Pubblicato su Lotta Comunista n°1, gennaio 1991
Trascritto per internet da Antonio Maggio (Primo Maggio)
HTML mark-up per il MIA: Dario Romeo, novembre 2003
Il IV Convegno Nazionale dei Movimento della Sinistra Comunista (Roma 29 giugno 1965):
Presa visione dell'attività frazionistica di Raimondi e Bazzanella culminata nella riunione di Perugia con la manovra di dichiarare Convegno Nazionale una semplice riunione comunicata ai gruppi con telegramma annunciante una «riunione allargata» e non un Convegno Nazionale.
Constatato l'atto arbitrario di Raimondi e Bazzanella che con l'appoggio di soli sei elementi, hanno preteso di decidere a nome di tutto il Movimento trasportando il giornale «Azione Comunista» da Genova a Milano.
Preso atto di questa manovra che dimostra chiaramente il disprezzo dell'organizzazione e della volontà della stragrande maggioranza dei compagni ed il ricorso al diritto di proprietà borghese per cui Raimondi è proprietario del giornale e di fronte alla legge ne può disporre come vuole.
Decide all'unanimità di:
a) sconfessare Raimondi e Bazzanella che, in una ristrettissima riunione hanno messo in atto un ridicolo colpo di stato di marca stalinista contro la organizzazione;
b) denunciare ai simpatizzanti ed ai lettori di «Azione Comunista» le posizioni di Raimondi e soci come posizioni personali, staliniane e filo-albanesi che nulla hanno a che fare con il Movimento e che sono state ripetutamente condannate da tutti i gruppi e militanti rivoluzionari;
c) portare a conoscenza che Raimondi e soci, dopo avere per anni ipocritamente accettato nel I, nel II nel III Convegno Nazionale del Movimento la Piattaforma programmatica, lo statuto organizzativo e la linea politica, hanno architettato il «colpo di stato» staliniano solo dopo la visita del Raimondi stesso in Albania, da dove ha riportato direttive di appoggio alla cricca di Tirana;
d) scindere ogni responsabilità da Bruno Fortichiari che perseguendo nel suo tradizionale ed incurabile centrismo conciliazionista ha di fatto avallato le manovre «albanesi» di Raimondi e soci culminando una carriera politica che inizia sotto il vessillo rosso di Livorno e dell'Internazionale di Lenin e ripiega per molti anni all'oscura ombra del Partito staliniano;
e) pubblicare un documento politico che tracci il corso della lunga lotta intrapresa dalla corrente leninista contro Raimondi e soci e conclusasi con la completa disfatta di questi intriganti «liquidatori» postisi ormai definitivamente fuori dal movimento rivoluzionario.
Dalla sua formazione il MSC ha dovuto subire un'aspra lotta per salvaguardare e rafforzare il suo nucleo marxista-rivoluzionario.
Le caratteristiche che ne hanno contrassegnato la formazione contenevano già un processo inevitabile.
Difatti il MSC si costituì come risultato storico di una convergenza tra la lotta di una minoranza rivoluzionaria da anni impegnata duramente ed un gruppo eterogeneo emerso dalla crisi del P.C.I. nel 1956.
Questa convergenza fu un passo obbligato nella lotta per la creazione del partito leninista in Italia. La corrente leninista che contribuì alla formazione del MSC. di fatto ne determinò la nascita e, contemporaneamente, impedì che il gruppo di «Azione Comunista» emerso dalla crisi del PCI potesse essere strumentalizzato dal gruppo Seniga-Raimondi, uscito dalla segreteria dello stalinista Secchia.
Grazie all'intervento della corrente leninista la manovra di Raimondi da un lato, e di Seniga dall'altro, poterono essere sventate e parecchi compagni, che oggi sono dei buoni leninisti poterono essere recuperati alla milizia rivoluzionaria e sottratti ad avventure opportunistiche a cui per la loro scarsa preparazione ideologica al momento della uscita dal PCI, poterono essere esposti.
Ovviamente la corrente leninista non poteva sottrarsi a questa battaglia ed isolarsi in Se stessa, lasciando che Raimondi e Seniga creassero ed influenzassero il MSC.
In che modo Seniga cercasse di influenzare i compagni che uscivano dal PCI ed aderivano al Movimento è documentato dalle sue prese di posizione e dalla sua attuale collocazione politica.
In che modo Raimondi cercasse di estendere la sua influenza forse è meno noto ma appare chiaramente dalla vicenda che accompagnò la sua uscita dal PCI.
In data 4 luglio 1956 - l'edizione milanese de «l'Unità» pubblicava la seguente dichiarazione rilasciata il 1° luglio 1956 :
«Dichiaro di riconoscere nel modo più sincero e aperto di aver commesso un grave errore dando il mio nome ad un foglio il cui risultato potrebbe essere quello di minare l'unità del partito. Riconosco di aver violato la disciplina del PCI. Mi impegno a rompere ogni legame diretto e indiretto con «Azione Comunista». Mi impegno a esprimere le mie opinioni e i miei punti di vista sulla politica del partito nelle riunioni normali del partito e sui suoi organi di stampa sui quali mi si garantisce di esprimere la piena libertà del mio pensiero. Firmato: Luciano Raimondi.
P.S. Questo documento vale solo nel caso in cui venga accolto il mio ricorso contro la espulsione altrimenti mi riservo di sconfessarlo in ogni caso. Luciano Raimondi».
Espulso dal PCI, dopo essere stato candidato non eletto nelle elezioni amministrative di Milano nel maggio 1956, Raimondi diventava su sollecito ed esclusivo interessamento di Seniga, direttore responsabile di «Azione Comunista»
La corrente leninista iniziò già da allora una dura lotta per dotare il Movimento ed il suo organo di stampa di una direzione effettivamente marxista rivoluzionaria ed epurata di tutti quegli elementi che erano entrati nel Movimento su posizioni spurie ed equivoche.
Questa prima fase di lotta culmina alla riunione di Livorno nel novembre 1957 in cui il tentativo della corrente leninista di dare un chiaro programma marxista e una struttura rivoluzionario ad un movimento che, data la sua recentissima formazione, non poteva che essere eterogeneo è dichiaratamente sabotato da un blocco comprendente Seniga, Raimondi, Fortichiari e Masini, cioè da una strana ma logica alleanza di destri, conciliazionisti ed ex-staliniani. Tutti questi elementi avevano indubbiamente interesse a non definire e a non organizzare un movimento che si andava formando con l'affluenza di molti militanti di base che uscivano sprovveduti dal PCI, per renderlo disponibile ad ogni spostamento politico.
Di fronte a tale opportunistica, ambigua e pericolosissima tendenza manifestatasi nella eterogenea coalizione che, di fatto dominava il centro dirigente il Movimento, la corrente leninista decise nel luglio 1958 di ritirare i suoi esponenti dal Centro Nazionale, di non collaborare al giornale «Azione Comunista», di pubblicare un bollettino interno di opposizione al centro, di intensificare al massimo il lavoro di chiarificazione e di denuncia del Centro presso tutti i gruppi e i militanti di convocare una riunione nazionale di opposizione per il 5 ottobre 1958.
La riunione nazionale di Genova-Pegli di opposizione al Centro ribadì tutte queste posizioni e lanciò un appello a tutto il Movimento in cui si metteva sotto accusa il Centro il quale continuava, esperimentando metodi egregiamente imparati nel PCI di Togliatti, a non tenere in nessun conto la volontà dei gruppi e dei militanti.
Questa seconda fase della battaglia ingaggiata dalla corrente leninista fu estremamente positiva ed utile perché serviva formare una rete di quadri giovani preparati marxisticamente e collaudati nella lotta contro ogni forma di opportunismo. Essa confermò ulteriormente la possibilità di una formazione di quadri leninisti basata su due criteri fondamentali: chiarezza ed intransigenza teorica e capacità di un lavoro organizzativo e teorico che uscisse fuori dal gruppo ristrettissimo ed operasse in una formazione «intermedista». Essa confermò ulteriormente la necessità di lavorare ad ogni livello per la formazione di quadri rivoluzionari.
Investito dalla lotta condotta dalla corrente leninista ben presto il Centro entrò in una crisi di disfacimento e di disgregazione ed una parte del Centro espulse l'altra parte costretta, ormai, dalla impossibilità di manovra interna, a manifestare apertamente una linea socialdemocratica. Del Centro non restava, ormai, più che il diritto di proprietà borghese di Raimondi sulla testata del giornale.
Nel 1961, il I Convegno Nazionale del Movimento vide ormai l'affermazione della corrente leninista con l'approvazione della Piattaforma Programmatica, i cui punti fondamentali erano già contenuti nelle Tesi Cervetto-Parodi presentate e respinte alla riunione di Livorno.
Nel 1962, il II Convegno Nazionale del Movimento approvava lo statuto organizzativo, i cui principi ispiratori erano già presenti nelle Tesi Cervetto-Parodi.
Nel 1963, il III Convegno Nazionale decideva infine di trasferire il giornale «Azione Comunista» a Genova e di affidarne la direzione politica ed effettiva ai compagni della corrente leninista che ormai erano diventati la stragrande maggioranza del Movimento.
Partita da posizioni minoritarie la corrente leninista era ormai diventata il Movimento. Il giornale «Azione Comunista» rappresentava la realtà di una linea teorica e politica assimilata dai gruppi e dai militanti che con la decisione organizzativa di trasferire la redazione del giornale a Genova hanno affermato una inequivocabile esigenza di vedere garantita ed applicata la Piattaforma Programmatica nel lavoro di propaganda ed agitazione.
Dalla fine del 1963 gli accenni di ambiguità politica di Raimondi e l'esaurito conciliazionismo di Fortichiari spariscono completamente dalle colonne del giornale.
Di fronte ad un processo irreversibile a Raimondi e soci non resta altro che la via della manovra, della disgregazione, dell'intrigo.
Il frazionismo senza principi di Raimondi e c. viene attuato, da un lato, con riunioni separate e con circolari scissionistiche e, dall'altro, con uno stretto collegamento con i gruppi psiuppini e filo-cinesi.
Alla riunione del Comitato Nazionale del 6 dicembre 1964 Raimondi e c. sono messi con le spalle al muro: tutta la loro manovra disgregativa è scoperta e denunciata. Il gruppetto si lancia allora allo scoperto e convoca per il 1° Maggio 1965 una riunione ristretta, che in un secondo tempo si autoproclama Convegno Nazionale.
A questa riunione viene presentato un documento di linea politica che noi ci limitiamo a citare e a commentare, non perché riveli una certa importanza bensì perché confessa esplicitamente quali sono i propositi di Raimondi e c.
Siccome l'uso del documento doveva essere interno gli estensori non si sono preoccupati di nascondere le loro intenzioni, intenzioni che peraltro, non manifestano apertamente sul giornale.
Nelle «Proposte per la linea politica generale della Sinistra Comunista», presentate alla riunione di Perugia, la frazione Raimondi-Bazzanella scopre chiaramente il suo carattere opportunista ed il suo ruolo disgregatorio del movimento rivoluzionario.
Già nella «Premessa» del documento si delinea il carattere opportunista del documento nella stessa analisi della situazione italiana.
Questa, secondo la frazione Raimondi-Bazzanella, sarebbe tra l'altro, caratterizzata da una «graduale politicizzazione antirevisionista della maggior parte della base del PSIUP, dei suoi quadri intermedi da alcuni esponenti della stessa direzione del partito» (punto 7).
A parte la ridicola definizione di «politicizzazione antirevisionista» che altro non dimostra che l'estremo empirismo e pressappochismo degli stessi estensori del documento, nessun elemento viene portato a sostegno di questo giudizio che include non soltanto la maggior parte della base ma pure alcuni dirigenti del PSIUP. Neppure degli impostori possono dimostrare che la posizione di «alcuni» dirigenti del PSIUP è una effettiva posizione politica se non è una posizione pubblica. A meno che le posizioni politiche non siano desunte dalle «confidenze» e dai «pettegolezzi», fonti dalle quali possono ispirarsi i vari frazionisti ma non di certo i marxisti rivoluzionari .
Le posizioni politiche del PSIUP, compresi «alcuni dirigenti», sono esposte nell'organo «Mondo Nuovo». Leggendo questo giornale troveremo le posizioni opportunistiche dei Vecchietti e dei Libertini; posizioni di chiara marca socialdemocratica.
Per questa semplice ragione il documento della frazione Raimondi-Bazzanella si astiene scrupolosamente dal citare anche una sola tesi di qualcuno di questi «dirigenti» che vorrebbe far passare ed accreditare come «antirevisionisti».
Il trucco dei Raimondi-Bazzanella è infantile e puerile. Siccome cercano di liquidare il movimento rivoluzionario per portarne le spoglie al servizio dei parlamentari controrivoluzionari del PSIUP, fanno a questi il servizio di presentarli per quello che non sono ed inventano di sana pianta un presunto «antirevisionismo» da parte di alcuni dirigenti del PSIUP.
La manovra della frazione RB diventa, poi chiara ed inequivocabile quando dalla Premessa si passa all'enunciazione degli obbiettivi della linea politica proposta. Le minoranze rivoluzionarie sarebbero per i liquidatori R-B «gruppi sterili delle minoranze pseudo-rivoluzionarie».
A questa definizione classica del nemico sfuggita come una confessione grazie solo alla maldestria dei vari R-B, si contrappone l'illuminante definizione del PSIUP come «partito di speranze».
E dato che per i R-B le minoranze rivoluzionarie sono «gruppi pseudo-rivoluzionari» ed i partiti tipo PSIUP sono invece una «speranza», ne consegue che il loro massimo sforzo non è quello di rafforzare i nostri gruppi ma è quello di dare una mano al PCI e al PSIUP.
Il gruppo R-B ha la faccia tosta di ammetterlo:
«...la Sinistra Comunista deve trovare le sue adesioni ed i suoi militanti soprattutto nella base del PCI e del PSIUP, e tra i lavoratori simpatizzanti per questi partiti, con l'obiettivo immediato non di distoglierli da essi, ma di tarli operare in essi per allargare le adesioni, per smascherare le direzioni revisioniste... Bisogna cioè creare una struttura organizzativa articolata in cellule operanti all'interno del PCI, all'interno del PSIUP, ai margini e al di fuori di questi partiti».
Ecco a che cosa si è ridotto l'obiettivo della «ricostruzione del partito di classe nella politica dei R-B.
Oggi di fronte alla degenerazione dell'entrismo trotskista, che è finito come doveva finire, con il divenire uno strumento della mistificazione opportunista, cioè un fenomeno che se non esistesse. i dirigenti del PCI e del PSIUP dovrebbero inventarlo per avere una copertura a «sinistra» nella loro politica controrivoluzionaria, la frazione R-B non ha neppure la intelligenza politica di escogitare qualcosa di diverso e di nuovo per cercare di disgregare le file rivoluzionarie.
Sappiamo benissimo come una Sinistra Comunista, quale è prospettata dai R-B diventata una opposizione di Sua Maestà l'Opportunismo farebbe comodo ai vari Ingrao, Libertini, Regis, Duse!
E come faccia comodo a questi signori lo dimostra il fatto che anche il documento R-B rilancia la loro parola d'ordine:
«...la linea della Sinistra Comunista, ai fini dell'unità del movimento antirevisionista, ai fini di strappare agli stessi revisionisti la grande arma della accusa di frazionismo e di diserzione di classe, deve essere quella della lotta per il rinnovamento del partito, e non fare un altro partito».
Ecco a cosa sono ridotti i RB: a volgari «rinnovatori» del PCI.
Ecco la loro segreta speranza «rinnovare» il PCI.
Se non avessero detto altro questa loro semplice ammissione basterebbe per qualificarli.
Ma c'è di più. Nella loro funzione di liquidatori del movimento rivoluzionario essi dimostrano di essere davvero dei «volgari rinnovatori» del PCI. In effetti non vogliono neppure «rinnovare» il PCI: vogliono entrarvi e basta.
Essi rinunciano, persino, ad agitare alcune di quelle idee di cui demagogicamente, si fanno portabandiera i cosiddetti «rinnovatori».
Sotto una generica proposta di lotta antirevisionista, che qualsiasi opportunista dice di condurre, tanto l'etichetta «antirevisionista» poco caratterizza, i R-B giungono addirittura a non formulare un programma di «rinnovamento». I R-B candidamente dichiarano:
«In questo spirito è prematura qualsiasi formulazione di programmi ideologici e di piattaforme teoriche per il futuro Partito. ... Noi non siamo ne stalinisti, né antistalinisti. Il problema dello stalinismo è un falso problema che di fatto non esiste.
...Così noi non siamo ne filo ne anticinesi... Con tutta l'ammirazione ed il rispetto per i compagni cinesi, non siamo tuttavia disposti ad affidare al Partito Comunista Cinese e alla Cina, quel ruolo di «Stato guida» che coerentemente neghiamo all'URSS ed al PCUS, ma auspichiamo di essere al suo fianco, alla pari, assieme a tutti gli altri Partiti Comunisti del mondo, in una nuova internazionale».
Né stalinisti né antistalinisti, né filocinesi né anticinesi, senza «nuove elaborazioni ideologiche», ma per «l'unità sui principi tradizionali»: una migliore fotografia del loro opportunismo senza principi i Raimondi-Bazzanella non potevano fare di se stessi. Ci hanno liberati persino di questo compito.
Dicembre, 1965
Ultima modifica 23.12.2003