successivo razionalizzarsi del mondo sotto l'effetto dell'attività spirituale, Marx tende a ridurre le relazioni tra l'uomo e il mondo alla relazione tra filosofia e mondo. Questa concezione ancora idealistica dei reciproci rapporti tra filosofia e mondo era però per lui la prima forma del rapporto reciproco di azione e reazione dell'uomo sul suo ambiente e dell'ambiente sull'uomo, e finché Marx non avrà estesa la sua indagine ai fenomeni economici continuerà ad assegnare alla filosofia questo ruolo di primo piano nel processo evolutivo della storia50. Ma, se il principio hegeliano dell'unità del razionale e del reale, dell'essenza e dell'esistenza resta ancora valido per Marx, egli già pensa che quell'identità non può piú risultare da un semplice sviluppo dialettico dello spirito. La filosofia speculativa di Hegel deve infatti trasformarsi in una filosofia dell'azione, anche se intesa in modo ben diverso da quello dei Giovani Hegeliani; e alla autocoscienza, alla quale il Bauer e i Giovani Hegeliani tendevano a ridurre la Idea hegeliana, egli, restando fedele in ciò ad Hegel, oppone lo spirito unito al mondo, che nel mondo agisce e compie se stesso. Ma, mentre Hegel tendeva a ridurre tutto l'essere al puro pensiero, all'assoluta Idea, e quindi a considerare già scontato nel principio iniziale il processo dialettico, per il quale il mondo stesso, sotto l'azione del pensiero, avrebbe dovuto farsi razionale, Marx attribuisce alla natura un'esistenza e una realtà indipendenti da quelle dello spirito, nelle quali però l'azione dello spirito opera e si concreta, senza di che la libertà sarebbe priva di contenuto reale, sarebbe l'astratta libertà degli Epicurei e dei Giovani Hegeliani.
Così Marx, anche se in termini ancora idealistici, si pone fin da ora il problema della centralità dell'uomo rispetto alla natura, e tende a trasformare l'umanesimo ancora astratto dei Giovani Hegeliani in umanesimo realistico, accettando il principio hegeliano dell'identità tra essere e pensiero, ma risolvendolo in termini diversi, come rapporto dialettico reale tra spirito e natura, uomo e mondo. Per questa responsabilità che l'uomo assume nel suo mondo concreto acquista per Marx nuovo valore il mito di Promoteo che si ribella a Giove, e l'ateismo di Epicuro si colora di nuovo significato, perché rappresenta la contropartita sul piano ideologico di un pii autentico riscatto dell'uomo dalla necessità naturale, un'anticipazione di quella concezione marxiana, che intende fare dell'uomo stesso l'arbitro effettivo, pur nella sua condizione umana, del suo essere nel mondo e del suo terreno destino.
Accanto all'esposizione critica della filosofia epicurea come filosofia dell'astratta autocoscienza individuale, in stretta connessione col problema stesso della libertà e dell'atarassia, il cui conseguimento rappresenta. per Epicuro la conquista della felicità per l'uomo, l'altro motivo predominante nella dissertazione e nelle Vorarbeiten è certamente l'esaltazione dell'irreligiosità epicurea. Nella Prefazione alla dissertazione Marx difende contro Plutarco la dignità e l'indipendenza della filosofia, che non può essere trascinata davanti al tribunale della religione. «Alle triste lepri marzoline, che gioiscono — egli scrive — della peggiorata condizione della filosofia, essa replica con le parole di Promoteo al servo degli dei Ermete: «Io, t'assecura, / non cangerei la mia misera sorte / con la tua servitù. Meglio d'assai / lo star qui ligio a questa rupe io stimo, / che fedel messaggero esser di Giove»51. La critica alla polemica plutarchea contro la teologia di Epicuro diventa quindi un elemento essenziale della libertà della cultura, che Marx difende, insieme con gli altri Giovani Hegeliani, dalla persecuzione ideologica e religiosa intrapresa dal governo di Federico Guglielmo IV all'indomani della sua salita al trono, e l'accenno alle «triste lepri marzoline» è un evidente motivo polemico contro coloro che plaudivano alle misure restrittive della censura e abdicavano alla libertà di pensiero e alla dignità della filosofia, intesa da Marx come libera ricerca, espressione dello spirito, che egli raffigura come Prometeo, incatenato ma non domo dalla collera di Giove.
Così nell'Appendice Marx, respingendo le concezioni religiose e morali di Plutarco, che si era sforzato di giustificare la credenza in Dio combattuta da Epicuro, sostenendo che essa preserva dal male e libera l'uomo dalla tristezza, dalla solitudine e dalla paura, difende l'ateismo epicureo e loda la lotta che egli intraprese contro le religioni del tempo. Mentre Plutarco aveva considerato l'atarassia epicurea come legata ad una concezione grossolanamente edonista della felicità, a questa volgare concezione del piacere e del dolore, che Plutarco attribuisce ad Epicuro, Marx oppone l'attitudine virile di fronte al dolore fisico, che il filosofo considerò sempre come uno stato passeggero, che non deve sconvolgere la calma dell'anima. L'atarassia implica per Marx l'affermazione della autosufficienza dello spirito, della sua autarchia, intesa come possibilità di dirigere le nostre azioni e liberarci dal male. Ciò non comporta l'accettazione tout court da parte di Marx del concetto epicureo di atarassia, che, come abbiamo già detto, egli ritiene insufficiente ad esaurire tutto il nostro umano compito di attori della realtà effettuale; ma in essa egli vede il modo di superare l'alienazione religiosa e morale. Ad un «rapporto immanente dell'individuo con la sua atarassia», su cui si fonda la morale epicurea, Plutarco ha contrapposto un «rapporto con un dio esistente al di fuori di lui»52. «I buoni e prudenti, di cui parla Plutarco — scrive Marx nelle Vorarbeiten —, attendono la ricompensa della vita dopo la vita; ma quanto incoerente è, in questo caso, attendere quale ricompensa di nuovo la vita, dato che per essi la ricompensa è qualche cosa di qualitativamente diverso dalla vita... Essi si presentano dunque semplicemente come dei dispregiatori della vita; e nulla di meglio hanno da fare che dare alla loro speranza la veste di un'esigenza»53.
Il vero male dell'uomo, quindi, è, per Marx, nell'alienazione in dio della sua essenza naturale eterna, e la liberazione dal male dell'umanità che la religione ci offre non è altro che la forma religiosa mistificata della nostra vera liberazione, che è data invece dalla calma insopprimibile dell'anima. Dio è un prodotto dell'alienazione dell'essenza umana. «Le prove dell'esistenza di Dio — egli scrive nelle Note al Capitolo I della Parte I dell'Appendice — non sono altro che vuote tautologie. La prova ontologica, per esempio, non significa altro che: «Ciò che io rappresento realmente è una rappresentazione reale per me». Ciò agisce su di me; ed in questo senso tutti gli déi, sia quelli pagani che quelli cristiani, hanno posseduto un'esistenza reale... Recatevi con i vostri dei in un paese dove sono adorati altri dei, e vi si dimostrerà che siete vittime di immaginazioni ed astrazioni... Ciò che un determinato paese è per determinati dei stranieri è il paese della ragione per dio in generale: una regione nella quale la sua esistenza cessa»54. Inoltre la fede in dio e nell'al di là non salva la persona umana dal terrore della morte e dalla sua terrena limitazione, ma è l'espressione, secondo Marx, dell'io empirico, ancora legato alle sue passioni e alla sua paura animale, dell'io, che non si è fatto ancora coscienza, che non ha ancora assunto la consapevolezza di sé, della sua essenza naturale, della sua terrena eternità. «La paura sensibile, che, secondo Plutarco [De eo quod secundum Epicurum non beate vivi possit, 1101], costituisce una delle forme che assume la fede in Dio dei πολλοί — scrive Marx nelle Vorarbeiten —, difende questi dal male, come se questa paura immanente non fosse essa stessa il male? Che cosa è dunque il nocciolo del male empirico? Che il singolo si chiude nella sua natura empirica contro la sua natura eterna. Ma ciò non equivale a dire che egli esclude da sé la sua natura eterna, e la concepisce nella forma del perdurare dell'individualità in sé, dell'empiria, e cioè la considera come un dio empirico al di fuori di sé?»55. Al dio empirico, che gli uomini spinti dalle loro passioni e dalle loro paure, si sono costruito a loro immagine e somiglianza — e si badi bene che ogni dio è empirico per Marx, ed egli nel suo radicalismo antireligioso non fa distinzione tra credenza e credenza —; a questo dio, che i filosofi spiritualisti hanno cercato di valutare fino a porlo a fondamento della loro concezione, Marx contrappone il sano ateismo di Epicuro e alla loro morale alienata e filistea la saggezza di chi si sente parte integrante dell'umanità e gli avvenimenti del mondo non considera in funzione dei propri egoistici interessi56.
La valutazione dell'irreligiosità epicurea non trova riscontro nel pensiero hegeliano, in quanto per Hegel Epicuro ha avuto soltanto il merito di contrapporsi alla superstizione pagana degli antichi57. Qui invece l'ateismo epicureo acquista il valore di espressione di una critica radicale ad ogni forma di religione, intendendo la religione stessa come negazione dell'essenza dell'uomo e come mezzo per tenere gli uomini in schiavitù. Piuttosto è da notare l'influsso che su Marx esercitarono lo Strauss, il Bauer e il Feuerbach. Marx pose mano alle Vorarbeiten nel semestre invernale del 1839, quando già lo Strauss aveva pubblicato la sua Vita di Gesù (1835), nella quale troviamo il principio, sostenuto poi anche da Marx, dell'irreducibile opposizione tra religione e filosofia e il concetto della religione come frutto di una alienazione, concetto che Marx riprende e che doveva poi trovare in Feuerbach il suo maggiore sviluppo ed essere portato alle conseguenze ,più radicali. Intanto nello stesso anno 1839, in cui Marx dava inizio alle Vorarbeiten, Feuerbach pubblicava negli «Annali di Halle» il suo scritto Zur Kritik der Hegelschen Philosophie58. Anche se in questo lavoro non è affrontato ancorà il tema della critica alla religione, che sarà il motivo fondamentale della sua Essenza del cristianesimo (pubblicata nel novembre 1841), tuttavia vi sono già gli elementi di quell'umanesimo, che sarà l'elemento predominante della sua speculazione filosofica, anche se esso sfocerà in seguito in una sorta di misticismo, che risolve nel sentimento dell'amore il sensismo e il sensualismo iniziali. In questo scritto Feuerbach rimprovera a Hegel di avere «scartato le cause e le ragioni naturali, i fondamenti della filosofia genetico-critica»59, ed afferma che «vana é ogni speculazione che oltrepassa la natura e l'uomo... Il ritorno alla natura è la fonte di ogni salvezza... La natura ha edificato non soltanto l'officina dello stomaco, ma anche il tempio del cervello... La natura recalcitra soltanto di fronte alla libertà fantastica, ma non contraddice alla libertà razionale... La massima fondamentale degli stoici, dico dei rigidi stoici, di questi spauracchi dei moralisti cristiani era notoriamente questa: τὸ ὁμολογωμένως τῆ φύσει ζῆν»60. Sono concetti questi che oppongono allo spiritualismo e all'idealismo una concezione chiaramente naturalistica e materialistica: c'è quell'appello alla natura, che viene sostituita allo spirito quale protagonista nel dramma dell'universo, in cui è già il rovesciamento dell'idealismo nel materialismo, su cui si fonderà l'umanismo feuerbachiano, c'è il richiamo al moralismo filisteo dei cristiani, che viene fin da ora implicitamente, se non esplicitamente, condannato in nome di una più schietta e sincera morale, che non tradisca la natura essenziale dell'uomo.
Sono elementi questi che ritroviamo nel Marx della dissertazione e delle Vorarbeiten, almeno nel Marx critico di Plutarco e difensore dell'ateismo epicureo. E infatti, anche se il Marx di quest'epoca è ancora hegeliano, nel senso che abbiamo già spiegato, anche se il suo presentarci Epicuro come filosofo dell'astratta autocoscienza individuale implica l'accettazione degli schemi idealistici, ai quali era legata la speculazione dell'amico Bauer, egli tuttavia nell'assumere le difese dell'ateismo epicureo sente ancora più fortemente l'esigenza di superare l'umanesimo ancora astratto e idealistico, per così dire, al quale è in certo senso legato, e di giungere a posizioni più vicine al materialismo. La tesi sostenuta da Marx a proposito della polemica plu-tarchea, anche se trova riscontro per un dato verso nelle affermazioni contenute nella Critica della storia della rivelazione e nella Critica del Vangelo giovanneo del Bauer, se ne distacca per un atteggiamento molto più radicale. Ci pare infatti che la irreligiosità epicurea trovi una più consapevole collocazione nella concezione marxiana che non in quella del Bauer, anche se il tema della alienazione religiosa è comune ad entrambi, come del resto a tutti i Giovani Hegeliani. Il Bauer infatti, hegelianamente, considera le filosofie postaristoteliche e lo stesso cristianesimo come prodotti dalla coscienza dolorosa del mondo antico; ma ad essi, a differenza di Hegel, dà valore e significato positivi come a quelli che avevano trasformato il mondo antico superando la vecchia concezione platonico-aristotelica, perché avevano posto il soggetto, l'autocoscienza al centro dell'universo. L'alienazione religiosa era per lui connessa ad un successivo sviluppo della coscienza cristiana, e il suo superamento si sarebbe potuto attuare allorché lo spirito avesse, per così dire, recuperato se stesso, negando in tal modo la alienazione a cui era stato sottoposto. Per Marx invece c'è un'insopprimibile antitesi tra pensiero cristiano e pensiero moderno, e in questo la sua posizione illuministica di difesa della ragione è ben più radicale che non quella del Bauer.
«È caratteristico il fatto — leggiamo nelle Vorarbeiten — che la filosofia moderna sorge là dove l'antica finisce, da un lato con Car-tesio nel dubbio universale, mentre gli scettici portano alla tomba la filosofia greca, dall'altro nello studio razionale della natura, mentre la filosofia antica é spezzata in Epicuro, in maniera ancor più conseguente che negli scettici. L'antichità aveva le sue radici nella natura, nel sostanziale. La sua degradazione, la sua profanazione significa fondamentalmente la rottura della vita sostanziale, solida; il mondo moderno.ha le sue radici nello spirito, e questo può liberamente allontanare da sé il suo contrario, la natura. Ma viceversa, anche: ciò che per gli antichi era profanazione della natura per i moderni è liberazione dai ceppi della schiavitù della fede, e a quello da cui, almeno secondo il principio, ha inizio l'antica filosofia ionica, vale a dire alla visione del divino, dell'idea che prende corpo nella natura, deve elevarsi la moderna visione razionale della natura»61. Epicuro, che ha negato la eternità delle meteore, che ha profanato la natura intesa come divinità estranea all'uomo e dalla cui necessità l'individuo era condizionato nella sua esistenza, è colui che ha spezzato i ceppi della ἀνάγχη, che soffocava la libertà dell'uomo; cosf in nome dello spirito, che si fa mondo, e che natura diventa perché l'uomo è in essa e da essa proviene, occorre liberare l'uomo dalla schiavitù della fede e dargli la possibilità di una visione razionale della stessa natura. Qui lo hegelismo di Marx (l'idea che prende corpo nella natura) si oppone al fichtismo del Bauer (l'autocoscienza opposta al mondo) e ritrova nel suo sforzo di rendere effettiva l'identità reale-ideale nuovo motivo per superare l'idealismo iniziale e per attingere una concezione più conseguentemente materialistica ed umanistica, che dalla lotta alla religione trae forza ed elementi sufficienti per quel superamento.
Come abbiamo già detto, i motivi feuerbachiani, malgrado l'opinione contraria del Mehring62, si ritrovano chiaramente nella polemica plutarchea e nei passi delle Vorarbeiten, anche se l'affermazione del Cornu, che cioè Marx aderisce già alle concezioni che Feuerbach sviluppava allora nell'Essenza del cristianesimo63, non può essere intesa nel senso che Marx avesse già letto questo lavoro allorché approntava la sua tesi di laurea, ché l'opera feuerbachiana venne pubblicata soltanto nel novembre del 1841. Ciò non toglie però che, a parte l'influsso diretto che già Feuerbach potè esercitare su Marx attraverso il saggio pubblicato negli «Annali di Halle», il radicalismo antireligioso di Marx si avvicini moltissimo a quello sostenuto da Feuerbach nella sua opera. Quel legare la religione ad un'esigenza psicologica rispondente ad uno stadio ancora infantile dell'uomo, all'egoistico amore per la propria individualità, per la propria particolare persona, che lo porta a crearsi un dio a sua immagine e somiglianza e un al di là nel quale si perpetui la sua individualità, il fatto che Marx già nelle Vorarbeiten critichi i buoni e prudenti di plutarchiana memoria, i quali sperano nell'altra vita, e dichiari che essi «disprezzano la vita, ma la loro atomistica esistenza è il bene nella medesima, ed essi bramano l'eternità della loro atomistica esistenza, che è il bene»64; quel richiamarsi ad una maggiore consapevolezza del proprio destino, che comporta per l'uomo un maggior impegno nell'azione quotidiana, nel suo essere nel mondo e per il mondo, sono temi questi che abbiamo trovato, in parte almeno, nello Strauss, ma che soprattutto il Feuerbach svilupperà nell'Essenza del cristianesimo. «La religione — scriverà il Feuerbach — è la prima, ma indiretta autocoscienza dell'uomo; perciò la religione precede sempre la filosofia, nella storia dell'umanità così come nella storia dei singoli individui. L'uomo sposta il suo essere fuori di sé, prima di trovarlo in sé... La religione è l'infanzia dell'umanità... Le prime religioni sono idolatrie per le religioni posteriori... Ma ogni religione particolare che definisce idolatrie le sue più antiche sorelle... soltanto alle altre religioni attribuisce ciò che rimane pur sempre, se pure in modo diverso, il vizio della religione in generale... Il nostro compito è appunto di mostrare che la distinzione tra il divino e l'umano è illusoria, cioè che null'altro è se non la distinzione tra l'essenza dell'umanità e l'uomo individuo, e che per conseguenza anche l'oggetto e il contenuto della religione cristiana sono umani e niente altro che umani»65. E più avanti leggiamo, sempre nell'Essenza del cristianesimo: «Si fa dipendere la giustizia e la bontà di dio dall'immortalità degli individui, ma senza giustizia e bontà dio non è dio; perciò la divinità, l'esistenza di dio viene fatta dipendere dall'esistenza degli individui. Se non sono immortale, non credo in dio; chi nega l'immortalità nega dio»66. Il carattere della religione è colto qui con ben più chiara consapevolezza dei motivi fondamentali della alienazione religiosa di quanto non fosse stato colto dal Bauer, anche se il naturalismo e l'umanismo di Feuerbach non inserirono ancora l'uomo nel processo effettivo della storia; e ci pare che Marx, a parte la conoscenza, diretta o meno, del pensiero feuerbachiano, aderisca, nella polemica plutarchea e nella difesa dell'ateismo epicureo, piuttosto alla concezione di Feuerbach che non a quella del Bauer, sebbene i motivi dell'alienazione religiosa e della difesa dell'indipendenza della scienza dal dogmatismo fidei-stico siano comuni a tutta la pubblicistica radicale del tempo.
Certo nella dissertazione Marx, come del resto Feuerbach nell'Essenza del cristianesimo, non trae ancora tutte le conseguenze necessarie dalle premesse da cui parte nella difesa dell'ateismo epicureo e della libertà del pensiero, né riesce ancora ad inserire la polemica antireligiosa nel quadro piú vasto della lotta per il rinnovamento politico e sociale dell'umanità. Occorrerà che prenda contatto con i problemi della società del suo tempo, che abbandoni l'astratta speculazione filosofica, occorreranno i mesi di lotta della Rheinische Zeitung, gli articoli polemici sulla libertà di stampa, sulla legge sui furti di legna, sulle condizioni dei contadini della Mosella67, questioni e dibattiti che saranno il banco di prova del suo idealismo iniziale, che lo costringeranno a mettere, per così dire, i piedi a terra; occorrerà giungere infine agli Annali franco-tedeschi, perché egli tragga le conseguenze dalle premesse della dissertazione. Allora per lui la critica alla religione sarà quella che «disinganna l'uomo perché rifletta, agisca, si formi la sua realtà come un uomo disilluso, giunto in possesso della ragione, e si muova intorno a se stesso e quindi intorno al suo vero sole. La religione non è che un sole illusorio, che si muove intorno all'uomo finché questi non giunge a muoversi intorno a se stesso... La critica del cielo si trasforma nella critica della terra, la critica della religione in quella del diritto, la critica della teologia in quella della politica»68.
Nel momento in cui per i Giovani Hegeliani la partecipazione alla lotta per il progresso e per la libertà si poneva in termini di revisione delle posizioni della filosofia classica tedesca, la dissertazione dottorale rappresentava per il giovane Marx la sua Selbstverständigung. In effetti quest'opera gli è servita per mettere a punto la teoria a cui voleva ispirarsi la sua attività pratica; egli appunto chiama Selbstverständigung questo lavoro di chiarificazione, ed ogni tappa della sua vita ha comportato un'analoga messa a punto delle proprie idee con la critica di un'opera o di una tendenza. La stessa Ideologia tedesca, nella quale è già tracciata la concezione materialistica della storia, sarà la critica delle ideologie della Sinistra Hegeliana (Feuerbach, B. Bauer e Max Stirner) e del cosiddetto vero socialismo. Così la dissertazione non è un'opera erudita, anche se Marx ha dimostrato attraverso di essa di avere una conoscenza diretta e approfondita del pensiero greco e dei testi e degli autori, che cita e di cui discute le teorie. Egli infatti ha avuto modo attraverso di esse di chiarire a se stesso il problema del rapporto tra essere e pensiero, realtà e coscienza. Anche se quel problema per lui, che usciva dalla primitiva esperienza hegeliana69 e che era ancora sotto l'influsso delle concezioni del Bauer e della Sinistra Hegeliana, si poneva, come si è detto, in termini ancora idealistici, la soluzione che egli ne dà lo pone in certo qual modo al di là dello hegelismo e in contrasto con la filosofia dell'autocoscienza del Bauer. Si può dire che egli, nell'atto in cui ha accettato con riserva l'atarassia di Epicuro, perché questa isola l'uomo dal mondo, là dove all'uomo spetta per Marx il compito di integrarsi nel mondo, di vivere in esso e per esso, abbia già fatto la sua scelta, abbia già ripudiato l'astrattismo della Sinistra Hegeliana per accettare l'impegno alla lotta per il miglioramento e il progresso dell'umanità. E se la critica, anche se non ancora esplicita, al Bauer è fatta in nome di Hegel, del principio hegeliano dell'identità ideale-reale, quel principio egli già lo vede non come la riduzione di tutto il reale all'ideale, ma come la necessità di concepire effettivamente l'unità dialettica tra uomo e natura.
In tal senso possiamo dire che una frattura tra il Marx della dissertazione e il Marx degli anni seguenti non esiste, che non esiste una vera e propria soluzione di continuità tra il Marx ancora idealista e il Marx che si avvia ad elaborare le tesi materialistiche della Ideologia tedesca: egli si é posto fin da ora il problema del rapporto reale-ideale nei termini essenziali all'elaborazione del suo concreto umanesimo. Mentre i Giovani Hegeliani tendevano, come si è visto, ad opporre l'uomo alla realtà e ricadevano nell'astrazione dell'idealismo proprio là dove intendevano combattere con il loro radicalismo politico ed antireligioso le interpretazioni filistee e conformiste dell'hegelismo, Marx si mantiene fedele al principio hegeliano, per cui reale ed ideale debbono trovare la loro integrazione. Certamente la mancanza di contatto con l'effettiva realtà politica e sociale del suo tempo, la sua stessa educazione borghese, l'ambiente intellettuale in cui vive non gli permettono ancora di superare la posizione idealistica, ed egli, come si è detto, vede per ora il problema in quei termini perché gli manca la concreta prospettiva storica e teoretica della questione. Lo hegelismo del Marx della dissertazione non implica però una fedeltà a vecchi schemi, che i Giovani Hegeliani avevano già superato, ma piuttosto una maggiore consapevolezza di quei problemi che venivano agitati dagli intellettuali tedeschi del tempo; e, allorché egli avrà messo a fuoco la sua coscienza filosofica attraverso le nuove esperienze della Rheinische Zeitung70 e dei Deutsch-Französische Jahrbücher71, sarà in grado di opporre all'anarchismo dei Liberi e al nichilismo della Allgemeine Literaturzeitung dei fratelli Bauer, che erano poi le estreme conseguenze della filosofia critica sostenuta da Bruno Bauer, quella Critica della Critica critica72, che dal canto suo non è che la conseguenza logica di un processo di pensiero, che si è già iniziato con la dissertazione e che ora è giunto a maturazione, perché l'esperienza delle lotte politiche e dei problemi sociali ha dato a Marx la possibilità di rendere chiara a se stesso la problematica della tesi di laurea e delle Vorarbeiten.
Così il fatto che egli non abbia in seguito pii approfondito il tema dell'indagine propostasi, dell'analisi cioè delle filosofie stoica, epicurea e scettica, non implicava un rifiuto delle posizioni teoretiche da cui era partito nell'epoca in cui aveva ordinato lo schema del suo lavoro, ma sta solo a indicare che, avendo egli compiuto con la dissertazione dottorale la sua Seibstverständigung, poteva ormai volgersi ad altri interessi scientifici e politici, che però sono in certo qual senso la conseguenza della chiarificazione effettuata, cosa questa che si verificherà frequentemente nel pensiero di Marx73. La diversità dei problemi e delle questioni da lui trattate, la differenza almeno apparente degli atteggiamenti da lui assunti di fronte a quei problemi e a quelle questioni non implica che Marx si sia interessato rapsodicamente di argomenti diversi, in quanto c'è una costante continuità logica nello sviluppo del suo pensiero. La concezione del mondo che egli va elaborando, specialmente negli anni cruciali che vanno dal 1841 al 1845, cioè dallo hegelismo della dissertazione — ammesso che di hegelismo si possa parlare ancora — al materialismo delle Deutsche Ideologie, anche nella diversità dei temi trattati e nel contrasto delle posizioni assunte, è qualche cosa che Marx costruisce, si può dire, poco a poco, rappresenta una problematica continuamente in movimento, continuamente rinnovantesi, che è poi la caratteristica stessa del suo pensiero antidogmatico e antisistematico, di quel razionalismo critico su cui si fonderà il suo materialismo storico. È soltanto in questo senso che si può intendere lo hegelismo della dissertazione dottorale, nel senso cioè che per Marx, così come per Engels, lo hegelismo vien visto in funzione di una concezione della vita che non accetta supinamente i terni e le soluzioni date da Hegel al problema del rapporto tra ideale e reale, coscienza ed essere, ma quei temi e quelle soluzioni vede in una luce nuova, in una prospettiva umanistica che mancò a colui con il quale, per dirla con Engels, «ha fine la filosofia, da una parte perché egli nel suo sistema ne riassunse tutta l'evoluzione nella maniera piú grandiosa, dall'altra perché egli, sia pure inconsapevolmente, ci mostra la via che da questo labirinto di sistemi porta alla vera conoscenza positiva del mondo»74. E, mentre la Sinistra Hegeliana, nel suo impegno per una cultura piú umana e completamente nuova, nell'ansia di rigettare l'idealismo astratto e di costruire una concezione del mondo piú concreta, finiva col rinnegare il principio stesso per cui la dialettica hegeliana poteva diventare un mezzo efficiente all'edificazione di un nuovo umanesimo, Marx sente fin da ora il valore di certe posizioni, che non debbono essere un'utile arma in mano a chi voglia servirsene per raggiungere fini, che potrebbero comportare il rigetto del sistema stesso di Hegel e l'accoglimento del principio antidogmatico e rivoluzionario della sua dialettica75.
Del resto la critica di Marx alle posizioni del Bauer e il suo rifiuto di accettare tout court l'atarassia epicurea come espressione assolutamente positiva della ribelliana agli schemi idealistici e protesta contro il filisteismo dei Vecchi Hegeliani non lo esimono dal riabilitare Epicuro dal giudizio negativo di Hegel per ritrovare nel suo umanesimo gli elementi di una concezione di vita che implica l'affermazione del valore dell'uomo concreto, del suo essere reale nel mondo e per il mondo. Se pure questa riabilitazione è in parte ancora inficiata dal concetto, tipicamente baueriano, di un Epicuro filosofo dell'autocoscienza, di un Epicuro che difende l'uomo e la libertà spirituale alla stessa maniera di come, ancora idealisticamente i Giovani Hegeliani del gruppo berlinese intendevano difenderla dal panlogismo hegeliano accusato di sommergere l'uomo e il suo spirito nella razionalità dell'Idea, non occorre dimenticare che quella posizione, anche se peccava di astrattismo e di idealismo, aveva i suoi lati positivi in quanto attaccava, sebbene non a fondo e con armi inadeguate, il sistema di Hegel; e d'altro canto, a parte le riserve di Marx verso quelle posizioni — riserve che pongono già al giovane pensatore le difficoltà che una tale soluzione del problema hegeliano del rapporto tra essere e coscienza comporta e lo fanno presago della critica che egli, a distanza di qualche anno, doveva muovere ai Liberi —, Epicuro non è per il Marx della dissertazione puramente e semplicemente il filosofo dell'autocoscienza, e il fatto che egli lo contrapponga a Democrito non implica, come si è detto, la condanna di ogni forma di materialismo in nome di una concezione assolutamente idealistica della filosofia epicurea, ché in Democrito egli ha condannato quel materialismo passivo, che sarà sempre da lui respinto come contrastante con il suo 'concreto umanesimo. La posizione assunta da Marx nei riguardi della religione, che abbiamo piú sopra illustrata e che appare piú conseguentemente radicale di quella degli altri Giovani Hegeliani e in particolare del Bauer, sta a confermare che egli in Epicuro vede il costruttore di una filosofia naturale, che non si può esaurire nella semplice affermazione dell'indipendenza e della libertà dell'uomo dal timore degli dei, ma deve comportare, proprio perché così radicale è già in Marx la lotta alla religione, il riconoscimento della vera essenza dell'uomo.
E l'essenza dell'uomo egli la ritrova nella sua natura eterna, e celebra in Epicuro colui che quella natura ha esaltato, colui che ha dato valore al mito di Prometeo ribelle al cielo perché fedele a se stesso, alla sua umanità, di Prometeo che acquista per lui valore di simbolo, il simbolo dell'uomo nuovo, fondatore di una nuova coscienza della vita, per cui l'umanità potrà ritrovare in se stessa il principio essenziale della sua esistenza e del suo essere nel mondo. Così, anche quando Marx sarà entrato nel vivo della lotta politica e sociale, e avrà cominciato ad elaborare la sua teoria materialistica, Epicuro gli apparirà sempre come «il vero radicale illuminista dell'antichità»76, colui per il quale «il mondo deve essere disingannato, e, soprattutto liberato dal timore degli dei, perché esso è mio amico»77, è amico cioè dell'uomo, perché egli è natura e in essa deve esplicare il suo vero essere, mentre per gli spiritualisti il mondo è nemico dell'uomo, perché l'uomo ha tradito la sua vera essenza, ha alienato se stesso. E, se l'atarassia epicurea non è giunta ad attuare completamente questo impegno, che è già fortemente sentito dal Marx della dissertazione — l'impegno dell'uomo di lottare e vivere per il mondo e per il vero se stesso —, merito di Epicuro è pur sempre, per il giovane Marx come per il Marx materialista della Ideologia tedesca, l'aver osato rovesciare gli dei e calpestare la religione, dando così per primo all'umanità il modo di iniziare il suo riscatto, permettendo all'uomo di recuperare se stesso. Già fin da ora la fine dell'alienazione umana rappresenta per Marx il principio da cui deve partire per fondare il . suo nuovo umanesimo, il quale sarà, come dirà più tardi, nel 1844, allorché il problema, spoglio degli orpelli dell'idealismo, gli si comincerà a presentare nei suoi termini reali, «la vera fine della disputa tra l'essenza e l'esistenza, tra l'oggettivazione e l'affermazione dell'io, tra la libertà e la necessità, tra l'individuo e la specie»78.
Allora l'alienazione apparirà a Marx come un fenomeno generale che ha caratterizzato fino ad ora la storia dell'umanità; l'alienazione dell'essenza dell'umanità in dio sarà per lui il riflesso spirituale dell'alienazione effettiva che si produce nell'attività materiale, nel lavoro. Ed essa conduce al regime della proprietà privata, al regno della concorrenza, al dominio del denaro, allo sfruttamento dell'uomo da parte dell'uomo, al trionfo dell'egoismo. Il risultato di questo regime è l'opposizione tra l'uomo e la natura, l'isolamento dell'individuo nella società. In regime di lavoro alienato, di proprietà privata, l'uomo, dipendendo dalle cose che crea, cade sotto il dominio del denaro in cui esse si incarnano e che serve a soddisfare i suoi bisogni. Il denaro, indispensabile intermediario tra il bisogno e il suo oggetto, tra la vita e i mezzi di vivere, ha il potere malefico di appropriarsi delle cose e di alienarle, conferendo questo potere a chi lo possiede. Così come si è alienato in dio, l'uomo si è cosificato, affermerà Marx, nel prodotto del suo lavoro, nelle cose che produce e che lo dominano, sf che la sua schiavitù spirituale non è che il simbolo e il riflesso di quella materiale. La soppressione di questa alienazione diventa in tal modo per Marx opera dell'attività pratica, reale dell'uomo e non semplicemente del suo pensiero; e l'uomo, per riassumere in sé stesso la sua stessa vita alienata nel lavoro e nel prodotto di esso, deve trasformare le condizioni materiali che hanno reso possibile quell'alienazione. In tal modo il problema, che si è posto in termini ancora idealistici nella dissertazione e nelle Vorarbeiten, acquista il suo vero significato, e il recupero della vera essenza dell'uomo si pone come l'impegno effettivo per la trasformazione dei rapporti sociali ed economici79. Così l'umanesimo concreto, alla cui realizzazione egli tendeva fin dagli anni della prima giovinezza, potrà fondarsi su basi ben piú salde, e il suo travaglio di pensiero si svilupperà in una visione più coerentemente materialistica e umanistica della realtà.
*. Un saggio dell'autore, che prende in particolare in esame la dissertazione dottorale di Marx e le Vorarbeiten (i Lavori preparatori), in cui Marx raccolse gli appunti necessari per la stesura della sua tesi di laurea, seguito dalla prima traduzione italiana della dissertazione, sarà prossimamente pubblicato a cura degli Editori Riuniti, Roma.↩
1. Aus dem literarischen Nachlass von K. Marx, F. Engels und F. Lassalle, Stuttgart 1902 (von FRANZ MEHRING), Erster Band.↩
2. F. MEHRING, Vita di Marx (trad. italiana), Roma, Edizioni Rinascita, 1953.↩
3. La dissertazione dottorale di Marx occupa le pagine 1-81 della la Parte del I Volume della prima serie della Karl Marx Friedrich Engels historischkritische Gesamtausgabe. Le Vorarbeiten occupano le pagine 83-144 della Parte e Volume già citati. Indicheremo, d'ora in poi, quest'opera con l'abbreviazione, ormai invalsa, M.E.G.A. I volumi e le parti dell'opera indicati s'intendono appartenenti alla prima serie, che comprende Opere e Scritti.↩
4. D. RJAZANOV, in M.E.G.A., I, 1, Einleitung, p. XXXVI.↩
5. Il Sankt Max è la Terza Parte delle Deutsche Ideologie, opera scritta da Marx in collaborazione con Engels e con Moses Hess negli anni 1845-46. L'Ideologia tedesca è stata tradotta in italiano da Giuliano Pischel, Istituto Editoriale Italiano, Milano, 1946. Alle pp. 225-227 dell'edizione italiana Marx, polemizzando con Marx Stirner, riprende e ribadisce le tesi già sostenute nella dissertazione in merito al materialismo di Democrito, alla filosofia epicurea e alla polemica plutarchea contro Epicuro.↩
6. Op. cit., loc. cit.↩
7. «Che un filosofo cada in questa o quella forma di apparente incoerenza — scrive Marx — per amore di questo o di quell'accomodamento, è cosa concepibile; ed egli stesso può esserne stato cosciente. Ma quello di cui egli non è consapevole è che la possibilità di questo accomodamento apparente ha la sua più profonda radice in una insufficienza, o almeno, in un'insufficiente esposizione del suo principio. Se dunque un filosofo è ricorso ad un accomodamento, i suoi discepoli debbono spiegare in base all'intimo essenziale contenuto della sua coscienza che cosa ha per lui preso forma di coscienza esoterica» (M.E.G.A., I, 1, p. 64.)↩
8. Lettera di Marx al padre, 10 novembre 1837, op. cit., I, 2, p. 218.↩
9. E. Gans fu autore, tra l'altro, di una Rueckblicke auf Personen und Zustaende (Berlino, 1836) e di una Histoire du droit de succession en France (con introduzione e note di Saint Marc Girardin), Parigi, 1845.↩
10. Cfr. O. MAENCHEN-HELFEN e B. NICOLAJEVSKI, Karl Marx (trad. italiana), Einaudi, Torino, 1947, p. 41. Al Consigliere Segreto di Governo, Ludwig von Westphalen, uomo di sentimenti progressisti e liberali, al quale sarà sempre legato da affettuosa amicizia, Marx dedicherà con parole vibranti di schietta simpatia la sua dissertazione di laurea.↩
11. «La politica era però allora un terreno assai spinoso, e perciò la lotta principale fu rivolta contro la religione; il che era pure, indirettamente, e in modo particolare dopo il 1840, una lotta politica» (F. ENGELS, Ludwig Feuerbach e il punto d'approdo della filosofia classica tedesca, (trad. italiana), Roma, Edizioni Rinascita, 1950, p. 20).↩
12. «Come pensiero concettuale del contenuto della religione — scrive Hegel — la filosofia ha sulla rappresentazione religiosa il vantaggio d'intendere l'uno e l'altro momento: può intendere la religione, può intendere il razionalismo e il soprannaturalismo e anche se stessa. Non avviene invece l'inverso: la religione, stando sul terreno della rappresentazione, intende soltanto ciò che si trova nel suo orizzonte, ma non può intendere la filosofia» (HEGEL, Lezioni sulla storia della filosofia (trad. italiana), Firenze, La Nuova Italia, 1932, I vol.; p. 95).↩
13. K. MARX, Ideologia tedesca, op. cit., p. 147.↩
14. Bruno Bauer, dopo che la persecuzione poliziesca instaurata dal governo di Federico Guglielmo IV, il re romantico e bigotto, che era succeduto nel 1840 a Federico Guglielmo III e che si era proposto di operare in maniera ancora piú vasta ed integrale quella restaurazione religiosa e politica, alla quale il padre aveva già dato inizio dopo il Congresso di Vienna, gli impedí di continuare il suo insegnamento universitario (era libero docente all'Università di Bonn), fondò nel 1842 a Berlino una società di liberi pensatori, «I Liberi» (Die Freien), che facevano professione di ateismo. Dei Liberi di Berlino fecero parte, tra gli altri, i due fratelli di Bauer, Edgard e Egbert, lo Stirner e Friedrich Engels; e in un primo tempo essi condussero una vivace e vigorosa propaganda in favore di un radicale ateismo. Ma ben presto la loro attività, vivendo essi in disparte dal movimento politico e ai margini della stessa società, degenerò assumendo un carattere romanticamente bohérnien, che li portò ad abbandonare gli stessi presupposti teorici della loro associazione e a trasformare la loro critica della società e della religione in un gioco sterile e vano. I Liberi dimostrarono in altri termini l'insufficienza della posizione assunta dalla filosofia critica del Bauer e dei Giovani Hegeliani che ne condivisero le idee.↩
15. Kritik der Geschichte der Offenbarung, Berlino, 1838, 2 voll.↩
16. Kritik der evangelischen Geschichte des Johannes, Brema, 1840.↩
17. F. MEHRING, Vita di Marx, op. cit., p. 25.↩
18. Arnold Ruge aveva partecipato al movimento della Burschenschaft e aveva patito sei anni di prigione in fortezza. Divenuto poi libero docente all'Università di Halle, aveva pubblicato il libro di estetica ispirato ai principi di Hegel (Neue Vorschule der Esthetik, 1837). Fondò nel 1838 gli Hallische Jahrbücher, che si trasformeranno nel 1841 nei Deutsche Jahrbücher. Proibiti questi ultimi dalla censura, saranno sostituiti dagli Anekdota zur neuesten Philosophie und deutsche Publizistik, pubblicati in Svizzera, e ai quali Marx collaborerà. Ruge e Marx fonderanno nel 1844 una nuova rivista, i Deutsch-Französische Jahrbücher. Anche il Ruge, come molti altri intellettuali borghesi della Sinistra Hegeliana, si rifiuterà di seguire Marx, allorché si tratterà di passare dalle Posizioni idealistiche a quelle del materialismo storico e del socialismo scientifico. La loro rottura avverrà subito dopo la pubblicazione dei Deutsch-Französische Jahrbücher.↩
19. Friedrich Köppen fu professore di storia nella Königstaedlische Realschule di Berlino. Fu uno dei principali esponenti del Doktorklub e autore di un'opera su Friedrich der Grosse und seine Widersacher, Leipzig, 1840. Il libro è citato da Marx nella Prefazione alla sua dissertazione dottorale.↩
20. Op. cit., p. 171. In questa apologia di Federico II c'era molta esagerazione, ma, in un momento in cui la memoria di questo re era maledetta dagli spiriti reazionari, l'esaltarla era un modo per affermare la propria fede nella ragione e nel progesso.↩
21.Zur Kritik der Hegelschen Philosophie. L'articolo é apparso nella traduzione italiana in LUDWIG FEUERBACH, Principi della filosofia dell'avvenire, a cura di Norberto Bobbio, Torino, Einaudi, 1946 ↩
22. L'articolo di cui fa cenno il Köppen e Der Christliche Staat und unsere Zeit, apparso negli Hallische Jahrbücher del giugno 1841. Per la lettera di Köppen cfr. M.E.G.A., 1, 2, pp. 255 s.↩
23. In un articolo inviato a Ruge fin dal 1842 e che sarà pubblicato, per la sopraggiunta soppressione dei Deutsche Jahrbücher a cui era destinato, soltanto nel 1843 negli Anekdota, Marx scrive. «Non c'è altra strada che vi porti alla verità e alla libertà, se non quella che passa per il Feuer-bach: il torrente di fuoco. Il Torrente di fuoco è il purgatorio dell'epoca presente» (cfr. K. MARX, Scritti politici giovanili, a cura di Luigi Firpo), Torino, Einaudi, 1950, p. 56). ↩
24. F. MEHRING, Vita di Marx, op. cit., p. 29.↩
25. M.E.G.A., I, 1, p. 12.↩
26. F. MEHRING, op. cit., pp. 54 s.↩
27. M.E.G.A., I, 1, p. 12. ↩
28. Op. cit., p. 13.↩
29. Op. cit., p. 15.↩
30. Op. cit., p. 18.↩
31. Op. cit., loc. cit.↩
32. F. MEHRING, op. cit., p. 33. La condanna del materialismo passivo in nome di un principio energetico la ritroviamo infatti, sebbene in forma ben piú chiara e consapevole, nelle Glosse al Feuerbach, redatte nel 1845, allorché il pensiero del giovane Marx si è maturato appieno e si profila già la concezione materialistica della storia. «Il difetto capitale di tutto, il passato materialismo, quello del Feuerbach incluso, — egli scrive — è che l'oggetto, la realtà, il sensibile (Sinnlichkeit) è stato concepito soltanto sotto forma di oggetto (Objekt) o di intuizione (Anschauung), e non già come attività sensibile umana (sinnlichmenschliche Tätigkeit), come praxis» (cfr. K. MARX, Ideologia tedesca, op. cit., p. 145).↩
33. M.E.G.A., I, 1, p. 52.↩
34. F. MEHRING, op. cit., p. 33.↩
35. «Essendosi la filosofia racchiusa in un mondo compiuto, totale, la determinatezza di questa totalità — scrive Marx nelle Vorarbeiten — è condizionata essenzialmente dall'evoluzione di essa, così come essa è la condizione della forma che accetta la sua trasformazione in un rapporto pratico con la realtà; così si scinde la totalità del mondo, e questa scissione è veramente spinta allo estremismo, ché l'esistenza spirituale è diventata libera, si è trasformata in universalità» (M.E.G.A., I, 1, p. 132).↩
36. Op. cit., p. 4.↩
37. «Mi sembra che, se i sistemi precedenti sono pii"' interessanti e significativi per il loro contenuto, quelli postaristotelici, e segnatamente il ciclo delle scuole epicurea, stoica, scettica, lo siano per la forma soggettiva, per il carattere della filosofia greca» (Op. cit., p. l1).↩
38. «L'astratta individualità — scrive Marx — può cioè attuare il suo concetto, la sua determinazione formale, il puro esser-per-sé, l'indipendenza dalla esistenza immediata, la soppressione di ogni relatività solo col suo astrarre dall'esistenza che le si contrappone... Cosí lo scopo dell'agire è l'astrarsi, il ritrarsi dal dolore e dal turbamento, l'atarassia» (Op. cit., p. 29).↩
39. «Nella repulsione — scrive Marx — è dunque attuato il concetto dell'atomo, secondo cui esso è l'astratta forma e, del pari, il contrario, l'astratta materia; poiché ciò con cui l'atomo è in rapporto sono, sí, atomi, ma altri atomi... Nella repulsione degli atomi dunque la materia dei medesimi, espressa nella caduta rettilinea, e la loro determinazione formale, espressa nella declinazione, sono unite in una sintesi» (op. cit., p. 31).↩
40. Op. cit., p. 32.↩
41. Op. cit., p. 48.↩
42. Op. cit., p. 50.↩
43. Op. cit., p. 51.↩
44. «Epicuro — aveva scritto Hegel — si avvolge in espressioni indeterminate che non dicono nulla; difatti, come gli altri fisici, non sa offrirci se non un miscuglio inconsapevole di concetti astratti e di realtà» (HEGEL, Lezioni sulla storia della filosofia, op. cit., II, p. 459).↩
45. M.E.G.A., I, 1, p. 52.↩
46. A. CORNU, Karl Marx et Friedrich Engels, Presses Universitaires de France, Paris, 1955, Tome premier, p. 201.↩
47. Nella filosofia stoica, afferma Marx, per la negazione del libero arbitrio, della libertà dell'individuo «si aprono tutte le porte alla mistica superstizione» (M.E.G.A., I, 1, p. 52).↩
48. Op. cit., loc. cit.↩
49. Op. cit., p. 144.↩
50. Così nell'Introduzione alla Critica della filosofia del diritto di Hegel, pubblicata negli Annali franco-tedeschi del 1844, Marx, che ormai ha aderito al comunismo, vede il proletariato in funzione di un'idea-forza al servizio della filosofia. Per uno studio dell'argomento cfr. A. SABETTI, Gli Annali franco-tedeschi del 1844 e la fondazione dell'umanesimo marxista, in «Atti dell'Accademia Nazionale di Scienze Morali e Politiche», Napoli, 1956, pp. 132-170.↩
51. M.E.G.A., I, 1, p. 9. I versi (Aesch., Prom., 966-969) sono stati riportati nella traduzione del Bellotti.↩
52. Op. cit., p. 111.↩
53. Op. cit., p. 117.↩
54. Op. cit., p. 65.↩
55. Op. cit., p. 111. «Ma l'edificazione di dio non è forse la peggiore specie di autoumiliazione? — scriverà Lenin nel 1913. — Ogni uomo che si occupa dell'edificazione di dio... si autoumilia nel peggiore dei modi, perché, invece di pensare ad " agire ", pensa precisamente a contemplare se stesso; inoltre un simile uomo " contempla " proprio i tratti o i trattini piú sporchi, ottusi, servili del proprio " io " deificato con l'edificazione di dio» (da una Lettera a Gorki scritta nel novembre 1913; cfr. LENIN, Opere complete, XXXV (trad. italiana), Roma, Edizioni Rinascita, 1955, p. 77). Non c'è forse già nel Marx giovane l'idea chiara e precisa del significato che acquisterà in seguito la religione per il pensiero marxistico, di negazione cioè della dignità dell'uomo, che, deificando se stesso, rinuncia alla consapevolezza del suo destino umano e all'impegno che questo comporta?↩
56. «Come questa moralistica annulli ogni forma di disinteresse teoretico e pratico è dimostrato da un orrendo esempio storico fornitoci da Plutarco nella sua biografia di Mario — scrive Marx in una nota al Cap. IV della Parte I della dissertazione —. Dopo aver descritta la terribile fine dei Cimbri, egli narra come i cadaveri fossero in tal numero che i Massalioti potettero con essi concimare le vigne... Plutarco trova morale da parte di dio l'aver fatto perire e imputridire tutto un grande nobile popolo per procurare ai filistei marsigliesi un pingue raccolto di frutta. Così perfino il trasformarsi di un popolo in un mucchio di concime offre gradita occasione al moralismo fanatico» (op. cit., p. 64).↩
57. «La filosofia epicurea ebbe, ai suoi tempi, il merito di essersi opposta alla superstizione dei Greci e dei Romani, e di avere innalzato gli uomini al di sopra di essa» scrive Hegel (Lezioni sulla storia della filosofia, op. cit., p. 468). Tuttavia — e qui Hegel è in netto contrasto con la valutazione che i Giovani Hegeliani e Marx danno dell'irreligiosità epicurea — il procedimento epicureo, secondo lui, é esatto nella sfera del condizionato, ma non può valere là dove Epicuro, eliminando la superstizione, finisce col negare «anche ogni nesso in se stesso e il mondo dell'ideale» (op. cit., p. 469).↩
58. Cfr. nota 21.↩
59. Op. cit., p. 45.↩
60. Op. cit., pp. 45-46.↩
61. M.E.G.A., 1, 1, p. 93.↩
62. «Marx ha salutato entusiasticamente la nuova concezione [feuerbachiana] soltanto nei Deutsch-Französische Jahrbücher, chc apparvero nel febbraio 1844» scrive il Mehring (cfr. F. MEHRING, Vita di Marx, op. cit., p. 54).↩
63. «Par cette critique de la religion qui 1'amenait à considérer Dieu comete le produit de l'aliénation de I'essence humaine, K. Marx accédait aux conceptions que Feuerbach développait allors dans son livre L'essence du Cristianisme» (A. CORNU, Karl Marx et Friedrich Engels, op. cit., p. 185).↩
64. M.E.G.A., I, 1, p. 117.↩
65. L. FEUERBACH, L'essenza del cristianesimo, (a cura di A. Banfi), Milano, Universale Economica, 1949, pp. 26 e sgg.↩
66. Op. cit., p. 149.↩
67. La collaborazione di Marx al quotidiano liberale di Colonia durò dal 5 maggio 1842 al 18 marzo 1847. Tutti gli articoli, anche quelli inediti o censurati, sono stati raccolti dal Rjazanov nella M.E.G.A., I, 1, pp. 179-393; e sono stati tradotti in italiano dal Firpo (cfr. K. MARX, Scritti politici giovanili, op. cit., pp. 67-352).↩
68. Cfr. Introduzione alla Critica della filosofia del diritto di Hegel. L'introduzione fu pubblicata nell'unico numero dei Deutsch-Französische Jahrbiicher, uscito nel febbraio 1844. Cfr. la trad. it. a cura del Firpo, op. cit., pp. 395 sgg.↩
69. All'hegelismo Marx si era accorto di essersi convertito dopo che, giovanissimo, aveva intrapreso a scrivere un dialogo Cleante o del punto di partenza e del necessario sviluppo della filosofia. «L'ultima frase [di questo lavoro] egli dichiarava — era il principio del sistema di Hegel, e questo lavoro... mi porta, come una falsa sirena, nelle braccia del nemico» (cfr. Lettera di Marx al padre, 10 novembre 1837, in M.E.G.A., I, 2, p. 219).↩
70. La Rheinische Zeitung («Gazzetta Renana») aveva dato inizio alle sue pubblicazioni il 1° gennaio 1842; gli azionisti del giornale erano borghesi di Colonia e la loro iniziativa fu bene accolta in un primo tempo dalle autorità, perché le loro rivendicazioni erano in effetti piú economiche che politiche, e la «Gazzetta Renana» si opponeva validamente alla ultramontana Kölnische Zeitung (Gazzetta di Colonia), contro cui il governo appuntava i suoi strali. Affidata la direzione al Rutenberg, legato al Bauer e ai Giovani Hegeliani, tutto il gruppo berlinese finì con l'entrare nella redazione della rivista, che assunse così un nuovo carattere e iniziò una vigorosa lotta contro l'oscurantismo politico e religioso. Essendosi il Rutenberg dimostrato non sufficientemente capace di reggere le sorti della rivista, Marx lo sostituì nella direzione nell'ottobre 1842. I1 governo decretò però ben presto (gennaio 1843) la soppressione del giornale, permettendone la pubblicazione provvisoriamente fino al marzo 1843 e sottoponendo però il giornale stesso ad una severissima censura; e non revocò il provvedimento neppure quando dopo le dimissoini di Marx (18 marzo), gli azionisti promisero che la rivista, liberatasi del suo cattivo genio, avrebbe assunto tono piú moderato. «La scuola dei Giovani Hegeliani — scriverà Engels a proposito della " Gazzetta Renana " — rivelò in modo diretto con la Rheinische Zeitung del 1842 di essere la filosofia dell'ascendente borghesia radicale, e non ebbe piú bisogno del mantello filosofico se non per ingannare la censura» (ENGELS, Ludwig Feuerbach, op. cit., p. 20).↩
71. Ruge e Marx, accordandosi con gli altri Giovani Hegeliani, che ne furono i collaboratori (tra cui Moses Hess e Friedrich Engels), vollero, dando vita ai Deutsch-Französische Jahrbücher, realizzare il principio gallo-germanico, o, come fu ribattezzato da Ruge, «l'alleanza tra gli intellettuali tedeschi e francesi», proposto come principio e base essenziale di una nuova cultura da Feuerbach nelle Vorläufige Thesen zur Reform der Philosophie pubblicate negli Anekdota del Ruge nel 1843. «Il vero filosofo — aveva scritto il Feuerbach — ... deve essere d'origine gallo-germanica... Il cuore, che è il principio femminile, il senso del finito e la sede del materialismo, è francese; la testa, che è il principio maschile e la sede dell'idealismo, è tedesco. Il cuore è rivoluzionario, la testa riformista» (cfr. L. FEUERBACH, Principi della filosofia dell'avvenire, op. cit., p. 60). rifiutarono tutti la loro collaborazione; d'altra parte anche la vasta schiera di collaboratori tedeschi, che la rivista riuscì a procurarsi, era poco armonica per le differenze esistenti tra loro in quanto a orientamento ideologico. Infine la tendenza comunista degli articoli di Marx e di Engels, oltre a sollevare le proteste degli altri, principalmente del Ruge, provocò le persecuzioni del governo prussiano, che sequestrò tutte le copie della rivista introdotte in Germania. Gli «Annali franco-tedeschi» segnano in certo qual senso il punto di approdo della pubblicistica radicale tedesca e il punto di partenza per l'elaborazione del materialismo storico e del socialismo scientifico di Marx ed Engels. Per uno studio piú particolare sulle esperienze giornalistiche di Marx precedenti agli Annali franco-tedeschi, cfr. A. SABETTI, Gli Annali franco-tedeschi del 1844 e la fondazione del. l'umanesimo marxista, op. cit.↩
72. La Allgemeine Literaturzeitung veniva pubblicata a Charlottenburg fin dal dicembre 1843. Il principio a cui si ispirava era il ritorno alla filosofia pura, nella quale occorreva rifugiarsi dopo che la «massa» aveva dimostrato di non essere in grado di comprendere i grandi problemi dello «spirito». Su questo contrasto tra «spirito» e «massa» si fondava la rinuncia ad ogni azione costruttiva e si sviluppava una nebulosa filosofia priva di ogni mordente e di ogni concretezza. Marx ed Engels contrappongono alla Allegemeine Literaturzeitung la Critica della Critica critica, come essi la battezzarono, o la Sacra Famiglia, come la intitolarono su proposta dell'editore, appellativo col quale Marx ed Engels designavano comunemente B. Bauer e i suoi amici, i quali, dopo di avere, per così dire, canonizzato lo Spirito, l'avevano trasformato in una potenza trascendentale, la «Critica», incarnata in pochi individui che formavano il loro gruppo. La Sacra famiglia va oltre gli intenti polemici, a cui sembrava in un primo tempo legata, e in essa Marx, senza esporre ancora sistematicamente la dottrina del materialismo storico, alla quale era ormai giunto attraverso la studio soprattutto degli economisti francesi, dà il primo esempio, per così dire, pratico della sua teoria, facendo riferimento a molti casi concreti, la cui interpretazione è data dal punto di vista del materialismo storico. Il libro, dopo molti tentativi falliti, fu pubblicato nel febbraio 1845 (era stato scritto nel 1844) a Francoforte sul Meno per iniziativa del dottor Löwenthal, condirettore della Literarische Anstalt.↩
73. Sarà soprattutto la collaborazione alla Rheinische Zeitung che darà a Marx la possibilità di nuove esperienze politiche e culturali, impegnandolo nella trattazione e nella conseguente valutazione di questioni di carattere sociale e politico tali da richiedere da parte sua il distacco sempre piú netto dall'idealismo iniziale e il conseguente abbandono delle posizioni del Bauer e degli altri Giovani Hegeliani. Fu durante il periodo, in cui Marx diresse la Rheinische Zeitung, che si determinò la sua rottura con il Bauer, precisamente nel novembre 1842, quando Marx autorizzò la pubblicazione di un'articolo scritto dallo Herwegh, in cui venivano violentemente attaccati gli atteggiamenti assunti da Bauer e dai Liberi.↩
74. F. ENGELS, Ludwig Feuerbach, op. cit, p. 18.↩
75. È questo il significato dell'affermazione di Engels, quando asserisce che «il movimento operaio tedesco è l'erede della filosofia classica tedesca» (cfr. ENGELS, op. cit., p. 73); ed è in questo senso che, a distanza di pii di trent'anni dal conseguimento della laurea in filosofia, Marx potrà ancora dichiararsi seguace di Hegel. «Perciò — scriverà nel 1873, nel Poscritto alla seconda edizione del Capitale mi sono professato apertamente scolaro di quel grande pensatore... La misticazione alla quale soggiace la dialettica nelle mani di Hegel non toglie in nessun modo che egli sia stato il primo ad esporre ampiamente e consapevolmente le forme generali del movimento della dialettica stessa» (cfr. K. MARX, Il Capitale [trad. italiana], Roma, Edizioni Rinascita, 1951, vol. I, 1, p. 28).↩
76. K. MARX, Ideologia tedesca, op. cit., p. 226.↩
77. Op. cit., loc. cit.↩
78. K. MARX, Manoscritti economico-filosofici del 1844 (trad. italiana), Torino, Einaudi, 1949, p. 114.↩
79. «Dal rapporto del lavoro estraniato con la proprietà privata segue inoltre che l'emancipazione della società dalla proprietà privata, ecc., dalla schiavitù si esprime nella forma politica dell'emancipazione degli operai, non già come se si trattasse soltanto di questa emancipazione, ma perché in questa emancipazione è contenuta l'emancipazione universale dell'uomo» (cfr. Manoscritti economico-filosofici del 1844, op. cit., p. 95).↩
Ultima modifica 2021.04.08