L'indebolimento relativo dell'imperialismo italiano aggrava le condizioni del proletariato il quale sta pagando interamente la crisi di ristrutturazione. Sta pagando, inoltre, per i forti ostacoli che si pongono ad una soluzione contingente della crisi stessa. Data la forte presenza di strati piccolo-borghesi, arroccati sempre più nei grandi partiti parlamentari, il grande capitale privato e statale è scarsamente in grado di adeguarsi ai livelli di riorganizzazione dell'apparato produttivo raggiunti dai suoi concorrenti internazionali. Così il proletariato italiano la crisi di ristrutturazione finisce col pagarla due volte.
Che ogni crisi del capitalismo sia pagata dal proletariato è una verità che il marxismo non si è mai stancato di ripetere. E' scontato. Non è scontato, invece, che dalla crisi il proletariato rivoluzionario non tragga alcun vantaggio politico. Ancor meno scontato è che il proletariato rivoluzionario non possa utilizzare la particolarità della crisi in Italia, cioè il fatto che il sistema imperialistico italiano per la sua particolare debolezza venga a rappresentare una specie di anello debole della catena imperialistica mondiale.
La questione è che, attualmente, il proletariato non è rivoluzionario perché non è organizzato da un punto di vista rivoluzionario. L'opportunismo, organizzando una minoranza, riesce ad utilizzare la relativa passività delle masse proletarie schiacciate dalla crisi ma incapaci spontaneamente di reagirvi.
Attendere che le masse proletarie si muovano spontaneamente quando tutte le frazioni borghesi e piccolo borghesi, tutto l'apparato statale, tutti i partiti e sindacati sono impegnati per tenerle ferme è pura utopia spontaneistica.
Impossibilitato ad organizzare i vasti strati del proletariato, cosa deve fare il Partito leninista, da dove deve incominciare se non può affidarsi alla spontaneità, se non vuole attendere fatalisticamente?
In ogni fase della lotta di classe sorge per il Partito rivoluzionario il problema di individuare un punto fermo su cui far leva per iniziare a portare avanti la sua azione politica.
Lenin, nel Che fare, scrive: "Ogni questione si aggira in un circolo vizioso, perché tutta la vita politica è una catena senza fine composta di un numero infinito di anelli. Tutta l'arte dell'uomo politico consiste precisamente nel trovare e nell'afferrare saldissimamente l'anello che più difficilmente può essergli strappato, che è il più importante in quel dato momento e che meglio gli garantisce il possesso di tutta la catena".
In questo modo il circolo vizioso è rotto perché viene individuato il punto fermo da dove incominciare, perché viene individuata la leva. Ma con quale criterio individuare questo punto fermo? In altra occasione, Lenin spiegherà che qualsiasi oggetto ha molteplici proprietà e rapporti con il mondo circostante e, di conseguenza, può assumere diverse funzioni. Si tratta, secondo la logica materialistica e dialettica, di trovare la determinazione essenziale per la quale può svolgere una funzione specifica.
Il Partito come organizzazione, nella teoria del Che fare, è visto, entro sue molteplici proprietà e rapporti con la realtà sociale e politica, proprio per la sua proprietà di piano organizzativo di lavoro. In questa sua determinazione essenziale esso può svolgere la funzione specifica di essere l'anello della vita politica che più difficilmente può essere strappato al proletariato. L'organizzazione come piano e non come movimento e processo: ecco la leva del momento determinato dalle lotte delle classi in una determinata congiuntura dello sviluppo capitalistico.
Dall'analisi dell'evoluzione della formazione economico-sociale russa, Lenin scopre la possibilità oggettiva di due tipi di sviluppo del capitalismo, l'uno democratico e l'altro junker, e da questa possibilità ricava la tattica del Partito, la tattica della "dittatura democratica del proletariato e dei contadini".
Ma proprio perché sono possibili due tipi di sviluppo, il Partito, se non vuole cadere nello spirito d'avventura, non può regolare la sua condotta su movimenti accelerati ed inattesi ma deve sempre proseguire nel suo lavoro sistematico di organizzazione e di educazione del proletariato. Quanto più il Partito saprà lavorare con questo piano, dice Lenin dopo aver analizzato sistematicamente quello sviluppo del capitalismo che porterà al 1905, quanto più non avrà contato sull'inatteso e tanto più avrà la possibilità di non essere colto di sorpresa dalla svolta.
E' importante notare che Lenin questo lo afferma proprio mentre si batte per la tattica della "dittatura democratica". Gli opportunisti tendono sempre a cogliere del leninismo le enunciazioni tattiche o, al massimo, a separare nettamente presunti momenti della tattica da presunti momenti dell'organizzazione. Gramsci arriva a distinguere una guerra di movimento, valida per la Russia di Lenin, da una guerra di posizione, valida per l'Occidente.
Ebbene, tale separazione tra tattica ed organizzazione e tale distinzione tra guerra di movimento e guerra di posizione non si trova in nessun momento in Lenin, sia questo momento movimentato oppure stagnante.
Invece, in ogni momento è presente il piano organizzativo, il lavoro sistematico come garanzia e condizione necessaria per poter affrontare le svolte, le esplosioni sociali, le complicazioni politiche.
Per adoperare la terminologia gramsciana, si può dire che guerra di posizione e guerra di movimento sono per Lenin un tutto organico tanto che non è possibile una guerra di movimento senza una guerra di posizione dato che solo questa mette in condizione di utilizzare quella. Per Lenin esiste una guerra di classe che deve essere condotta con un lavoro sistematico, con un piano di lavoro. Se proprio vogliamo ancora adoperare la terminologia di Gramsci, la quale però non corrisponde alla concezione leniniana, diremo che per Lenin la guerra di posizione è la costante e la guerra di movimento l'eccezione della lotta rivoluzionaria.
Vediamo un esempio di guerra di movimento: la tattica della "dittatura democratica". Nelle " Lettere sulla tattica" dell'aprile 1917, Lenin sostiene che la rivoluzione democratica borghese è terminata in Russia perché il "segno principale, fondamentale d'una rivoluzione" è "il passaggio del potere da una classe ad un'altra".
A chi gli obietta "forse che noi non abbiamo sempre detto che la rivoluzione democratico borghese viene condotta a termine soltanto dalla dittatura democratica rivoluzionaria del proletariato e dei contadini?" Lenin risponde: "le idee e le parole d'ordine dei bolscevichi, in generale, sono state interamente confermate, ma concretamente le cose sono andate diversamente di quanto io (o qualunque altro) potevo prevedere e cioè in un modo più originale, peculiare e vario".
A questo punto, Lenin fa una affermazione di estrema importanza, sulla quale, a cominciare da Trotsky, ci si è soffermati poco e la quale invece avrebbe permesso di superare certe dispute ed interpretazioni puramente nominalistiche. Dice che la dittatura democratica del proletariato e dei contadini è una formula che "esprime soltanto un rapporto di classe e non una istituzione politica concreta che attui questo rapporto, questa collaborazione". La rivoluzione democratica borghese è terminata e si pone all'ordine del giorno la rivoluzione socialista perché nel Soviet si è già attuata la dittatura democratica.
Si capisce bene perché, nella teoria del partito del Che fare, il lavoro rivoluzionario venga concepito come "il piano più pratico perché si possa, da tutti i lati, prepararsi all'insurrezione, senza dimenticare un istante il lavoro ordinario, quotidiano".
Se il Partito bolscevico non si fosse preparato secondo questo piano ed avesse affidato il suo destino esclusivamente alla tattica della "dittatura democratica", scambiando questa formula del rapporto proletariato-contadini per una istituzione politica concreta, si sarebbe inevitabilmente trovato a sostenere un Soviet, egemonizzato dai socialrivoluzionari e dai menscevichi, che esprimeva sì una rivoluzione democratica borghese ma che, nel rapporto internazionale borghesia-proletariato, esprimeva pure, con la continuazione della guerra, una funzione imperialistica.
Invece, dice Lenin sempre nell'aprile 1917, "non c'è via d'uscita all'infuori della rivoluzione del proletariato". Così come, dopo la disfatta della Comune di Parigi, Marx ed Engels valutando la situazione internazionale compresero che "non v'era altro da fare" che "un lento lavoro di organizzazione e di educazione", così, dice Lenin, "dobbiamo saper comprendere, noi pure, i compiti e le particolarità della nuova epoca".
Lukacs ha detto che: "Rosa Luxemburg ha visto per prima che l'organizzazione è in assai maggior misura un risultato, e non una premessa, del processo rivoluzionario".
Tutta la strategia di Lenin si fonda, invece, sul presupposto che l'organizzazione è la premessa del processo rivoluzionario. L'evoluzione del capitalismo determina svolte particolari, risultati particolari. Solo la premessa organizzativa li trasforma in processi rivoluzionari e in risultati per il proletariato.
L'organizzazione come premessa e non come risultato del processo rivoluzionario è, inoltre, una concezione che deriva in modo diretto dall'analisi scientifica che Lenin fa del fenomeno revisionistico. Dall'essenza stessa della politica revisionista "risulta chiaramente che essa può assumere forme infinitamente varie e che ogni problema più o meno "nuovo", ogni svolta più o meno inattesa e imprevista - anche se mutano il corso essenziale degli avvenimenti in misura infima e per un brevissimo periodo di tempo - devono portare inevitabilmente all'una o all'altra varietà di revisionismo. Ciò che rende inevitabile il revisionismo sono le sue radici di classe nella società moderna".
Il revisionismo è inevitabile perché "in ogni paese capitalista esistono sempre, accanto al proletariato, larghi strati di piccola borghesia, di piccoli proprietari. Il capitalismo è nato e nasce continuamente dalla piccola produzione. Nuovi numerosi "strati medi" vengono inevitabilmente creati dal capitalismo (appendici della fabbrica, lavoro a domicilio, piccoli laboratori che sorgono in tutto il paese per sovvenire alla necessità della grande industria...)".
Lo sviluppo del capitalismo, creando piccola borghesia, sviluppa inevitabilmente il revisionismo, cioè l'influenza della piccola borghesia sul proletariato. Il partito rivoluzionario non può sottrarsi a questa influenza senza una incessante lotta teorica, politica ed organizzativa.
Il partito rivoluzionario opera in una realtà sociale che crea problemi più o meno nuovi e svolte più o meno impreviste, anche se queste, come avverte Lenin, incidono poi molto poco. Tale realtà crea questioni più o meno reali, e molto spesso più fittizie ed ideologiche che reali, che si aggirano, come abbiamo visto, in un circolo vizioso. Siccome il sorgere di questi problemi più o meno nuovi e reali è inevitabile nella vita politica e siccome inevitabile è pure l'influenza della piccola borghesia sul proletariato, la politica revisionista si manifesterà nelle più varie forme come risposta o proposta di soluzione ai vari problemi contingenti. Ecco la necessità per il Partito di afferrare l'anello che più difficilmente può essergli strappato, ecco la necessità per il Partito di lavorare con un piano sistematico che non conti sull'inatteso, sul problema più o meno nuovo, sulla svolta.
Con questo lavoro sistematico di organizzazione e di educazione del proletariato si combatte l'influenza piccolo-borghese nelle sue varie forme revisioniste, influenza che si manifesta sui problemi più o meno nuovi e che non può manifestarsi, invece, sul compito generale di organizzazione e di propaganda comunista.
Nella storia del movimento comunista si sono verificate molte deformazioni organizzative, non si è mai verificato un revisionismo organizzativistico .
Marx ed Engels, dall'analisi scientifica del mercato mondiale e dalla strategia che ne traevano, compresero il compito storico del lento lavoro di organizzazione e di educazione del proletariato. Lenin, nel Che fare, si colloca in questo compito storico. Solo dei revisionisti, cioè degli ideologhi della piccola borghesia, hanno potuto vedere in questa collocazione attinente ad un compito storico un Lenin secondo internazionalista, un Lenin kautskyano che non capisce a tempo il centrismo, che non rompe a tempo con esso ecc.
Il fatto è che i revisionisti impossibilitati ad influenzare il lavoro costante di organizzazione e di educazione del proletariato, cercano di attaccare la concezione organizzativa per rendere la classe operaia disarmata di fronte alla politica revisionista.
L'esperienza bolscevica ci dimostra, invece, che è proprio la concezione organizzativa a far fallire questo tentativo e a sconfiggere il revisionismo.
Nel 1908, in occasione della ristampa del suo libro sullo sviluppo del capitalismo in Russia, Lenin traccia un primo bilancio dell'evoluzione del capitalismo analizzata nella sua opera degli anni '90. Dice che l'analisi della struttura di classe in Russia, ivi esposta. è stata confermata "dall'intervento politico aperto di tutte le classi nel corso della rivoluzione", così come si è manifestata completamente "la funzione dirigente del proletariato " e la "duplice posizione e la duplice funzione dei contadini" i quali per il loro "carattere piccolo-borghese " oscillano inevitabilmente tra la borghesia controrivoluzionaria ed il proletariato rivoluzionario. Per la sua base economica "la rivoluzione in Russia è inevitabilmente, s'intende, una rivoluzione borghese". Però "Con l'attuale base economica, sono oggettivamente possibili due linee fondamentali dello sviluppo e della conclusione della rivoluzione russa": linea prussiana di lenta trasformazione in "pura economia capitalista" e linea democratica di "più rapido e libero sviluppo delle forze di produzione sulla base capitalistica".
Sono possibili "combinazioni infinitamente varie degli elementi dell'uno o dell'altro tipo di evoluzione capitalistica".
Dal triennio 1905-1907 era "impossibile definire i grandi risultati dell'evoluzione economica". Dalla svolta controrivoluzionaria del giugno 1907 non si può ancora ricavare se la svolta è definitiva e stabile, cioè se l'evoluzione capitalistica segue la linea junker. Perciò, quale sarà il risultato finale "per ora non lo si può prevedere".
E' importante studiare questo periodo della elaborazione di Lenin perché smentisce pienamente ogni sua riduzione a teorico della guerra di movimento e perché spiega ampiamente la sua tesi invariante che il lavoro del Partito non può affidarsi alle svolte ma deve basarsi sul piano organizzativo quotidiano e sistematico.
Cosa avrebbe dovuto fare il Partito se dall'analisi strategica, e proprio perché era una analisi strategica, risultavano oggettivamente possibili due linee di sviluppo dell'evoluzione capitalistica, due linee che in fondo, erano due ritmi di sviluppo, uno lento ed uno rapido, della formazione delle classi?
Stabilire la propria condotta in base allo sviluppo lento o in base allo sviluppo rapido del proletariato?
Nell'impossibilità di prevedere subito quale sarà il ritmo dell'evoluzione del capitalismo, il Partito deve lavorare secondo un piano organizzativo che sia indipendente dai ritmi non prevedibili e che si basi sulla evoluzione generale prevista. Nel dicembre 1910, tracciando alcune particolarità dello sviluppo storico del marxismo, Lenin definisce ulteriormente questo problema. L'evoluzione generale del capitalismo ha determinato "svolte repentine, che hanno modificato con una rapidità sorprendente e in modo eccezionalmente brusco la situazione, la situazione sociale e politica che determina in modo diretto ed immediato le condizioni dell'azione e per conseguenza, i compiti di questa azione".
Lenin distingue nettamente i compiti generali derivanti dall'evoluzione generale del capitalismo ed i compiti specifici del Partito derivanti dalle svolte repentine, dai ritmi.
I compiti generali "non cambiano con le svolte della storia se non si modificano i rapporti fondamentali tra le classi".
Giudica che "questo orientamento generale dell'evoluzione economica (e non soltanto economica) della Russia, così come i rapporti fondamentali tra le differenti classi della Russia, non si è modificato, per esempio, nel corso di questi ultimi sei anni". Quindi indipendentemente dalle svolte che hanno modificato direttamente le condizioni dell'azione sociale e politica e i compiti specifici, il Partito ha svolto il suo lavoro essenziale per i compiti generali di organizzazione e di educazione del proletariato.
"Ma durante questo periodo i compiti dell'azione diretta ed immediata si sono radicalmente modificati così come si è modificata la situazione sociale e politica concreta, e per conseguenza anche nel marxismo, che è una dottrina vivente, non potevano non essere messi in primo piano or l'uno or l'altro suo aspetto". Lenin può ora, nel 1910, distinguere definitivamente due trienni per trovarne l'analogia e la differenza.
Il primo triennio 1905-1907 è di "rapide trasformazioni nei tratti principali del regime politico", trasformazioni sovrastrutturali che hanno la loro base economica e sociale nella "azione di massa di tutte le classi ".
Nel secondo triennio 1908-1910, invece, la "evoluzione è così lenta che quasi equivale alla stasi": nessuna azione di massa delle classi, nessun cambiamento nel regime statale.
Dove è l'analogia tra questi due periodi? E' nella comune evoluzione capitalistica ed è nella comune contraddizione non superata tra "l'evoluzione economica ed un insieme di istituzioni sovrastrutturali feudali": quindi, una non corrispondenza tra movimento della struttura e la sovrastruttura.
Dove è la differenza? Nel primo triennio si presentò il problema di vedere a quale risultato avrebbe portato il ritmo rapido di trasformazione. "Per necessità si pose in primo piano la tattica", si pose cioè, in primo piano il compito specifico del Partito del proletariato di azione diretta ed immediata sulla svolta, sul ritmo stesso.
Nel secondo triennio, invece, "il cozzo tra le diverse tendenze dell'evoluzione borghese della Russia non era all'ordine del giorno".
Necessariamente il Partito non poteva più mettere in primo piano la tattica quando le condizioni stesse dell'azione e, per conseguenza, dei compiti dell'azione diretta ed immediata non vedevano più una situazione sociale e politica che aveva posto in primo piano lo scontro tra due tipi di sviluppo capitalistico. Se la tattica corrisponde alla necessità di compiti specifici per una situazione specifica, necessariamente quando cambia la situazione specifica cambiano i compiti specifici, cambia la tattica. La evoluzione del capitalismo pone in primo piano una contraddizione, il marxismo, dl conseguenza, mette m primo plano un suo aspetto.
Ma quale aspetto deve essere messo in primo piano dal Partito marxista ora che non si pone all'ordine del giorno lo scontro tra i due tipi dello sviluppo capitalistico?
La risposta di Lenin è coerentemente marxista. Siccome il marxismo deve "necessariamente riflettere il cambiamento brusco avvenuto nelle condizioni della vita sociale", il passaggio brusco dal ritmo rapido al ritmo lento e quasi stagnante, il compito specifico, l'azione diretta ed immediata del partito deve essere "l'azione vigorosa contro questa disgregazione, la lotta decisa e tenace per la difesa dei principi del marxismo".
Il lavoro generale e costante di organizzazione e di educazione del proletariato oltre che compito generale del partito diviene anche un compito specifico. Questa lotta viene "di nuovo posta all'ordine del giorno", come lo era stata negli anni di costruzione del partito, negli anni del "Che fare".
Il rigore marxista di Lenin è la chiave per comprendere come i compiti generali ed i compiti specifici vengono posti dalla strategia del partito rivoluzionario. L'insegnamento di Lenin è indispensabile nell'affrontare i compiti specifici dell'attuale situazione della lotta di classe.
L'analisi scientifica della formazione economico-sociale e della sua evoluzione è alla base della strategia rivoluzionaria del proletariato. L'analisi della evoluzione del capitalismo viene confermata dall'intervento politico aperto di tutte le classi in determinate svolte, esplosioni, complicazioni. Sono proprio queste con la lotta di frazioni della classe dominante e con la lotta politica tra gli strati della classe dominata, a confermare la validità dell'analisi dell'evoluzione economica e sociale generale e, quindi, la validità della strategia rivoluzionaria. L'analisi scientifica permette di scoprire diversi tipi di sviluppo, le varie combinazioni e le varie funzioni delle classi nella evoluzione o tendenza generale del capitalismo.
Perciò il Partito del proletariato non può svilupparsi che sulla tendenza generale del capitalismo, non può svilupparsi che sul lento lavoro di organizzazione e di educazione. Altrimenti non si svilupperebbe; anzi, non si sarebbe mai sviluppato, non sarebbe mai esistito.
Non a caso, Lenin afferma che è avventura lavorare per sviluppare il Partito su di un solo tipo, su di una sola esplosione, su di una sola contraddizione fondamentale del capitalismo. Solo nel lavoro sistematico che si basa sulla evoluzione generale vi è la garanzia per poter utilizzare tutte le svolte che tale evoluzione determina, anche perché è impossibile prevedere le svolte stesse, è impossibile prevedere quali complicazioni saranno determinate dalle molteplici contraddizioni dello sviluppo generale capitalistico.
Il metodo materialistico di analisi nell'affermare la possibilità di previsione scientifica dell'evoluzione generale e, contemporaneamente, l'impossibilità di previsione delle complicazioni o combinazioni multiformi di una serie di fattori, e proprio perché afferma la inevitabilità di queste, scarta ogni tentazione razionalistica e dottrinaria.
La strategia, derivata dall'analisi scientifica, non è quindi uno schema razionalistico o una prefigurazione degli avvenimenti.
Nella nostra epoca l'accumulo di esperienza storica permette, indubbiamente, una maggiore conoscenza dei tipi, delle esplosioni, delle complicazioni. Ciò avvantaggia il Partito leninista anche nella previsione specifica. Ma il vantaggio storico rimane limitato dalla necessità di non scambiare il vantaggio di previsione per uno schema razionalistico, dalla necessità di tener conto che il relativo vantaggio può restringersi di fronte al sorgere di nuove complicazioni mondiali determinate dall'aumento dei fattori entrati in gioco con la evoluzione del capitalismo in tutto il mondo, e dalla considerazione generale che il lavoro costante e tipico dà la massima garanzia al Partito leninista di poter affrontare qualsiasi svolta della situazione sociale e politica. La ristrutturazione mondiale del capitalismo ha posto il proletariato di fronte ad un brusco mutamento della situazione, mutamento che era preparato dall'evoluzione generale e dalle lotte interimperialistiche ma che doveva presentarsi solo in modo repentino come tutti i risultati dei movimenti strutturali.
La ristrutturazione determina maggiore disoccupazione nelle metropoli imperialistiche e in Italia, in particolare. Le lotte operaie nella fase della ristrutturazione hanno, di conseguenza, caratteri diversi da quelle della fase di espansione degli anni '60.
Il Partito leninista deve essere pronto teoricamente, politicamente ed organizzativamente al ciclo delle lotte operaie della crisi di ristrutturazione. Questa è la nostra lotta, la lotta comunista.
Ultima modifica 2.4.2002