L'intenso e ineguale sviluppo delle forze produttive negli ultimi decenni è alla base degli sconvolgimenti che definiscono la fisionomia più recente della contesa mondiale: la crisi del capitalismo di Stato nei paesi dell'Est e l'unificazione tedesca.
I mutamenti del mercato della forza-lavoro si collocano all'interno dello sviluppo delle forze produttive che, nella metropoli italiana, determina una accentuata esigenza di forza-lavoro qualificata ed in particolare di tecnici salariati.
La questione è stata parzialmente posta nella nostra analisi della crisi della scuola, sulfinire degli anni '60.
Allora si indicava uno dei caratteri dello squilibrio italiano tra struttura e sovrastruttura nell'inadeguatezza, rispetto alla domanda del capitale industriale, del tipo di istruzione erogata dall'apparato scolastico. Per così dire, vi era e vi è una sovrapproduzione di avvocati e professori ed una sottoproduzione di ingegneri e tecnici.
I due decenni successivi forniscono materiale per l'ulteriore analisi del problema.
Negli anni '70 abbiamo collegato l'indebolimento relativo dell'imperialismo italiano alla crisi energetica. Ma abbiamo precisato che tale indebolimento - quantificato all'epoca in un 5% del PIL, trasferito alla rendita petrolifera - incideva in misura estremamente differenziata tra settori e aziende in rapporto al loro ciclo produttivo ed alla loro composizione organica del capitale. Altrettanto differenziati sono stati dal 1986 gli effetti del crollo dei prezzi petroliferi (stimato per l'Italia in un beneficio del 2% del PIL) e dell'attuale nuovo rialzo del greggio provocato dalla crisi del Golfo (valuta bile a circa 1% del PIL).
Abbiamo quindi respintola semplificatoria distinzione tra settori "avanzati" e settori "maturi", preludio di una letteratura goffamente ondeggiante tra il timore della deindustrializzazione e la speranza di estinzione della classe operaia.
Se, infatti, è l'investimento a determinare la produttività, vi possono essere una siderurgia o t n tessile "avanzati", come vi può essere un 'elettronica "matura ".
In questi settori si presenterà analogamente una struttura diversificata di costi del lavoro e di qualificazioni dei salariati.
La ristrutturazione degli anni '80 non ha deindustrializzato le metropoli. Ma notevoli mutamenti si verificano dentro il modello industrialista prevalso.
Il settore automobilistico ne è un esempio. In Italia la FIAT si fa portabandiera di una "linea della qualità", ossia della necessità di un prodotto in grado di competere, all'interno e all'estero, in un mercato in cui il ruolo dell'utilitaria declina mentre si impongono macchine di cilindrata, prestazioni e prezzi superiori, corrispondenti ai redditi più elevati delle famiglie.
L'utilitaria era un prodotto scarsamente rifinito, a rapido logoramento, che implicava un processo produttivo il cui protagonista era l"'operaio massa". L'auto di qualità richiede tecnologie e qualificazione della forza lavoro più elevate.
Il Giappone, in virtù del l'ampia disponibilità di lavoratori qualificati, si è rapidamente trasformato da produttore ed esportatore di automobili utilitarie a produttore ed esportatore di auto ad alta tecnologia.
I processi produttivi sono l'immediato riflesso del mutamento della composizione organica del capitale e dello sviluppo scientifico applicato ai mezzi ed ai metodi di produzione. In questo campo sono combattute molte battaglie della ristrutturazione. L'Italia ha, per esempio, perduto terreno nell'industria alimentare, un settore che richiede elevate capacità di ricerca, di investimento e di specializzazione in rami come la dietologia, la biologia, la farmacologia, la con servazione.
Il marxismo ha dedicatoattenzione ai fenomeni tecnico-produttivi. "Il Capitale" fu da taluni erroneamente inteso come opera di determinismo tecnologico o come eccellente storia della tecnologia capitalistica. Ma per Marx le macchine non sono che il binario su cui corre la locomotiva delle lotte tra le classi fondamentali.
Nella ristrutturazione italiana emergono tre ordini di processi produttivi.
In primo luogo uno sviluppo della piccola produzione in aree di basso costo, sovvenzionate in vario modo e collegate alle vie di comunicazione, specie alla rete autostradale della Padania. Queste imprese assorbiranno una forza-lavoro con qualificazione relativamente bassa, inclusa una quota di forzalavoro immigrata che continuerà ad affluire dal bacino mediterraneo.
In secondo luogo si concentrano in ogni settore le produzioni di qualità. Qui è destinata a crescere l'incidenza della forza-lavoro altamente qualificata.
In terzo luogo, nel terziario, lo sviluppo e la concentrazione nei trasporti e nelle comunicazioni aumenterà la domanda di tecnici.
Questi processi sono prevedibili anche nella città più colpita dalla crisi del capitalismo di Stato, Genova. Le ipotesi di una Genova tra sformata in un grande centro turistico e direzionale o di prevalente affarismo immobiliare appartengono all'immaginario.
Il capoluogo ligure, per la sua posizione geografica, permarrà un ganglio del sistema produttivo del Nord Italia, sebbene ridimensionato industrialmente, attraverso la ricollocazione verso l'entroterra di determinate produzioni.
I processi produttivi delineati si intrecciano a processi sociali e politici.
La frammentazione produttiva alimenterà fenomeni di localismo politico e di frammentazione dei sindacati industriali, mentre crescerà il peso dei sindacati e del pubblico impiego.
Il partito leninista non sarà succube di queste tendenze, nè asseconderà la dispersione rivendicativa che ne deriverà, ma si concentrerà nella paziente costruzione di gruppi politici comunisti nei luoght di lavoro.
Negli anni '20 la questione dei tecnici fu dibattuta, specie in Germania e negli USA, in relazione ai processi della razionalizzazione produttiva. Si polemizzò sul ruolo sociale di questi strati. Sono coorti di crumiraggio e di reazione oppure reparti della classe rivoluzionaria? Il dibattito si intersecò con le dispute sulla natura sociale del fascismo e dello stalinismo. Alcune correnti definirono i tecnici come piccola borghesia declassata. Altre correnti considerarono i tecnici come parte di una piccola borghesia ascendente e il fascismo come la sua espressione politica.
James Burnham individuò nei tecnici una nuova classe la cui "rivoluzione manageriale" sarebbe alla base dei regimi totalitari.
Trotsky, nel quadro della sua non corretta visione del progressivo decadimento so ciale del capitalismo monopolistico, vide nei tecnici degli strati soggetti a declassamento e pauperizzazione e perciò potenzialmente anticapitalisti.
Riteniamo che, a breve termine, I'aumento dei lavoratori con alte qualifiche rafforzerà nella classe operaia lo spirito e le aspirazioni piccolo borghesi. Ma nel lo stesso tempo si accrescerà quello spirito di produttori che è proprio dei salariati più qualificati e istruiti.
L'imperialismo corrompe e coopta tra i suoi dignitari e pretoriani una parte di questi uomini, ma non può gratificarne la massa. C'è perciò uno spazio politico per una battaglia politica, senza concessioni a visioni corporative come quella di un sindacato dei tecnici.
L'esperienza storica indica che proprio tra i lavoratori più qualificati il movimento operaio ha espresso i combattenti di avanguardia delle lotte decisive, alla Comune di Parigi come nel battesimo di fuoco della Rivoluzione Russa.
Lo "spirito di produttori" di questi salariati può essere immiserito dall'individualismo e dal carrierismo o strumentalizzato dalle ideologie della modernità, della tecnocrazia, del riformismo.
Ma può anche essere il veicolo di incontro con la scienza marxista, con l'universalità del comunismo, con la dignità dei rivoluzionari.
Lenin ha tratteggiato il profilo del militante bolscevico come sintesi dell'organizzatore e propagandista tedesco, dell'agitatore francese, del pratico inglese e del rivoluzionario russo total mente dedito alla causa del proletariato.
Questo modello di militanza può attecchire tra i produttori salariati più coscienti.
Ultima modifica 18.09.2001